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ASTA N. 152 - IMPORTANTI DIPINTI DEL XIX SECOLO 10.12.2020 17:00 NAPOLI Visualizza le condizioni


IMPORTANTI DIPINTI DEL XIX SECOLO


Esposizione:

  • Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912)
    Villaggio francese
    olio su tela, cm 29x43
    firmato in basso a sinistra: Rossano
    Stima minima €3200
    Stima massima €3800
  • Maldarelli Federico (Napoli 1826 - 1893 )
    Vanità
    olio su tela cm 86x67,5
    firmato, iscritto e datato in basso a sinistra: Fed. Maldarelli Napoli 1875


    Pittore e scultore, Federico Maldarelli fu avviato all’arte dal padre Gennaro, quindi divenne allievo di Costanzo Angelini. Coetaneo ed amico di Domenico Morelli, il nostro non prese però parte alla rivoluzione artistica che quello andò realizzando a Napoli con Filippo Palizzi, preferendo ostinatamente fino alla fine un accademismo di stampo fortemente neoclassico, i cui soggetti furono per lo più religiosi all’inizio, quindi di gusto neopompeiano, come l’opera in asta dimostra. L’attaccamento agli antiquati dittami stilistici di tradizione tardo-settecentesca non portò fortuna a Maldarelli in patria, ma gli fece riscuotere un grande successo all’estero, ove del resto spopolava appunto Jean-Léon Gérôme.
    Stima minima €4000
    Stima massima €6000
  • Scoppetta Pietro (Amalfi, SA 1863 - Napoli 1920)
    Vita di paese
    olio su tela cm 45x28
    firmato in alto a destra: P Scoppetta

    Pietro Scoppetta è tipicamente associato ad una ricca produzione di rapidi schizzi e disegni (è noto infatti che egli fu un eccellente illustratore), oppure agli sfavillanti o fumosi scorci della Parigi della belle époque e della Londra industrializzata (e più tardi, sul finire del diciannovesimo secolo, della Napoli rinnovata dal Risanamento), oppure ancora ad intimi ed eleganti ritratti femminili.
    Spesso ci si dimentica insomma della prima produzione dell’artista, ben salda alle radici di quest’ultimo fra i vari paesi della Costiera amalfitana. Nato appunto proprio ad Amalfi, fin dai primissimi anni Ottanta del diciannovesimo secolo il giovane Pietro s’abituò a muovere alla volta di Maiori per imparare l’arte della pittura (dopo brevi e fallimentari studi di architettura) prima presso lo studio di Gaetano Capone (al tempo frequentato anche da Raffaele D’Amato), poi da Giacomo di Chirico, il quale pur lucano di origini era solito trascorrere lunghi periodi sulla costa campana. Già diffusasi al tempo la pittura di macchia di matrice tipicamente toscana, ma appunto ben presente a Napoli e dintorni per via dei frequenti scambi fra gli artisti delle due città (si ricordi per fare un esempio il pensionato partenopeo di Adriano Cecioni), Scoppetta la fece propria con pennellate ancora più brevi, in sintonia con la rapidità d’esecuzione che caratterizzò poi un po’ tutta la sua produzione; per i soggetti invece, come si può intuire da quanto detto finora, il nostro si focalizzò per lo più su paesaggi e scenette di genere ripresi dai luoghi della sua giovinezza. L’opera in asta insomma va indubbiamente collocata all’interno di questa fase della poetica dell’artista; da essa inoltre si evince un dialogo che certo l’autore intrattenne con vari suoi contemporanei: innanzitutto conterranei quali Della Mura (nipote del resto di Capone), Paolillo e Ferrigno, Volpe e Caprile, ma anche d’altra provenienza, se soprattutto si tengono presenti alcuni dipinti dell’abruzzese Francesco Paolo Michetti.
    Stima minima €13000
    Stima massima €18000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888)
    Pastorello con caprette
    olio su tela cm 34,5x47
    firmato in basso a destra: G. Palizzi
    a tergo cartiglio Bottega d'arte Livorno, Montecatini Terme

