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Below there are the most important sales made ​​through our portal.

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  • RE MAGI Re Mago giovane (Gaspare), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42 Vestitura originale
    Accessori: corona in argento dorato, spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Esposizioni: Venezia 1927
    Bibliografia: Berliner 1955, fig. 38; Mancini 2006, figg. 28, 33-34

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 45x54

    Re Mago anziano (Baldassarre), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42 Vestitura originale
    Accessori: spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Esposizioni: Venezia 1927
    Bibliografia: Mancini 2006, figg. 28, 39-40

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 45x50

    Re Mago moro (Melchiorre), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42
    Vestitura originale
    Accessori: spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Bibliografia: A.N.S.I. 1950; Borrelli 1970, fig. 204; Mancini 2006, figg. 48, 61-62

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 48x62
    ESTIMATE:
    min € 150000 - max € 150000
    Starting Price:
    € 150000

  • Mancini Antonio Mancini Antonio (Albano Laziale 1852 - Roma 1930 ) La spagnola olio su tela cm 140x70 firmato,iscritto e datato in alto a destra: A.Mancini Frascati 914
    ESTIMATE:
    min € 80000 - max € 120000
  • Migliaro Vincenzo Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Porta Capuana olio su tela, cm 82x56,5 firmato in basso a destra: Migliaro Bibliografia: V. Pica, Artisti contemporanei: Vincenzo Migliaro, in «Emporium», XLIII, n. 255, Bergamo 1916, p. 182. 

    Il Migliaro ritrovato 



    L’eccezionale dipinto Porta Capuana è uno dei capolavori di Vincenzo Migliaro centrale nel percorso intrapreso dall’artista che fa dell’osservazione di Napoli il nodo essenziale della propria poetica. L’indagine della città fino a giungere nelle sue viscere lo induce a una totale compenetrazione nella sua identità. È questa la produzione che caratterizza il vero Migliaro, quella della tele di San Martino, dei vicoli di Santa Lucia, delle strettole che tagliano il fitto ordito di cardini e decumani nel cuore del centro storico della città.
    Porta Capuana si inserisce in questo percorso. Il recupero di quest’opera, pubblicata da Vittorio Pica in un lucidissimo articolo di critica comparso su «Emporium» nel 1916, permette di riappropriarci del tassello centrale della conoscenza di una personalità artistica oggi frammentata in tante diverse produzioni. Migliaro è il pittore dei carnevali, delle donne languidamente accoglienti, delle immagini di una Napoli dipinta attraverso una pennellata allungata e approssimata o analizzata con accanimento fiammingo, di brani di natura intensamente luminosa e di frammenti urbani strizzati nel buio.
    La personalità di Migliaro emerge pienamente nel dipinto dedicato a Porta Capuana, che oggi riaffiora dopo una lunga assenza, occultato nelle dinamiche del collezionismo. Nell’ultimo intenso raggio di sole calante, il mercato chiassoso, che si svolge addosso e intorno alla porta di fine Quattrocento, offre all’artista l’occasione di appuntare e delineare la miriade di tipi umani che contribuiscono alla raffigurazione di un vero e proprio spaccato di vita popolare.
    Leggermente successivo rispetto alle tele del Museo di San Martino (1887-1893), l’indugiare strettamente analitico di uomini e cose, la scrittura fiamminga ad inchiostro di quei dipinti sono qui attenuati dallo studio della luce, che morbidamente diviene filtro di una nuova visione, in cui prevalgono i toni argentei dei grigi al posto dei neri.
    Su Migliaro, Pica scrisse: “Fino dalle sue prime prove, che richiamarono subito, per una loro nota nuova e tutta propria, l’attenzione dei competenti su di lui e lo fecero, diciottenne appena, vincitore di un concorso nazionale, egli si applicò a raffigurare sulla tela o sulla carta, con segno minuzioso e leggiadro e con colorazione calda e smagliante, se anche talvolta un po’ troppo bituminosa, i tipi, specie femminili, della plebe napoletana, accortamente precisati nelle attitudini caratteristiche delle persone e nelle espressioni rivelatrici dei volti e gli episodi movimentati della vita per le strade, sotto i più varii effetti di luce diurna o serotina”
     (Pica 1916, p. 183).

