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ASTA N. 121

lotto 39

  • Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938)
    Locanda dell'onda d'oro
    olio su tela, cm 60x40
    firmato in basso a destra: Migliaro

    Provenienza: Racc. Minieri, Napoli ; Coll. Genovese, Napoli

    Esposizioni: Milano 1906

    Bibliografia: cat. Mostra Nazionale di Belle Arti- Milano, 1906 pag. 7,38 num. ord. 93; V. Pica, Artisti contemporanei: Vincenzo Migliaro,in "Emporium", XLIII, n. 255, Bergamo 1916, p. 180; A. Schettini, Vincenzo Migliaro, A. Morano Ed. Napoli 1950 pag. 115 in b/n; Catalogo Bolaffi della Pittura italiana dell'Ottocento n°7, G. Bolaffi Editore TO 1978, pag. 225 in b/n; R. Caputo, Vincenzo Migliaro, Grimaldi & C. Ed. Napoli 2001, tav. 4; R. Caputo, La Pittura Napoletana del II Ottocento, Franco Di Mauro Editore, Napoli 2017, p.283


    Il solo sentir nominare Vincenzo Migliaro desta nella mente di conoscitori ed appassionati d’arte molteplici immagini di quella Napoli che, a cavallo fra tardo Ottocento ed inizio Novecento, tentava faticosamente di operare una cesura col proprio passato tendendo alla modernità.
    Migliaro fu infatti fra i cantori privilegiati della città, dedicandovisi con una devozione che lo tenne lontano quasi da tutti i movimenti artistici del suo tempo e dai loro dibattiti, incontri e scontri. Il punto di vista che egli adoperò fu sempre schietto e mai patetico, attenendosi rigorosamente a quella poetica del vero che, nata a Napoli stessa verso la metà del diciannovesimo secolo, fu trasmessa al nostro artista da uno dei suoi fondatori, Domenico Morelli: seguendo gli insegnamenti di quest’ultimo, dunque, Migliaro andò oscillando fra soggetti partenopei rigorosamente ripresi dal vero (quando incontrati, anche per puro caso, fra gli stretti e scuri vicoli cittadini) ed altri «veri ed immaginati ad un tempo», attentamente meditati nel proprio studio come solo un profondo conoscitore di Napoli sarebbe stato in grado di fare; ad opere i cui soggetti (e titoli) rimandano a precise localizzazioni all’interno del tessuto urbano partenopeo se ne aggiungono così altre dai temi più vaghi ma non per questo meno intrise dello spirito che più tipicamente anima i Napoletani.
    Fra i temi ricorrenti nella produzione del Migliaro v’è pure quello della taverna, di cui l’artista certo incontrò vari esempi passeggiando per i vichi partenopei. Sull’opera proposta, comunque molto celebre, spende alcune belle parole Alfredo Schettini, fornendone anche una precisa datazione all’anno 1906 e posponendone dunque la realizzazione ad un’altra famosa “Taverna napoletana” realizzata dallo stesso autore; l’analisi di quest’ultima tela pare però negli scritti dello Schettini aver influenzato in qualche modo quella della nostra, e se nella prima opera è effettivamente presente un certo sguardo divertito dell’autore verso un modus vivendi che è tutto napoletano, nella seconda sembrerebbe invece in definitiva assente lo sguardo ammiccante che secondo Schettini il proprietario del locale rivolgerebbe viscidamente alla giovane protagonista della rappresentazione. Potrebbe casomai rintracciarsi nello stesso personaggio maschile un certo fare canzonatorio che egli rivolgerebbe al vecchio cieco a causa della disabilità di questi e che la giovane accompagnatrice, notandolo, vorrebbe raggelare in qualche modo col suo cipiglio. L’anziano musico dal canto suo non risulta in alcun modo provato dalla propria condizione, ed anzi sorride all’osservatore ed al percorso di vita che gli si pare davanti e che egli ancora deve percorrere, in quel moto di fede nel miglioramento squisitamente partenopeo che certo dovette al tempo stimolare, fra le tante sfaccettature di Napoli e dei suoi abitanti, la fervida immaginazione artistica dello stesso Migliaro.

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Informazione asta 25/11/2017 19:00