    Provenienza: Coll. privata, Modena


    Avviatosi in età più tarda della norma (grazie ad una speciale dispensa) agli studi di pittura presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, l’abruzzese Giuseppe Palizzi (il maggiore per età fra i celebri fratelli) ebbe per maestri sia Anton Sminck van Pitloo che Gabriele Smargiassi, trovandosi dunque avviato tanto ad i quadri di composizione d’impronta certamente più tradizionale che alle novità portate nella pittura di paesaggio dalla Scuola di Posillipo. Con Smargiassi tuttavia vennero a svilupparsi dissidi (tanto per motivazioni politiche che estetiche) via via sempre più insostenibili, finché Palizzi prese la decisione di lasciare la Capitale delle Due Sicilie e l’ambiente accademico a lui odioso per stabilirsi in via definitiva a Parigi, già al tempo centro nevralgico di tutta l’arte e la cultura europea: questo trasferimento, combinandosi ad i contatti con la madrepatria che il nostro non interruppe mai del tutto, scambiandosi molte lettere col fratello Filippo (che a Napoli diede il via insieme a Domenico Morelli ad una radicale rivoluzione in ambito artistico), si rivelò in seguito salvifico per i tanti conterranei che si mossero via via alla volta della Francia, trovando in Giuseppe un punto di riferimento stabile e sempre disponibile.
    In Francia Palizzi preferì comunque agli agi ed all’eleganza della Capitale dimorare presso Passy, nelle vicinanze della foresta di Fontainebleau, ove erano già soliti riunirsi gli esponenti della Scuola di Barbizon, coi quali dunque il nostro costruì un duraturo sodalizio, tanto sul piano più propriamente sociale (cioè amicale) che su quello estetico, ritrovando in essi gli stessi ideali di adesione al vero in ambito artistico che come s’è accennato il fratello propugnava in Italia. Questa comunione d’intenti tuttavia non pare oggi essersi sempre realizzata pienamente, poiché capita di sovente di rintracciare nei dipinti di Giuseppe Palizzi un vago lirismo che tende all’idillio e che ricorda così più le poetiche dei posillipisti che i più aggiornati esiti pittorici dei barbizonnier: ecco allora che nell’opera proposta il giovane pastorello, dal canto suo già in atteggiamento sufficientemente trasognato, sembra con-fondersi fra le sue caprette, che a loro volta poi lo ricambiano con sguardo dubbioso ed insieme quasi ammiccante, come se allo stesso tempo s’interrogassero sui pensieri del loro padrone eppure ne conoscessero già la più intima natura.
    Stima minima €9000
    Stima massima €14000
  • Caputo Ulisse (Salerno 1872 - Parigi 1948)
    Parco parigino
    olio su tela cm 32,8x45,2
    firmato, iscritto e datato in basso a destra: U. Caputo Paris 04


    Parte del folto gruppo di artisti che nel corso dell’Ottocento partirono da Napoli (come da molte altre parti di Italia) alla volta di Parigi, allora centro culturale dell’intera Europa, Ulisse Caputo divenne colà ritrattista degli ambienti più chic e delle dame più eleganti della belle époque francese. Prima delle ricercate figure femminili tuttavia l’autore s’intrattenne per i primissimi anni in terra d’Oltralpe ancora sul genere del paesaggio, dando prova di saper mirabilmente padroneggiare la pittura di macchia, come si evince dall’opera in asta.
    Stima minima €5000
    Stima massima €7000
  • Pratella Attilio ( Lugo -RA 1856 - Napoli 1949)
    Scolo di Soccavo
    olio su tela cm 33x42,3
    firmato in basso a sinistra:A. Pratella