    Isabella Valente
    ESTIMATE:
    min € 70000 - max € 100000 free offer
  • I tre Re Magi I tre Re Magi
    Gaspare, il re giovane, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo al passo attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 50x46,5
    Baldassarre, il re moro, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo rampante attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 48x48
    Melchiorre, il re anziano, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo al passo attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 53,5x46
    Napoli XVIII - XIX secolo

    Provenienza: Roberto Campobasso Antichità, Napoli; coll. privata, Napoli

    ESTIMATE:
    min € 70000 - max € 90000
    Starting Price:
    € 40000

  • Saetti Bruno Saetti Bruno (Bologna 1902 - Venezia 1984) Madre Veneziana affresco su tavola, cm 105x75 firmato in basso a destra: Saetti Esposizioni: Venezia, XXI Biennale, 1938; Bologna n.27, 1974; mostra collettiva Galleria ApogeoNapoli, dicembre 1973. Bibliografia: Solmi - Marangon, Bruno Saetti Catalogo generale dell'opera, Ed. Castaldi - Feltre 1991, pag. 67; Catalogo Biennale Venezia, 1938, pag. 127;Catalogo Bologna n. 27, 1974; Solmi 1980, pag. 238; Omaggio, Bologna, 1985, pag. 60; catalogo Galleria Apogeo, Napoli dicembre 1973, pag. 11
    ESTIMATE:
    min € 65000 - max € 85000
  • Gigante Giacinto Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876) La chiesa di Sant’Arcangelo a Cava olio su tela, cm 50x76 firmato e datato in basso a sinistra: G. Gigante 1842

    Provenienza: Gall. d'arte Nuova Bianchid'Espinosa, Napoli; Gall. Vittoria Colonna, Napoli; Coll. privata, Napoli


    Esposizioni: Palazzo Cavour- Torino 2002 Bibliografia: Ottocento Cat. dell'arte italiana dell'800 n° 17 Ed. Mondadori, a colori ;
    Nuova Bianchid'Espinosa, Napoli 1987 pag. 7 a colori;
    Ottocento Cat. dell'arte italiana dell'800 n° 24 Ed. Mondadori, pag. 137 in b\n;
    M. Picone Petrusa, Dal vero Il paesaggismo napoletano da Gigante a De Nittis , U. Allemandi 2002 tav 23 a colori;
    Panorama pittorico napoletano dell' Ottocento a cura di R. Caputo , Gall. Vittoria Colonna, Napoli 2002 pag. 54 a colori;
    R. Caputo, Infinite Emozioni La Scuola di Posillipo, Ed. VP Napoli 2010, pag. 204 a colori
    ESTIMATE:
    min € 60000 - max € 120000
  • Recco Giuseppe e Gessi Francesco Recco Giuseppe e Gessi Francesco
    (1588 – 1649) (1634 – 1695)
    Natura morta con figura femminile
    olio su tela, cm 120x165
    Siglata in basso a sinistra: G.R.

    Provenienza: già Coll. Vittorio Carità, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Il dipinto è corredato da una scheda critica del Professor Ferdinando Bologna, datata 5 Ottobre 1968 in cui lo stesso sottolinea che l’ opera è di altissima qualità pittorica tanto nella figura che ha una notevole eleganza formale ed una buona vivacità luministica, quanto nelle parti di natura morta che raggiungono un grado di lucidezza e vitalità naturalistica, al livello della maggior tradizione discesa da Caravaggio, e toccano un momento di particolarissima felicità rappresentativa nella certezza ottica e speculare dei loro riflessi nell’acqua , che vanno annoverati fra le più sorprendenti invenzioni che sia dato trovare nella natura morta del secolo XVII.

    La tela , prodotto caratteristico della scuola napoletana alla metà del seicento, è il risultato della collaborazione di due distinte mani di pittori come non è infrequente constatare nelle opere di quel tempo: l ’una, che eseguì le mezze figure e , con ogni probabilità il paesaggio; l’altra, che eseguì le nature morte vere e proprie, le parti con l’acqua e i riflessi.

