Lojacono Francesco (Palermo 1838 - 1915)
Campagna siciliana
olio su tela cm 23.5x44
firmato in basso a sinistra: F. Lojacono
Provenienza: Galleria Vittoria Colonna, Napoli; Coll. privata, Napoli
Esposizione: Palermo 2005
Bibliografia: Francesco Lojacono 1838-1915, catalogo della mostra (Palermo, 2005-2006) a cura di G. Barbera, L. Martorelli, F. Mazzocca, A. Purpura e C. Sisi, Milano 2005, tav. 103 pag. 303 a colori ; R. Caputo, La Pittura Napoletana del II Ottocento, Franco Di Mauro Editore, Napoli 2017, p.79
Oggi unanimemente considerato fra i migliori pittori siciliani di paesaggio del diciannovesimo secolo, Francesco Lojacono ebbe in vero modo di partecipare attivamente a tutte le principali correnti, meridionali innanzitutto ma più in generale italiane, che rinverdirono il genere nel corso dell’Ottocento portandolo alla ribalta.Avviato infatti all’arte dal padre Luigi, anch’egli pittore, il giovane Francesco ne seguì dapprima diligentemente le orme, dedicandosi a composizione storiche di respiro indubbiamente romantico. Anche il precoce interesse mostrato per il paesaggio, genere probabilmente appreso sotto la guida del primo vero maestro Salvatore Lo Forte, si mantenne inizialmente su composizioni ideali e quindi ancora legate ai gusti tipicamente settecenteschi o di inizio Ottocento; una delle sue prima prove in tal senso tuttavia gli valse comunque una medaglia d’oro alla quadriennale palermitana del 1856 e dunque gli aprì le porte del pensionato presso la capitale del Regno borbonico, Napoli. Nella città di Partenope Lojacono rinnovò in un primo momento la propria arte alla vista dei capolavori di Giacinto di Gigante, ma presto prese a seguire i dittami dell’altra grande rivoluzione artistica che, alcuni anni dopo l’esperienza della Scuola di Posillipo, sconquassò l’ambiente artistico cittadino, e cioè quella che promulgava una più attenta adesione alla riproduzione del vero naturale, sotto la guida di Filippo Palizzi e dei suoi fratelli (attorno ai quali il nostro prese a gravitare), nonché di Domenico Morelli.
L’esperienza risorgimentale e l’entusiasmo immediatamente post-unitario che si concretizzò da un punto di vista artistico nella prima Esposizione Nazionale di Firenze (1861) permise poi a Lojacono di entrare in contatto con i Toscani del Caffè Michelangelo, evolvendo la propria arte secondo lo stile e la tavolozza cari ai Macchiaioli (tanto da esser indicato in alcuni cataloghi del tempo come «Lojacono di Firenze»).Pochi anni dopo il nostro autore aggiornò ancora una volta (e forse definitivamente) la propria pittura secondi i canoni della Scuola di Resina, quel gruppo di artisti riunitisi a Portici per opporsi alla “monarchia” di Domenico Morelli e dei suoi seguaci e promuovere «un’arte indipendente puramente verista e realista, tendente alla manifestazione semplice del vero nelle sue svariate forme, senza orpelli e transazioni» (citando il manifesto redatto da Raffaele Belliazzi), proseguendo di fatto quanto già iniziato precedentemente da Filippo Palizzi.A quest’ultima fase, e quindi alla piena maturità artistica del suo autore, va ascritta l’opera proposta. La calura della veduta agreste siciliana, l’opprimente afa quasi percepibile effettivamente da chi osserva la tela, meritano all’artista l’appellativo che già i suoi contemporanei (pare un certo Romualdo Trigona, nobiluomo) gli affibbiarono di «ladro del sole», poiché nessuno si considerava tanto abile nel ritrarre paesaggi battuti dal cocente astro. Significativa è in proposito la presenza fra i soggetti del quadro ‘Una carovana di artisti nel deserto’ (opera di Paolo Vetri ed Ettore De Maria Bergler) di Lojacono, rappresentato proprio nell’atto di “reggere il sole”.