    Giunto a Napoli come studente solo dopo una prima formazione artistica presso l’Accademia di Bologna, Attilio Pratella si interessò molto ai paesaggi di De Nittis e quindi della Scuola di Resina, di cui assorbì la passione per i colori terrosi e soprattutto per i vari toni di grigio. Scrisse proprio a tal proposito Alfredo Schettini: «Pratella è il pittore che più intimamente sentiva e approfondiva le gradazioni del grigio in tinte calde o fredde, soffuse nel paesaggio meridionale – napoletano in specie – anche nelle giornate limpide e assolate».
    Stima minima €13000
    Stima massima €18000
  • Mancini Antonio (Napoli 1852 -1930)
    Lo spadaccino
    olio su tela cm141x83
    firmato tre volte: A. Mancini

    Provenienza: F. Du Chene de Vere; Raccolta Barone Frankhausen; coll. privata, Modena

    Esposizioni: 1923 Roma , II Biennale; 1928, Londra M.Knoedler & Co; 1928 Milano Castello Sforzesco ; 1950 Milano, Galleria italiana d'Arte; 1999, Galleria d'arte Vittoria Colonna

    Bibliografia: Exhibition of paintings an pastels by Antonio Mancini , at the Galleries of Messers M. Knoedler & Co Londra 1928; Antonio Mancini, testo a cura di E.Somarè Edizioni d'Arte Moderna L'Esame, Milano, 1928 n.17; A. Jandolo, Le Memorie di un antiquario, Casa ed. Ceschina, Mialno 1935, p. 184; Raccolta Barone Frankhausen Galleria italiana d'arte, Milano 1950 n.10 pag. 8 ill;R. Caputo Ottocento Napoletano -Galleria d'Arte Vittoria Colonna, Napoli cat.n.5 1999, tav. a colori n 25 pp 58-59; Finarte Asta 1127 Milano 12 dicembre 2000; C. Virno, Antonio Mancini Catalogo ragionato dell'opera, Roma 2019 vol. I n. 714. pag. 401


    Sebbene Antonio Mancini non godé in vita di cospicue ricchezze, vuoi per le difficoltà ch’egli si trovò ad affrontare, vuoi perché fu sempre più attento alla propria ricerca artistica che al proprio guadagno, non gli mancò mai una certa fama, complici le numerose e prestigiose committenze che lo accompagnarono lungo tutto il corso della sua carriera, conducendolo anche oltre i confini nazionali: i Cahen alla volta di Parigi, la famiglia Sargent e poi quella Curtis in direzione di Londra (ove l’artista poi conobbe la mecenate Mary Hunter, della quale realizzò uno splendido e famoso ritratto). Concluse le varie esperienze estere, Mancini tornò definitivamente in Italia sono agli inizi del ventesimo secolo, intraprendendo una collaborazione col mercante Otto Messinger (in Francia era stato sponsorizzato dal celeberrimo Adolphe Goupil) e con l’industriale Fernand Du Chêne de Vère. L’opera in asta va appunto collocata in questo preciso periodo della produzione manciniana, trattandosi l’uomo ritratto proprio del figlio di Du Chêne de Vère, Ippolito, come riporta Cinzia Virno nel recente e ricco catalogo generale dell’artista da lei curato; la studiosa inoltre ricollega questa grande tela anche alle «opere del periodo Messinger come “L’Alabardiere” e “Il Brindisi”» per via degli abiti indossati dal modello. A tal proposito non va nemmeno dimenticato né sottovalutato l’influsso che in particolare sull’arte di scuola partenopea (e poi romana) esercitò nel tardo Ottocento il pittore spagnolo Mariano Fortuny i Marsal, tra i principali esponenti al tempo del Neosettecentismo (corrente di grande fortuna collezionistica, sponsorizzata fra l’altro anche da Goupil) e ospite proprio presso Portici nel 1874 (anno poi della sua morte). L’attenzione ai costumi antichi dunque, già presente in opere del giovane Mancini (veri e propri capolavori che spesso ritraggono Luigi Gianchetti o Luigiello, modello preferito dell’autore), pare aver affascinato l’artista a lungo e fino alle fasi più tarde della sua produzione, come appunto testimoniano il dipinto qui proposto e le altre suddette opere ad esso collegate.
    Stima minima €30000
    Stima massima €50000
  • Palizzi Nicola (Vasto - CH 1820 - Napoli 1870)
    Paesaggio campestre
    olio su tela cm 120x105
    firmato in basso al centro: Nicola Palizzi
    Provenienza: Coll. privata, Milano


