Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)
Terrazza ad Amalfi
olio su tela cm 49,5x75,9
firmato e datato in baso a destra: Gia Gigante 1847
Provenienza: M. Newman Ltd, Londra; Christie's, Londra King Street; Coll.privata, Napoli
Bibliografia: Cat. vendita 5925 Christie's , Victorian & 19th Century Pictures, Londra 1998; Rosario Caputo, Panorama Pittorico Napoletano dell'Ottocento, Napoli 2002, p. 47; R. Caputo, Infinite Emozioni La Scuola di Posillipo,Ed. VP Napoli 2010, pag. 206 a colori; Ottocento.Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento – primo Novecento, n.44, Ed. Metamorfosi Milano 2016, pag. 67 a colori
La produzione di Giacinto Gigante viene più comunemente associata alla Scuola di Posillipo, a quel gruppo di artisti cioè che seguendo gli insegnamenti di Anton Sminck van Pitloo (e sotto l’influenza dunque della pittura nordeuropea) si discostarono dal vedutismo più propriamente settecentesco per introdurre una propria interpretazione sentimentale dei paesaggi che gli sti stagliavano di fronte (rigorosamente ritratti dal vero, al contrario di quanto era solito fare allora nelle accademie); l’aggregazione dei
suddetti pittori proprio a Posillipo non fu certo casuale, e non mancò forse fra varie motivazioni la volontà di raffigurare scorci facilmente vendibili poiché assai cari agli avventori del Grand Tour.
Prima dell’incontro con Pitloo il più importante (nonché primo) maestro del Gigante fu suo padre Gaetano, anch’egli artista, il quale diede i primi rudimenti di pittura al figlio Giacinto appena adolescente. Agli interessi paterni va probabilmente ricondotta una ricca produzione del nostro autore tutta incentrata sul costume popolare, che
travalicò gli anni giovanili ripresentandosi più e più volte nel corso della sua vita, tanto in pittura quanto in grafica (in cui Giacinto pure fu prolifico).
L’importante opera proposta riprende – si può dire – il gusto di entrambi i mentori del Gigante sopracitati: alla figure popolari in primo piano, tanto più folkloristiche poiché associate alla canzone napoletana classica e ad uno dei suoi più tipici nonché principali strumenti, il mandolino, s’aggiunge un suggestivo scorcio tutto posillipista
che, pregno di quei toni rosacei tanto cari al suo autore, consente allo sguardo dell’osservatore di rimirare tutto il golfo di Salerno fino al Capo d’Orso. Del resto lo stesso pergolato da cui è possibile una tale visione, quello cioè del celeberrimo convento dei frati cappuccini ad Amalfi (e non, come si è detto talvolta, di una generica
struttura a Sorrento), costituisce un luogo assai caro agli autori del tempo, tanto italiani
che stranieri, sicché se ne ritrovano molteplici rappresentazioni tanto nell’opera del Gigante che degli altri posillipisti, e finanche in alcune lastre fotografiche di Giorgio Sommer e Giacomo Brogi.
La scelta di un soggetto di così chiara fama spiega insomma anche il successo di cui quest’opera ha goduto nel tempo sul mercato artistico: al passaggio per le mani della Newman Fine Art Dealers Ltd., protagonista sulla scena britannica di molteplici
importanti compravendite (quali quelle di varie opere preraffaellite), si aggiungono più sigilli in ceralacca che testimoniano l’appartenenza del dipinto ad altrettante importanti collezioni private, fino alla vendita alcuni anni fa presso l’importante casa d’aste Christie’s di Londra.
Infine la datazione dell’opera fornita dal suo stesso autore la colloca nel periodo (fra quarto e quinto decennio dell’Ottocento) in cui il Gigante, stabilitosi nell’area sorrentina, ivi sperimentò le variazioni cromatiche naturali in pittura, adoperando talvolta anche la tecnica ad olio che rimane comunque più rara all’interno dell’intera
sua produzione.