Nel 1875 Francesco Netti scriveva sui fanciulli di Antonio Mancini che “vanno passeggiando di tela in tela, senza lavarsi mai”. Notava, inoltre, che “alcune teste sono vive: alcuni occhi sono umidi e brillanti di luce infantile, come perle cadute in un cestino di robe usate” (F. Netti, Scritti critici, a cura di L. Galante, Roma 1980, p. 108).La “pittura sporca” di Mancini che Netti metteva in evidenza proveniva dalla produzione di Michele Cammarano e dall’amore per le opere del Seicento napoletano.Anche il rilievo che Netti dava al “tono giusto” e ad alcune parti delle figure dipinte “con larghezza e semplicità antica”, sembrano trovare riscontro in questa testa di Scugnizzo.Il robusto volto di questo ragazzo, forse autoritratto, come porterebbe a pensare la somiglianza con gli autoritratti da adulto e il serto di foglie con cui l’artista amava cingersi il capo, o forse un ritratto di uno di quei fanciulli impiegati come modelli, richiama lo scugnizzo di Fremiti di desiderio, eseguito nel 1868 nella soffitta dell’abitazione napoletana di San Gregorio Armeno, insieme con “una quantità di tele”, come ricorderà lo stesso Mancini, che più tardi ne sottolineerà il carattere autobiografico (D. Cecchi, Antonio Mancini, Torino 1966, p. 26). Il fondo rosso, le dimensioni del capo, la camicia irrorata di luce caravaggesca, le pennellate distribuite ad arte che illuminano parte della testa lasciando in penombra il profilo a eccezione della punta del naso, sono tutti elementi che conducono in questa direzione.La firma di questo Scugnizzo, tipica di Mancini, risulta ad attenti esami completamente integrata nella stesura pittorica.