    Sebbene parecchio più piccolo per età del fratello Giuseppe, Nicola Palizzi pure fu allievo di Gabriele Smargiassi, trovandosi pertanto diviso nella sua prima fase produttiva fra una sorta di paesaggismo storico (genere rinverdito da Massimo d’Azeglio) e l’adesione a certi ideali della Scuola di Posillipo: egli sembra riuscì tuttavia, forse più e meglio dei suoi più celebri fratelli, a coniugare queste due tendenze apparentemente tanto distanti fra loro, pervenendo ad esiti nuovi ma indiscutibilmente armonici. Dell’influsso di Giuseppe, e più in generale dei barbizonnier coi quali egli s’era legato sia personalmente che artisticamente in Francia, Nicola risentì appunto nel periodo del suo soggiorno parigino, durante il quale il nostro rafforzò la propria visione estremamente sintetica della realtà, interpretata e resa sommariamente in pittura tramite macchie di colore a corpo: una tecnica insomma, che lo allontanava radicalmente dalla minuziosa precisione del fratello Filippo, anticipando piuttosto le soluzioni che poco più tardi avrebbero adottato i rappresentanti della Scuola di Resina nonché Michele Cammarano.
    La tela in asta, di grandi dimensioni come piaceva all’autore, riesce evidentemente e felicemente nell’intento di cui s’è prima accennato, cioè «condensare in positivo tutte le esperienze precedenti: dal paesaggio accademico alla capacità di introspezione dei luoghi; dalle atmosfere rosate dei tramonti posillipistici all’analisi calligrafica del “vero” attraverso il dosaggio della luce», come appunto ha avuto modo di notare Rosario Caputo circa l’intrinseca originalità ed il mai sufficientemente riconosciuto talento di Nicola Palizzi.
    Stima minima €15000
    Stima massima €25000
  • Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912)
    Neve
    olio su tela, cm 45x60 firmato in basso a destra: Rossano
    a tergo cartiglio Mostra del paesaggio napoletano dell'Ottocento A. XIV
    Provenienza: Coll. privata, Modena
    Esposizioni: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli settembre 1936
    Bibliografia: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli 1936, pag. 86; R.Caputo, Federico Rossano, Grimaldi C. Ed. Napoli 2000 tav XXXIII


