Toma Gioacchino (Galatina,LE 1836 - Napoli 1891)
Sola
olio su tela, cm 77x63
firmato e datato in basso a destra: G. Toma 1864
Provenienza: Coll. Giuseppe Casciaro, Napoli; coll. privata, Milano; Coll. privata, Napoli
Esposizioni: Firenze 1942
Bibliografia: I Pittori napoletani dell'800 e di altre scuole nella "Raccolta Casciaro" Gall. d'arte Ass. Nazionale degli artisti Firenze 1942 n° cat. 305 tav. XLI b\n
Nella varia (ma non vasta) produzione di Gioacchino Toma risulta difficile ritrovare una reale coerenza tematica e stilistica, causa probabilmente la sua formazione sostanzialmente d’autodidatta che lo tenne per lo più lontano dalle accademie meridionali e dunque dall’adesione ed un unico gusto estetico. Se proprio si volesse forzare in qualche modo la ricerca di una certa temperie che permeasse più sue opere forse si potrebbe identificare questa in una sorta di malinconia che visibilmente trasuda dalle sue opere più intimiste. L’origine di questo filone, non scevro anche di un certo pietismo, qualcuno l’ha voluta far risalire fino alla gioventù dell’artista, allorché nella desolante monotonia della provinciale Galatina il piccolo Toma (a suo stesso dire, stando al suo memoriale) aveva come unico sfogo il ricopiare con ardore quanto pubblicato dal ‘Poliorama pittoresco’, un settimanale artistico i cui temi al tempo sembrerebbero strettamente collegati «al mondo letterario e poetico del basso romanticismo francese» nonché alle idee paternalistiche tipicamente insite nella propaganda della Restaurazione. Pur con alcuni esempi prematuri il filone suddetto nella produzione di Toma raggiunse il proprio culmine con la maturità dell’artista, con la Promotrice cioè del 1874-75 ove fu presentata la prima versione della ‘Luisa Sanfelice in carcere’, il noto capolavoro che insieme alla successiva seconda versione, ma anche a ‘Le due madri’, ‘Il viatico all’orfana’ e ‘La ruota dell’Annunziata’ va a costituire un gruppo di indubbio valore artistico e di profonda indagine psicologica sui temi variamente declinati della maternità e/o della solitudine. Risulta alquanto ovvio allora inserire fra queste belle opere anche la tela proposta: in un interno (ambiente di preferenza per il Toma) scarsamente arredato, freddo e semplice proprio come la cella della Sanfelice, la cui decorazione è significativamente (come a breve vedremo) limitata ai simboli della fede, una giovane donna è persa fra i suoi pensieri: cosa l’affligge? Ella è fresca vedova, come ci rivelano le scure vesti, lo scialle buttato sul materasso di paglia, una volta talamo di amorosi affetti, e le candele alle sue spalle, fra cui una sola è inesorabilmente rovinata sulla superficie dello scrittoio che le sorregge; alla greve atmosfera, che ha letteralmente spento ogni luce della stanza, si contrappone tuttavia un secondo segreto, una più potente rivelazione nascosta fra le forme abbondanti e morbide dalla protagonista: è la forza della vita, la promessa di una nuova nascita (e, in un certo senso, di una ri-nascita) che dal grembo femminile preso giungerà per sconfiggere la morte e donare ancora la speranza.