    Il primo è con certezza il pittore bolognese, due volte presente a Napoli ,Francesco Gessi ( 1588- 1649), lo dimostra il confronto con due opere sicure del maestro: il giovine della prima tela non è che una variante della figura del Battista nella “Predica del Battista” del Gessi , che fu esposta alla mostra ”Maestri della pittura del Seicento emiliano ” ; la fanciulla del secondo trova riscontro esatto, tanto nell’ordine fisionomico, quanto in quello del lume e della caratteristica fattura dei panni, nella Maddalena della tela della Cattedrale di Fabriano, pur essa certa del Gessi.

    L’appartenenza a Giuseppe Recco (1634-1695) della tela oltre che per la sigla G.R. (che certamente antica ed autografa), può essere provata in più modi, infatti la collaborazione del giovane Recco col Gessi è provata anche da altre opere principalmente da un’ importante tela della Lasson Gallery di Londra , dove accanto alle immagini di una donna e di un bambino , tipiche del Gessi, figurano rami tipici di Giuseppe Recco; ma il riscontro decisivo per fattura, repertorio e qualità si ha nel confronto con due tele raffiguranti Nature Morte presenti in una collezione romana firmate una G.R. , l’altra Giuseppe pisquillo, cioè pivello, esordiente , databili per altro con inaspettata esattezza intorno al 1649.

    La tela è quindi opera di collaborazione di F. Gessi e G. Recco intorno al 1649 e costituisce una testimonianza importante per la ricostruzione dell’attività giovanile del Recco, infatti la qualità d’arte e l’intensità naturalistica che le caratterizza non solo illuminano risolutivamente il problema della formazione di G. Recco mostrandolo in rapporto con la pittura italiana del XVII secolo ma fanno gran luce sulla storia della natura morta napoletana .

    ESTIMATE:
    min € 60000 - max € 80000
  • Recco Giuseppe e Gessi Francesco Recco Giuseppe e Gessi Francesco
    (1634 – 1695)(1588 – 1649)
    Natura morta con figura maschile
    olio su tela, cm 120x165

    Provenienza: già Coll. Vittorio Carità, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Il dipinto è corredato da una scheda critica del Professor Ferdinando Bologna, datata 5 Ottobre 1968 in cui lo stesso sottolinea che l’ opera è di altissima qualità pittorica tanto nella figura che ha una notevole eleganza formale ed una buona vivacità luministica, quanto nelle parti di natura morta che raggiungono un grado di lucidezza e vitalità naturalistica, al livello della maggior tradizione discesa da Caravaggio, e toccano un momento di particolarissima felicità rappresentativa nella certezza ottica e speculare dei loro riflessi nell’acqua , che vanno annoverati fra le più sorprendenti invenzioni che sia dato trovare nella natura morta del secolo XVII.

    La tela , prodotto caratteristico della scuola napoletana alla metà del seicento, è il risultato della collaborazione di due distinte mani di pittori come non è infrequente constatare nelle opere di quel tempo: l ’una, che eseguì le mezze figure e , con ogni probabilità il paesaggio; l’altra, che eseguì le nature morte vere e proprie, le parti con l’acqua e i riflessi.

    Il primo è con certezza il pittore bolognese, due volte presente a Napoli ,Francesco Gessi ( 1588- 1649), lo dimostra il confronto con due opere sicure del maestro: il giovine della prima tela non è che una variante della figura del Battista nella “Predica del Battista” del Gessi , che fu esposta alla mostra ”Maestri della pittura del Seicento emiliano ” ; la fanciulla del secondo trova riscontro esatto, tanto nell’ordine fisionomico, quanto in quello del lume e della caratteristica fattura dei panni, nella Maddalena della tela della Cattedrale di Fabriano, pur essa certa del Gessi.

    L’appartenenza a Giuseppe Recco (1634-1695) della tela oltre che per la sigla G.R. (che certamente antica ed autografa), può essere provata in più modi, infatti la collaborazione del giovane Recco col Gessi è provata anche da altre opere principalmente da un’ importante tela della Lasson Gallery di Londra , dove accanto alle immagini di una donna e di un bambino , tipiche del Gessi, figurano rami tipici di Giuseppe Recco; ma il riscontro decisivo per fattura, repertorio e qualità si ha nel confronto con due tele raffiguranti Nature Morte presenti in una collezione romana firmate una G.R. , l’altra Giuseppe pisquillo, cioè pivello, esordiente , databili per altro con inaspettata esattezza intorno al 1649.