    Da paesaggista attivo a Napoli e dintorni nel corso del secolo diciannovesimo Federico Rossano non poté che ispirarsi innanzitutto alla temperie della grande Scuola di Posillipo, di cui riprese appunto un certo afflato lirico, finendo poi per farsi notare finanche dal celebre maestro e caposcuola Giacinto Gigante. La sua strada più propria ed autentica il nostro tuttavia l’intraprese solo allorché, trasferitosi a Portici presso l’amico Marco De Gregorio, con questi ed altri artisti (Belliazzi, De Nittis, Campriani, per citarne giusto qualcuno) diede il via al movimento noto quale Scuola di Resina o Repubblica di Portici; fin dal manifesto i sodali affermavano la necessità del rappresentare la natura così com’era, senza alcun orpello intimista: un principio, insomma, che portando ad estreme conseguenze la lezione che già da un po’ propugnava Filippo Palizzi appare diametralmente opposto alla pittura si sentimento caratteristica dei posillipisti.
    Nei fatti tuttavia risulta difficile non ritrovare nei dipinti di Rossano tracce del suo animo complesso e spesso malinconico (anche a causa del tumultuoso rapporto con i famigliari i quali, non accettando la sua vocazione alla pittura, lo relegarono ad uno stato di semi-diseredato). Quando difatti l’autore si trasferì in Francia nel corso degli anni Settanta dell’Ottocento, egli trovò una collocazione ideali fra i membri della Scuola di Barbizon, i quali predicavano una stretta vicinanza fra uomo e Natura, se non una vera e propria comunione per cui il primo finiva per confondersi nell’altra. L’opera proposta appartiene certamente a questo periodo trascorso nelle terre d’Oltralpe, ma non solo per la sottile tristezza che pare qui e là trasudare dalla tela, fra gli alberi spogli che sembrano stagliarsi nudi e solitari contro il cielo. Passeggiando per i dintorni di Parigi infatti la tavolozza di Rossano prese a schiarirsi, arricchendosi soprattutto di toni rosei, nella ricerca da parte dell’artista della migliore resa luministica in pittura di specifici momenti della giornata, quali alba e tramonto: pare appunto costituire un buon esempio di questa nuova poetica la tela in asta, in cui l’aurora baluginante a stento riesce ad illuminare e riscaldare la contadinella sveglia ed al lavoro già da tempo, probabilmente diretta al pascolo.
    Stima minima €14000
    Stima massima €18000
  • Gaeta Enrico (Castellamare di Stabia 1840 – 1887)
    Pescatori sulla spiaggia di Castellamare di Stabia
    olio su tela, cm 67 x 98
    firmato in basso a destra: E. Gaeta
    a tergo etichetta che riporta il numero 75.


    Balzato alle cronache in quanto vittima di un omicidio passionale a nemmeno cinquanta anni compiuti, Enrico Gaeta legò indissolubilmente la propria arte (di cui forse ci rimangono sempre troppo pochi esempi) alla natia Castellammare di Stabia ed ai suoi dintorni, alle aree cioè ove già da alcuni decenni prima della sua nascita (nel 1840) la nobiltà napoletana era solita costruire le proprie ville, complici anche le proprietà benefiche delle fonti locali. L’amore per la propria terra non poté che condurre il nostro verso la pittura di paesaggio, un genere al tempo comunque non felicissimo poiché considerato minore negli ambienti accademici (ma comunque di buon successo sul mercato).
    Prima fonte di ispirazione per Gaeta, come del resto per tanti altri, fu la Scuola di Posillipo, che indubbiamente per prima avviò il rinnovamento della pittura di paesaggio in ambiente partenopeo nel corso dell’Ottocento, col suo caposcuola Giacinto Gigante: proprio guardando a quest’ultimo infatti il nostro si cimentò nell’acquerello, nonché si appassionò alle rovine di Pompei, allora oggetto di nuovi scavi.
    Alla lezione posillipista tuttavia Gaeta presto preferì il radicale rinnovamento che a Napoli verso la metà del diciannovesimo secolo andarono portando in pittura Domenico Morelli e Filippo Palizzi (il primo del resto era già insegnante della partenopea Accademia di Belle Arti negli anni in cui il nostro la frequentò). La vera svolta nell’arte di Gaeta avvenne infine solo con l’incontro col gruppo dei porticesi (ovvero la Scuola di Resina) ed in particolare Marco de Gregorio, attraverso il quale il nostro poté inoltre entrare in contatto con i macchiaioli toscani, l’influsso dei quali (Lega, Signorini, Cecioni, Fattori) su Gaeta già percepì anni fa Raffaello Causa.
    L’opera proposta in asta, il cui soggetto si ripete in vari dipinti dell’autore (“Marina di Castellammare” e “Montagne di Castellammare”, ma anche certi scorci di Pozzano e Quisisana nelle opere di proprietà della Banca Stabiese), presenta vari aspetti in comune con la produzione di De Gregorio, fra i quali non va ovviamente sottovalutata la tavolozza; anzi, proprio come talvolta per il porticese si notò a proposito di Gaeta: «la caratteristica principale dell’arte del paesista stabiese è rappresentata dai toni verdi: verdi cupi e teneri, verdi dorati e vivi, che squillano al sole, rallegrano la boscaglia, riposano all’ombra, si spengono e si rianimano, fra una macchia ed una radura, su cui piomba la luce luminosa del sole di mezzodì. I boschi di Quisisana, le campagne del Sarno, le colline di Pozzano, di Salara, Monte Coppola, Faito, i monti Lattari, selve e verzieri, rivivono nell’opera sua, componendo fra sbattimenti di ombre e inondazioni di luce, una grande sinfonia di verde».
    Stima minima €10000
    Stima massima €20000
  • Irolli Vincenzo (Napoli 1860 - 1949)
    Passeggiata
    olio su tela cm 65x43,5
    irmato in basso a sinistra V. Irolli


