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ASTA N. 130

lotto 135

  • Mancini Francesco detto Lord (Napoli 1830 - 1905) Ritorno da Montevergine
    olio su tela, cm 84,5x145
    firmato, iscritto e datato in basso a destra: Francesco Mancini Napoli 1903

    Provenienza: Coll.eredi dell'artista

    L’avvicinarsi a Francesco Mancini implica sempre e innanzitutto avere a che fare col soprannome “Lord”, certo bizzarro per un artista veracemente partenopeo, conquistato presso gli amici a causa del modo di fare “all’Inglese” che il pittore sviluppò e raffinò nel corso dei suoi frequenti soggiorni a Londra. Centrali infatti nell’attività del Mancini furono il suo cosmopolitismo (“lo ritroverete da per tutto, meno che in casa sua”, scrisse Della Rocca) ed il suo amore per una vita pienamente vissuta negli ambienti altoborghesi delle capitali della Belle Époque; questa convivialità ed uno spirito assai socievole bastarono secondo Mattia Limoncelli a distinguere Francesco dal quasi contemporaneo Antonio Mancini, genio pittorico dall’animo tormentato e dalla vita infelice.
    Andando con ordine, Francesco Mancini si formò presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli a partire dal 1844, frequentando prima la Cattedra di Disegno e quindi quella di Paesaggio, allora tenuta da Gabriele Smargiassi: quest’ultimo fu il primo vero mentore del nostro artista ed egli se ne allontanò più di dieci anni dopo, quando prese a frequentare lo studio di Filippo Palizzi; a questo punto è ovvio nonché corretto immaginare che dal punto di vista dello stile e della composizione il Mancini abbandonasse il convenzionalismo accademico di Smargiassi (già comunque attento agli studi dal vero) per avvicinarsi alla rivoluzione che stravolse l’ambiente artistico partenopeo intorno alla metà del diciannovesimo secolo sotto la guida proprio del Palizzi e poi di Domenico Morelli. Con questi due artisti (e con Altamura, Tedesco, Vertunni e gli artisti calabresi) Francesco condivise comunque anche gli ideali libertari risorgimentali, tradotti in una produzione pittorica dalle tematiche filogaribaldine (di cui i primi esempi furono esposti già alla Prima Promotrice Nazionale di Firenze del 1861) che, sostituendosi alle precedenti composizioni storiche romantiche e medievaleggianti, venne poi perpetuata ben oltre il compimento dell’Unificazione; negli anni Settanta il medesimo impegno politico fu alla base di un nuovo mutamento tematico in favore di soggetti sociali e protoveristi, mentre l’autore assumeva la cattedra di professore onorario all’allora Accademia di Belle Arti napoletana.
    Mentre già esponeva praticamente ogni anno alle mostre della Società Promotrice di Belle Arti di Napoli (di cui fu socio fin dalla fondazione), gli anni Ottanta videro Mancini partecipare a quasi tutte le grandi Nazionali italiane, ma soprattutto egli impose la sua presenza all’estero, tra Parigi, Vienna, Monaco e, come si è accennato, Londra: i temi pittorici si arricchirono allora di scene riguardanti le attività tipiche dell’alta società locale, quali le battute di caccia o gli svariati eventi sportivi, e se questi particolari dipinti ebbero fortuna presso i collezionisti italiani e partenopei, interessati ad emulare l’eleganza d’Oltralpe e Oltremanica, il mercato straniero per converso acclamò e richiese avidamente folkloristiche composizioni sui costumi dell’Italia meridionale, quali i vari “Pellegrinaggi” ed il celebrato capolavoro “Il ritorno da Montevergine”, più volte replicato.



    Forse il soggetto di maggior successo collezionistico di Francesco “Lord” Mancini, il tema del ritorno dalla colorata e folkloristica processione a Montevergine (nei dintorno di Avellino) fu più volte replicato o declinato in versioni differenti, ed appunto la principessa Maria della Rocca scrive di averne visto “una cinquantina di schizzi nello studio di Mancini”; la stessa principessa del resto scrisse parole assai lusinghiere su questa particolare rappresentazione: “è una vera fotografia fatta al momento che ci passan dinanzi quei pittoreschi veicoli tirati dai loro focosi destrieri […] bisogna aver assistito a quello spettacolo per poterne apprezzare tutta la verità […] tutto è riprodotto con rara precisione”. Il carattere fotografico delle opere manciniane è stato più volte sottolineato, e risulta in questo caso quanto mai evidente, visto l’inusuale taglio angolare della visione che potrebbe anche collegare l’artista napoletano alle novità compositive della coeva pittura francese e cioè impressionista, certo almeno osservata dal partenopeo in occasione delle varie esposizioni parigine cui prese parte.
    La presenza dei carri nella scena consente inoltre all’autore di cimentarsi con uno dei suoi temi più cari, la rappresentazione cioè del cavallo (che tradisce l’influenza di Filippo Palizzi, rinomato per aver dato ai soggetti ferini pari dignità rappresentativa di quelli umani), indagato con rigorosa aderenza al vero e senza alcuna concessione fantasiosa in ogni sua posa ed atteggiamento, tanto in contesti più umili e popolari che nelle caccie o le corse dell’aristocrazia europea ed in particolare inglese.

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N° offerte 1
Informazione asta 31/05/2018 19:00