    La tela è quindi opera di collaborazione di F. Gessi e G. Recco intorno al 1649 e costituisce una testimonianza importante per la ricostruzione dell’attività giovanile del Recco, infatti la qualità d’arte e l’intensità naturalistica che le caratterizza non solo illuminano risolutivamente il problema della formazione di G. Recco mostrandolo in rapporto con la pittura italiana del XVII secolo ma fanno gran luce sulla storia della natura morta napoletana .
    ESTIMATE:
    min € 60000 - max € 80000
  • De Nittis Giuseppe De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Controluce
    olio su tela, cm 72,2x53,2
    firmato in basso a sinistra: De Nittis

    La presenza di una terza versione di Controluce di De Nittis, rimasta finora inedita, costituisce una vera sorpresa, anche perché rimette in discussione alcuni aspetti non secondari delle varie redazioni del dipinto, che peraltro in quella che qui si presenta era ben noto a Giuliano Briganti, consultato nel 1987 dai proprietari dell’epoca per averne un parere. La differenza più evidente con le altre due versioni (la prima in collezione privata, pubblicata da Piceni-Pittaluga nel 1963; la seconda presso la Pinacoteca di Bari e pubblicata in tutti gli ultimi cataloghi su De Nittis) è la presenza di una figura maschile accanto a quella femminile che da anni pigramente si continua a identificare con Léontine De Nittis. Secondo Briganti, che in una lunga lettera dell’87, nel confermare autorevolmente l’autografia dell’opera, ne magnificava la sensibilità coloristica e ne esaltava l’aura “poetica”, il dipinto in questione sarebbe una prima versione, mentre gli altri due dipinti potrebbero essere successivi, in quanto il pittore si sarebbe accorto che raffigurare “un vivido e malinconico ritratto di sposi” era “banale e forse poco pregnante”, mentre poteva costituire “per l’autore una elaborazione scenica ben più convincente” rappresentare la sola Léontine dal vero.
    Il primo punto da mettere in discussione è proprio l’identificazione con Léontine, perché come alcuni anni or sono aveva osservato in una intervista Lamacchia, non c’è alcuna somiglianza con la moglie di De Nittis che aveva un ovale delicato, dal mento lievemente appuntito e un naso sottile, mentre la figura femminile di Controluce ha un ovale arrotondato, non particolarmente fine e con un inconfondibile naso arrotondato anch’esso (volgarmente si direbbe “a patata”). Lamacchia proponeva una identificazione con la moglie del pittore Pissarro, con cui effettivamente potrebbe esserci una somiglianza, io potrei aggiungere la moglie del pittore José Maria de Hérédia (peraltro già ritratta da Nittis distesa e di profilo), ma a questo punto diventa decisiva la figura maschile, in quanto, sia se si trattasse della coppia De Nittis sia se fossimo in presenza della coppia Pissarro o di quella Hérédia, nella figura maschile dovremmo ravvisare l’uno, l’altro o l’altro pittore ancora; cosa, questa, da escludere decisamente poiché conosciamo bene le fisionomie dei tre pittori, e non potrebbero essere più diverse.
    Un riscontro fisionomico con le fotografie dell’epoca potrebbe esserci con due personaggi molto noti dell’ambiente parigino ed esattamente con il poeta Paul Verlaine e con la moglie Mathilde Mauté, sposata nel 1870 quando aveva solo diciassette anni. Le somiglianze sono veramente impressionanti, ma naturalmente da sole non bastano. Dalla documentazione fino a oggi nota non è mai emersa una conoscenza diretta fra De Nittis e Verlaine. La cerchia dei Goncourt frequentata assiduamente dai De Nittis disprezzava addirittura Verlaine per le sue perversioni e intemperanze. Tuttavia tramiti di conoscenza non erano impossibili: sappiamo che Verlaine frequentava fra gli altri nel circolo di Ricard José Maria de Hérédia, amico dei Goncourt e di De Nittis e nel Journal dei Goncourt all’epoca della Comune si accenna di sfuggita a M.me Paul Verlaine che avrebbe chiesto alla moglie dell’incisore Philippe Burty (amico anche lui dei Goncourt e dei De Nittis) aiuto per il marito che durante i moti si trovò a mal partito e voleva nascondersi.
