Costantini Giuseppe (Nola, NA 1844 - San Paolo Belsito, NA 1894)
Dal ciabattino
Olio su tela, cm 42,5x58,8
Firmato e datato in basso a destra: G. Costantini 1873
Provenienza: Coll. privata, Napoli
Bibliografia: Catalogo asta Christie’s, Londra, 19 novembre 1993; G.L. Marini, Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del primo Novecento, ed. XII, Torino 1994, p.171; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, pp.220-221.
Dopo aver studiato all’Istituto di Belle Arti di Napoli sotto la guida del Mancinelli, Giuseppe Costantini si allontanò dall’istituto, ponendosi sotto la guida del professor Vincenzo Petruccelli. I suoi quadri trattano soprattutto soggetti o scene popolari generalmente etichettati “alla fiamminga” (De Gubernatis, 1889, p.149). Di sicuro l’artista nolano è un virtuoso del pennello e il suo mondo poetico è circoscritto ad episodi di vita popolare, realizzati per lo più in interni. Più che ispirati dal folklore partenopeo, sono bimbi, ragazzine e vecchi che vivono nelle campagne. Sono scene popolari, come nella nostra tela del 1873. È osservando questo piccolo capolavoro che risulta maggiormente deprecabile il fatto di come la pittura di genere, di cui Costantini è un autorevole esponente internazionale, sia stata emarginata dalla critica che evidentemente ha ignorato che una delle declinazioni (e qualche involuzione) del realismo, fu proprio questo tipo di espressione, diffusissima in tutt’Europa. Quand’anche il pittore nolano avesse frainteso gli ideali della rivoluzione artistica maturata verso la metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, certamente non rinnegò gli scopi sociali ed umanitari connessi ad un nuovo modo di far dell’arte. Semplicemente si svincolò dalla severità della denuncia o dal comodo rifugio del paesismo, per attingere all’inesauribile fonte della vita quotidiana degli umili. E forse vale la pena rileggere quanto scrisse Giuseppe Luigi Marini sul modo di dipingere del Costantini all’interno di un piccolo catalogo del Prisma nel 1996: «[…] Li dipinse in forme edulcorate, forse di maniera, foss’anche con eccessivo interesse al pittoresco; ma con un sorriso, una bonomia, una lieta partecipazione che non sempre fanno rimpiangere la seriosità e lo strazio di derelitti, affamati e poveracci che popolano i quadri di tanti realisti “impegnati”. Pittura ricreativa, ancorata al folklore; pittura insincera; pittura senza pensieri e senza messaggi che non fossero in essa medesima totalmente esauriti: splendido disegno, ottimo colore, esatta nozione della luce, felice proposizione di tipi e di caratteri di una esistenza accettata più che rassegnata; e lieta perché paga di quelle modeste serenità di cui l’artista si rendeva interprete. […] Ma, ne sono certo, anche questa pittura accurata - che allora si definiva, nella convinzione di esaltarne i pregi, “alla fiamminga” - sarà presto sondata con maggiore attenzione; come lo è stata quella dei pompiers, i pennellaggiatori eleganti dell’opulenta vita borghese. Siamo del resto allenati agli improvvisi voltafaccia, che si definiscono “rivisitazioni”. Tutta la storia critica del nostro Ottocento ce lo rammenta e lo conferma il recente ingresso nella categoria dei “pentiti” di storici e critici fino a ieri assai scontrosi con la pittura del secolo XIX di casa nostra, la cui improvvisa conversione li conduce alla convinzione di aver scoperto qualcosa: l’acqua calda. Si provi a leggerla, la pittura di genere di fine Ottocento, per ciò che è; e altro non vuole essere: come in questa tipica scena del Costantini».