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ASTA N. 121

lotto 54

  • Mancini Antonio (Roma 1852 - 1930)
    Ritratto femminile con serto di foglie
    olio su tela, cm 58,5x45,5
    firmato in alto a destra: A. Mancini

    La primissima formazione di Antonio Mancini presso Napoli (ove egli giunse da Narni) avvenne come è noto sotto la guida di Stanislao Lista: presso lo studio di quest’ultimo infatti il Mancini, insieme all’amico di una vita Vincenzo Gemito, s’esercitò molto a ritrarre dal vero e da calchi antichi. Proprio in quegli anni in effetti la pratica del calco eseguito sui reperti recuperati dai nuovi scavi pompeiani postunitari diretti da Giuseppe Fiorelli era assai frequente, e molti artisti se ne servivano per i più svariati spunti antichizzanti; al contempo veniva a rinvigorirsi lo studio accademico degli antichi, grazie a questo rapporto coi manufatti del tempo più diretto e soprattutto alla portata di tutti (in opposizione al rigido elitarismo che i Borbone attuarono riguardo tutto ciò che provenisse da Ercolano e Pompei.
    Lo studio manciniano del grande passato artistico campano e partenopeo tuttavia non si limitò certo all’antichità, e fu nel corso degli studi accademici sotto la guida di Domenico Morelli (per il quale Antonio mostrò sempre un reverenziale ma affettuoso rispetto) che il Mancini riscoprì ed assimilò la lezione dei pittori del Seicento, i naturalisti, il Caravaggio.
    L’opera proposta si ricollega senza ombra di dubbio alla prima produzione napoletana del suo autore e mostra i segni del suddetto rapporto che questi intrattenne con la grande tradizione partenopea artistica e più in particolare pittorica. Già lo sfondo dell’opera, che ricorda le tipiche incrostazioni marmoree, pare infatti ricollegarsi ad un certo tipo di pittura pompeiana; la donna ritratta, probabilmente una popolana (tipicamente il Mancini, così come Gemito, fu solito ritrarre, almeno all’inizio della sua lunga carriera, persone semplici incontrate per puro caso per i vicoli di Napoli), pure sembra far rivivere il passato indossando una sorta di peplo e cingendosi il capo con un serto di foglie che è frequentemente osservabile nelle opere del Mancini (egli amava anche adoperarlo nei suoi autoritratti) e che rimanda ad ambienti dionisiaci e dunque ad un certo godimento dell’esistenza cui la protagonista della tela non sembra essere estranea, a giudicare dall’ammaliante espressione ch’ella adotta nell’osservare l’artista (e con questi lo spettatore).
    La lezione secentista e caravaggesca è invece tutta stilisticamente giocata nel contrasto fra certi toni dominanti più scuri e la forte luce discendente dall’alto che esalta il bianco della veste, illumina le trasparenti perle vitree, dà vita a certe parti dell’incarnato, laddove altre (non certo scelte a caso: attraverso il gioco chiaroscurale l’attenzione dell’osservatore è infatti convogliata verso lo sguardo della donna ritratta) rimangono in penombra


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Informazione asta 25/11/2017 19:00