    Un’altra difficoltà potrebbe esserci con le date: Controluce I e II consuetamente sono stati datati da Christine Farese Sperken in varie occasioni al 1878 e più recentemente da Alessandra Imbellone nel catalogo del 2013, a cura di Angiuli e Mazzocca, al 1880, mentre Briganti, senza pronunciarsi su una data precisa, era dell’opinione che l’opera fosse ancora un po’ più tarda rispetto al 1878-79, soprattutto considerando la maturità del linguaggio pittorico che dimostrava come De Nittis avesse messo a frutto pienamente le suggestioni che gli derivavano dalla conoscenza diretta di Manet. Sull’influenza di Manet – che si riscontra nell’andamento sciolto delle pennellate, oltre che nel tipico contrasto bianco-nero – siamo tutti d’accordo, e infatti il pittore francese viene puntualmente ricordato proprio per quest’opera da tutti i critici che se ne sono occupati. Va tuttavia osservato che nei cataloghi più recenti, a proposito dell’abito della figura femminile in Controluce, si dice che ha un colore grigio-azzurrino, ma si tratta di un vero e proprio fraintendimento. L’abito è bianco, ma, poiché De Nittis applica le regole delle ombre colorate messe a punto dagli impressionisti e adottate precocemente anche da Manet, diventa grigio-azzurrino per effetto dei riflessi e del controluce. Per quanto riguarda la relazione cronologica che il dipinto ha con le due varianti già note, il mio parere diverge da quello di Briganti: sono infatti dell’avviso che le due versioni note siano antecedenti, anche perché il dipinto in mostra, per quanto incompiuto, risulta maggiormente rifinito rispetto agli altri due, in particolare nella mantella bordata di pelliccia; probabilmente doveva essere prevista una redazione finale che finora non è emersa e che non sappiamo se sia mai stata realizzata.
    Tornando alle difficoltà create dalla datazione, queste si rivelano come tali proprio ai fini della identificazione dei personaggi: riassumendo, i Verlaine si sposano nel 1870 e hanno subito un figlio, Georges, che nasce nel 1871; il matrimonio dura poco a causa della relazione omosessuale fra Verlaine e Rimbaud che ha inizio fra il 1871 e il 1872 per finire drammaticamente nel 1873. I coniugi divorziano ufficialmente solo nel 1885, ma si separano di fatto molto presto. Appare un po’ strano che la coppia si sia fatta ritrarre dal pittore mondano per eccellenza, quale era De Nittis, fra il 1878 e il 1880-82, ossia quando la crisi era in atto da un pezzo. Si potrebbero fare tre ipotesi: la prima, il dipinto è stato eseguito in occasione di un tentativo di riavvicinamento dei Verlaine (di un tentativo fra il 1873 e il 1874 siamo a conoscenza, ma non sappiamo se sia stato l’unico); la seconda, l’opera doveva avere una funzione di facciata e salvare le apparenze, cosa che poteva forse andare bene alla ‘borghese’ Mathilde, ma non a Verlaine che era un personaggio del tutto anticonvenzionale; la terza – e questa è l’ipotesi più fantasiosa che possiamo azzardare – la committente potrebbe essere la sola Mathilde che, inseguendo romanticamente l’immagine del suo matrimonio con il poeta, chiede a De Nittis di produrre “un falso”, rispetto alle situazioni reali; questo spiegherebbe il fatto che la figura maschile sia lievemente arretrata, tanto da sembrare quasi “appiccicata”. L’altra possibilità che l’opera sia da retrodatare al 1870-71, ossia al tempo più felice del matrimonio dei Verlaine, viene contraddetta dal linguaggio pittorico, che abbiamo visto essere così vicino a quello degli impressionisti; nel 1870-71 De Nittis era in una fase diversa: da una parte era ancora molto legato alla matrice naturalistica da cui proveniva e dall’altra si era invischiato con le richieste di una pittura commerciale da parte di Goupil.
    Ma a questo punto torniamo almeno in parte al punto di partenza: se i due personaggi non fossero i Verlaine, chi potrebbero essere? Purtroppo con sicurezza possiamo solo dire chi “non” sono.

