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ASTA N.117

lotto 46

  • Pitloo Antonio Sminck (Arnhem 1790 - Napoli 1837)
    Il mulino del monaco a Gragnano
    olio su tela, cm 59,3x76,4
    firmato in basso a sinistra: Pitloo




    Seppure la formazione del Pitloo cominciò assai presto prima nella natia Olanda e dunque a Parigi, grazie al sostegno di Luigi Napoleone, fu alla caduta di quest’ultimo nel 1815 che il nostro artista, allora a Roma per un pensionato, si spostò per la prima volta a Napoli (su invito dell’amico conte Gregorio Orloff, diplomatico russo estimatore d’arte) potendo dar finalmente manifestazione alle sue idee artistiche. Il trasferimento nella capitale borbonica non fu immediato, ed anzi si verificò (dopo vari viaggi tra Roma, altre regioni italiane ed anche la Svizzera) solo nel 1820, allorché l’artista olandese vi aprì una scuola privata di pittura cui si iscrissero, tra gli altri, Sil’vestr Ščedrin, Giacinto Gigante, Achille Vianelli, Gabriele Smargiassi, Teodoro Duclère, Pasquale Mattej: venivano insomma gettate le basi della Scuola di Posillipo; l’abilità del Pitloo si distinse comunque rapidamente nell’ambiente artistico partenopeo, ed egli già nel 1822 venne nominato professore onorario del cittadino Real Istituto di Belle Arti, ove due anni dopo ottenne l’ancora nuova cattedra di Pittura di paesaggio, succedendo a Giuseppe Cammarano (per il concorso presentò il celebre “Boschetto di Francavilla”, oggi al Museo di Capodimonte).
    La fama rapidamente conquistata non costituì comunque per il Pitloo un punto di arrivo della sua arte, ed egli anzi fu sempre in cerca della novità, evolvendo di conseguenza continuamente il proprio fare artistico nel corso della sua intera produzione. Dunque dal 1824 il pittore risentì degli influssi del Bonington (autore inglese che ai Salon parigini ispirò pure i nascenti barbizonniers), allora presente a Napoli, mentre tra 1828 e ’34 l’arte sua si aprì allo stile di Corot, anche questi soggiornante nella capitale borbonica in quegli anni; contemporaneamente la pennellata del Pitloo va sfaldandosi, forse pure per la visione della mostra romana dedicata al Turner, e le sue ultime opere (il colera lo colse nel 1837)tendono all’estrema semplificazione di una vera e propria pittura di macchia. In questa costante evoluzione la tela proposta va probabilmente collocata poco prima del termine del terzo decennio del secolo, quando il giovane Pitloo pare ancora legato al vedutismo settecentesco e più in particolare ai modi pittorici di Hackert (il quale sotto Ferdinando IV precedette il nostro autore nella cattedra di Paesaggio al Real Istituto Borbonico), avendo tuttavia già preso a ritrarre i propri soggetti en plein air (la valle dei mulini di Gragnano fu tra i soggetti favoriti degli allievi della sua scuola, e basti qui ricordare le opere di Duclère in proposito) nonché avendo adottato qualche tratto poi tipico della sua produzione successiva (si notino le fronde degli alberi nei pressi del mulino). Sullo stesso soggetto l’artista olandese tornò sul finire della propria vita, creando un dipinto di macchia oggi al Museo Correale di Sorrento.

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Informazione asta 20/05/2017 18:00