    Vincenzo Irolli è stato con ogni probabilità l’ultimo vero rappresentante della grande scuola pittorica partenopea dell’Ottocento, di cui egli conservò gli esiti fino ai primi decenni del ventesimo secolo, allorché anche nella stessa Napoli andavano soffiando venti di profondo rinnovamento in campo artistico. Questa che qualcuno potrebbe quasi definire una sorta di ostinazione, mentre noi preferiremmo semplicemente parlare di coerenza col modo di dipingere – spontaneo e gioioso – che caratterizzò Irolli fin dalla sua giovanile produzione, finì comunque per causare all’artista non poche critiche, e difatti mentre egli era assai ricercato all’estero stentò ad affermarsi per lungo tempo in Italia. Se in qualche modo Irolli si dedicò per un certo periodo della sua vita (nemmeno troppo lungo, in verità) ad una pittura di più facile mercato, va sempre e comunque ricordato che vi fu costretto per gravi impellenze economiche, e certamente la necessità di vendere mal s’accordava con la produzione di opere di maggiore impegno.
    Nell’opera proposta ad ogni modo si coniugano l’attenzione cromatica ed alla resa chiaroscurale tipiche dell’arte d’area partenopea già da molto prima del diciannovesimo secolo, ed alle quali del resto venivano ovviamente formati gli allievi dell’Accademia: l’elemento naturale, pura esplosione di colori, fa da sfondo al gioco di luce ed ombra che delinea le forme della elegante ed aristocratica modella nonché la sua collocazione nello spazio; il portamento della fanciulla, la sua espressione profondamente riflessiva, riporta invece ad una serie di tele dell’autore le quali, pur ritraendo sempre figure femminili, caricano queste ultime di significati sottesi, nascosti, talvolta addirittura filosofici: si pensi ad esempio a “Chiaroscuro” o “Meriggio”.
    Stima minima €12000
    Stima massima €18000
  • Mancini Antonio (Albano Laziale 1852 - Roma 1930 )
    La preghira della madre
    olio su tela cm 100x60
    firmato in alto a sinistra : A. Mancini

    Provenienza: On.Gulaltieri, Napoli; Racc. Nob. A. Ambrosi, Milano; coll. privata, Roma

    Esposizioni: 1929, Milano Galleria Scopinich; 1940, Milano Galleria Guglielmi; 1983, Roma Christie's; 1984 Napoli Giosi; 1991 Milano Semenzato

    Bibliografia: Maestri napoletani dell’Ottocento nella Collezione Gualtieri, Galleria Scopinich, Catalogo vendita all’asta Milano novembre 1929 n28 tav. LV; Racc. Nob. A. Ambrosi, Galleria Guglielmi Milano 1940, n.190 tav 38; A.Schettini, Mancini ,Stiped- Ed. d'arte, Napoli 1953 p. 237; Cat. Christie's Roma 1983 n. 170; Pttura italiana dell'Ottocento a cura de "Il mercato dell'arte" Sugarco ed. Como 1984 p. 99; Cat. Semenzato Milano 1991 n 115 ; C. Virno, Antonio Mancini Catalogo ragionato dell'opera, Roma 2019 vol. I n. 714. pag. 268 n. 401