    Mariantonietta Picone Petrusa
    ESTIMATE:
    min € 60000 - max € 90000
  • De Nittis Giuseppe De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Ritratto della moglie del pittore Rossano
    olio su tela, cm 55,5x38
    firmato in alto a destra: De Nittis

    Provenienza: Coll. Tulino, Parigi; Coll. A. Portolano, Milano

    Esposizioni: Napoli, 1950; VI Quadriennale d'arte Roma, 1952

    Bibliografia: Dipinti di figure e ritratti dell'800 : Galleria Medea, Napoli 1950 n. ord. 17;Cat. VI Quadriennale d'arte Roma, Ed. De Luca Roma 1951,pag 121, n cat. 4; A. Mezzetti ed E. Zocca, Pittori italiani del secondo Ottocento, Ed. De Luca Roma 1952, pag. 64 tav LXIII

    Il sodalizio fra Giuseppe De Nittis e Federico Rossano fu stretto in tempi assai precoci, quando “Peppino” (così veniva affettuosamente chiamato), non ancora ventenne, già andava ricercando il vero in pittura negli anni di studio presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, da cui fu poi notoriamente espulso per motivi disciplinari nel 1863; a questo stesso anno viene dunque comunemente fissato il principio dell’esperienza di Resina, alla cui fondazione parteciparono appunto tanto De Nittis che il Rossano, insieme a Marco de Gregorio ed Adriano Cecioni (anch’essi legati al nostro autore da una solida amicizia e strette interdipendenze artistiche).
    Il manifesto di quella che sarà poi chiamata “Repubblica di Portici” prevedeva in sostanza un recupero del vero rigoroso e scevro da ogni orpello o interpretazione intimista e più in generale sentimentale, opponendosi inoltre alle tendenze artistiche più in voga nella Napoli del tempo che corrispondevano principalmente alle due diverse interpretazioni che proprio della poetica del vero davano da un lato Domenico Morelli e dall’altro Filippo Palizzi. In realtà, e particolarmente proprio nella figura di De Nittis, sempre ricettivo nei confronti delle più disparate suggestioni artistiche, la Scuola di Resina non operò mai un distacco così radicale dall’allora “tradizionale” scuola napoletana del paesaggio, presentandosi di fatto come logica continuazione dei dittami palizziani che manifestamente andava tanto criticando.
    Una nuova e radicale rivoluzione di tutta la poetica del De Nittis prese a svilupparsi dieci anni dopo la “comune” porticese, quando cioè a partire dal 1873 l’artista si stabilì definitivamente a Parigi. La vita frenetica ma raffinata della Belle Époque, l’incontro con gli ultimi Barbizonniers e poi con i vari Impressionisti, quindi la stretta amicizia col pittore James Tissot furono tutte cause che determinarono in momenti diversi (ma generalmente vicini fra loro) un cambiamento in Giuseppe a favore di una pittura generalmente piacevole, incentrata sulla vita della ricca borghesia più à la page e per essa concepita: De Nittis insomma finì per dedicarsi a quell’arte che i sostenitori della Scuola di Resina giudicavano generalmente frivola se non pericolosa (si pensi ai giudizi dello stesso Cecioni o a quelli di Francesco Netti). Appare in effetti incontestabili in questa nuova fase della produzione dell’artista il moltiplicarsi di modelle degne delle più lussuose riviste di moda, divise tra pomeriggi all’ippodromo e soirée all’Opéra, ed anche le composizioni all’aperto, quelle dei boulevard parigini ed in seguito delle strade londinesi, sembrano animate da uno spirito non meno elegante ma al contempo elitario degli interni altoborghesi.
    De Nittis comunque per almeno un lustro non rinunciò del tutto alle sue prime suggestioni pittoriche, ed anzi vi si dedicò anima e corpo in occasione dei suoi ritorni in terra natia; si tratta comunque a ben vedere di riprese più tematiche che stilistiche, in quanto sempre filtrate dalla recente adesione al “realismo borghese”. Nell’orizzonte di questa temperie va collocata ed interpretata anche l’opera proposta, databile con certezza fra il 1880, anno in cui il succitato amico Rossano prese in sposa Zelye Brocheton (anch’ella di origine francese), ed il 1884, anno della morte improvvisa e prematura del De Nittis. La nostalgica memoria degli esordi pittorici e delle passate compagnie viene dunque solo sottintesa in un ritratto del tutto simile a capolavori coevi dell’artista quale può essere un esempio la “Figura di donna” proprio del 1880 (ora alla Pinacoteca “De Nittis” di Barletta), in cui è la moglie dello stesso Giuseppe, Léontine Gruvelle, a far sfoggio della propria eleganza. L’abbandono tuttavia di contrasti cromatici particolarmente accessi e vivaci nonché della tipica verticalità delle ultime opere del De Nittis (caratteristiche entrambe riprese dalla sempre più diffusa stampa giapponese) potrebbe tradire una volontà precisa dell’autore di riconciliarsi con la più sobria aderenza al vero delle sue prime realizzazioni pittoriche.
    ESTIMATE:
    min € 60000 - max € 80000
  • Lotto 120  

