Le aste sono disponibili solo online causa COVID-19 Avviso
ASTA N. 130

lotto 137

  • Gemito Vincenzo (Napoli 1852 - 1929)
    Ritratto di Giuseppina
    matita su carta, cm 30x21
    firmato e datato in basso a sinistra: V. Gemito 1918

    Divenuto Gemito per un banale errore anagrafico, a Vincenzo fu inizialmente dato il cognome Genito come era uso per i neonati abbandonati da genitori ignoti nella ruota della Pia Casa dell’Annunziata di Napoli. Il piccolo fu adottato dall’umile Giuseppina Baratta, che l’amò intensamente e fu in parte anche determinante per la sua carriera futura (come di primaria importanza fu il marito in secondo nozze di lei, Francesco Iadicicco detto Masto Cicco, modello di capolavori gemitiani quali la ‘Testa di filosofo’), se dobbiamo credere alla testimonianza che la vuole artefice dell’ingresso del giovane Vincenzo nello studio dello scultore Emanuele Caggiano, magari con la vana speranza di sottrarre il piccolo alla strada ove amava tergiversare, magari in compagnia dell’amico Antonio Mancini; il nostro tuttavia al Caggiano presto predilesse Stanislao Lista, colui che per primo introdusse in scultura le nuove poetiche del vero nate in seno all’ambiente artistico napoletano. Al naturalismo del suo mentore nonché alle esortazioni di quest’ultimo va ricondotta la terracotta del ‘Bruto’, presentata come prova di pensionato presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1871 (Gemito risulta ivi iscritto dal ’64); secondo Fortunato Bellonzi un’ulteriore ispirazione per questa piccola opera fu il ‘Suicidia’ del toscano Adriano Cecioni, realizzato come saggio di pensionato proprio a Napoli nel 1865. Fatto sta che allora prese forma la peculiare novità che Gemito impresse alla scultura del tempo, unendo in modo assai particolare e con esiti sorprendente l’osservazione del dato reale all’assimilazione e la riproposizione dei modelli plastici ellenistici ed alessandrini e poi romani; non va dimenticato in proposito che del resto da non molto tempo erano allora ripresi gli scavi sistematici delle rovine di Ercolano e Pompei, da cui presto fu uso trarre numerosi calchi sui quali gli studenti d’Arte presero a formarsi.
    I più frequenti modelli almeno della prima produzione di Gemito furono gli scugnizzi partenopei che affollavano il cortile del monastero di Sant’Andrea delle Dame, ove l’artista fissò un proprio studio insieme ad altri artisti fra i quali il Mancini. Appartiene a questo filone produttivo il celebre ‘Pescatorello’ grande al vero del 1876, esposto con grande successo a Parigi ove Vincenzo si trattenne fra 1877 e ’80, protetto dai potenti Adolphe Goupil, mercante d’Arte, e Ernest Meissonnier, pittore pompier. Fra i suoi committenti e finanziatori stranieri non va poi dimenticato l’olandese Oscar de Mesnil, il cui supporto economico permise a Gemito di aprire una propria fonderia a Napoli (in via Mergellina) nel 1883.
    La personalità solitaria e meditativa (talvolta cupa) di Gemito, inasprita finanche dalle varie difficoltà della vita sua (funestata, va detto, da più tragedie), determinò comunque in lui una costante instabilità psichica che si acuì sul finire degli anni Ottanta, forse anche a causa delle difficoltà realizzative cui l’artista si trovò di fronte per le importanti committenze reali del ‘Carlo V’ (Napoli, Palazzo Reale) e di un ‘Trionfo da tavola’. Gemito dunque venne ricoverato presso la casa di cura Villa Fleurent di Capodichino, da cui tuttavia riuscì rocambolescamente ad evadere; cominciò allora un volontario esilio sociale e compositivo (continuò comunque l’attività della fonderia anche priva del proprio direttore) cui l’artista pose termine solo nel 1909, prendendo a scolpire una serie di opere in cui alla foga inventiva pare sostituirsi una cura maniacale della cesellatura e della lucida rifinitura, quasi si trattasse di antropomorfe oreficerie. L’ultima statua realizzata prima della morte fu probabilmente il ritratto del celebre attore partenopeo Raffaele Viviani, nel 1926.


    Legato in seconde nozze ad Anna Cutolo (detta Nannina o Cosarella), già modella di vari artisti suoi contemporanei (basti pensare che fu lei la ‘Dama con ventaglio’ di Domenico Morelli oggi alle Gallerie d’Italia presso Palazzo Zevallos Stigliano in Napoli), Vincenzo Gemito presto sviluppò nei confronti di lei, complice un carattere cupo ed instabile, un attaccamento morboso ed una gelosia forsennata (ci sono ad esempio trasmesse aneddotiche minacce in proposito al pittore Tommaso Celentano) che determinarono tanto ritratti di elevata poetica grafica che crisi nervose di cieca violenza, esiti questi talvolta sovrapposti fra loro: indimenticabile è il carbone su carta lumeggiato a biacca, raffigurante Nannina in lacrime e con la bocca vagamente contratta dal dolore, probabilmente causato dalle percosse del marito.
    Dalla morte prematura di Anna nel 1906 Gemito fu ad ogni modo profondamente scosso, e non è da escludersi che questa fu tra le cause scatenanti della vera e propria follia che l’obbligò poco dopo al ricovero in una casa di cura. Ad accudire l’artista subentrò allora la figlia della coppia, Giuseppina o Peppenella, che gli restò accanto fino alla fine; di quest’ultimo, fondamentale personaggio femminile gravitante nel cosmo dell’autore abbiamo in effetti un numero di ritratti sufficiente a documentarne le varie fasi della crescita fino all’età matura partendo dagli infantili momenti di placido riposo. L’opera proposta va dunque a costituire una ulteriore e finora inedita tappa di questo filone di produzione grafica.

Stima €2500 - €4500
Migliore Offerta Pervenuta 0
Prossima Offerta Minima 2000
N° offerte 5
Informazione asta 31/05/2018 19:00