    Nel corso degli anni Settanta del diciannovesimo secolo Antonio Mancini, già godendo di una certa fama come pittore, mosse verso il sogno d’ogni artista del tempo, il centro indiscusso di tutti i fermenti che andavano allora animando gli intellettuali in Europa: Parigi. Invitato con ogni probabilità da Adolphe Goupil, mercante dalla sensibilità indiscussa e pioneristica il quale certo comprese il talento del nostro ed il potenziale successo ch’egli avrebbe potuto riscuotere anche sul mercato internazionale, Mancini in realtà finì per scontrarsi inevitabilmente con le dure difficoltà che affliggevano la vita dei bohémien e, in modo particolare dopo il secondo soggiorno francese, che segnò (per motivi principalmente economici) la rottura col vecchio amico Vincenzo Gemito, la sua già fragile psicologia non resse. Al ritorno in patria dunque seguì di poco il primo ricovero in manicomio, con l’inizio di una produzione particolarmente ricca e sentita di ritratti ed autoritratti. Dimesso nel 1882, l’anno successivo Mancini lasciò l’amata Napoli (cui ebbe modo di tornare solo molti anni dopo) alla volta di Roma.
    Nella Capitale Mancini risulta ospite fra il 1885 ed il 1890 degli zii (o cugini, a seconda delle fonti) Andrea e Noemi Ruggeri, ed a questo soggiorno particolare vanno fatte risalire due opere fra loro collegate e simili, che innanzitutto condividono la giovane ritratta, ovvero Agrippina Ruggeri (figlia appunto dei parenti dell’autore). La prima tela, “Servetta”, ha fatto parte della collezione Grieco e così è giunta presso la Pinacoteca Giaquinto di Bari, ove è tutt’oggi conservata. L’altro dipinto è invece quello proposto in asta (dopo un passaggio in collezione Gualtieri e poi da Giosi), che del precedente costituisce forse un abbozzo (ma non è esclusa la possibilità che si tratti di un’opera non finita, con tutto il fascino che questo stato tipicamente comporta): lo sfondo s’è assolutamente smaterializzato in rapidi gesti pittorici, i fiori che la modella tiene in grembo risultano del tutto irriconoscibili, mescolandosi talvolta addirittura al grembiule della fanciulla, e finanche i tratti somatici ed anatomici di quest’ultima appaiono in qualche modo fusi al resto della rappresentazione. Si potrebbe forse adottare il confronto fra le due tele quale exemplum dell’evoluzione stilistica che Mancini stesso andò sperimentando in quegli anni, preferendo alle raffigurazioni più precise e realistiche del periodo napoletano una pittura nuova, rapida e talvolta davvero impressionistica, sempre all’insegna di una spasmodica ricerca luministica, realizzata su tavole e tele per mezzo di grumi di materiale pittorico e talvolta biacca a ricreare sulla superficie dei dipinti veri e propri rilievi e di conseguenza concreti effetti di luci ed ombre.
    Stima minima €30000
    Stima massima €50000
  • De Matteis Francesco (Lecce 1852 - Napoli 1917)
    Contadinella
    terracotta, h. cm 32
    firmato sulla base: F. De Matteis
    Stima minima €2200
    Stima massima €3200
  • de Luca Luigi (Napoli 1857 - 1938)
    Busto di E. Pessina
    gesso h cm 73 l cm 90 p cm 55
    firmato a lato: L. de Luca

    L’opera proposta risulta essere il modello in gesso che Luigi De Luca, scultore dal gusto simbolista e decadente, non immune poi al fascino del Liberty, presentò per la realizzazione del ritratto bronzeo di Enrico Pessina oggi conservato nell’omonima aula dell’Università Federico II di Napoli.
    Noto giurista, Pessina fu perseguitato, incarcerato e costretto alla fuga dai Borbone delle Due Sicilie; dopo l’Unità fu prima Deputato e poi Senatore del Regno d’Italia, nonché più volte ministro .
    Stima minima €2500
    Stima massima €3500
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