    Palizzi Filippo

    Palizzi Filippo Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899) Ritorno dai campi olio su tela, cm 50x74 firmato in basso a sinistra: Palizzi Bibliografia: Napoli d'un tempo nelle vedute dell'Ottocento acura di Rosario Caputo, Gall. Vittoria Colonna Napoli 2007 pag. 50
    ESTIMATE:
    min € 55000 - max € 75000
  • Lotto 170  

    Dalbono Edoardo

    Dalbono Edoardo Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915) Mercatino rionale napoletano olio su tela, cm 51,5x97,5 firmato e iscritto in basso a destra: E. Dalbono Napoli
    a tergo cartiglio: Milano Internazionale Antiquariato XIX edizione, 8-16 Maggio 2004

    Bibliografia: L’Ottocento napoletano nelle collezioni private, a cura di R. Caputo, Grimaldi & C. Editori, Napoli 1999, tav. LII; L’Ottocento Napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, a cura di L. Martorelli con il contributo di R. Caputo, Galleria Vittoria Colonna, Napoli 2003, pag. 66-67; G. L. Marini, Il valore dei dipinti italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, 2003-2004, U. Allemandi Editore, pag. 253, b/n
    ESTIMATE:
    min € 55000 - max € 75000
  • Migliaro Vincenzo Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Cristo a Cariati olio su tela, cm 43x32,4 firmato e iscritto in basso a sinistra: Migliaro Napoli PROVENIENZA: Gall. Mediterranea, Napoli;Gall. Lauro, Napoli, Coll. Privata, Napoli ESPOSIZIONI: Napoli,1957; Napoli, 1959; Napoli, 1997 BIBLIOGRAFIA: Cat. Gall. Mediterranea, Napoli 1957, Tav. 5; A.Schettini, Mostra di pitturadell'Ottocento,Gall. Lauro, Napoli 1959 tav. 14; P. Ricci, "Arte ed artisti a Napoli (1800 - 1943)", Edizioni Banco di Napoli. Napoli 1981(menzione); M.A. Pavone, "Napoli scomparsa nei dipinti di fine '800", Newton Compton Editori,Roma 1987, pag. 95; Catalogo "Civiltà dell' 800. Le arti figurative " Electa Napoli 1997, tav. 17.206. pag. 580; Vincenzo Migliaro" di Rosario Caputo, Grimaldi & co. Editori, Napoli 2001, tav. 33
    ESTIMATE:
    min € 50000 - max € 70000
  • Gigante Giacinto Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876) Sorrento 1840 olio su tela, cm 47x74 firmato e datato in basso a destra: Gia. Gigante 1840
    a tergo: cartiglio caratteri cirillici; cartiglio Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente

    Provenienza: Coll. Elisabetta Adamo Gagarin, Russia; Coll. E. Rosselli, Milano; Galleria Pesaro, Milano; Galleria E. Sacerdoti, Milano;Galleria Giosi, Napoli; Galleria Nuova Bianchi d’Espinosa, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Milano, 1931; Milano 1954; Napoli 1975



    Bibliografia: Raccolta Emanuele Rosselli, Galleria Pesaro, Milano marzo 1931, num. ord. 23, tav. 81;
    Cat. mostra “Il paesaggio italiano, artisti italiani e stranieri”, Milano 1954; Cat. Galleria Giosi, Napoli 1975 n° cat. 73, in copertina;
    Ottocento, Cat. dell’Arte Italia dell’Ottocento, n° 27, Ed. Giorgio Mondadori, Milano 1998, pag. 150;
    I. Valente, I luoghi incantati della Sirena nella pittura napoletana dell’Ottocento, F. Di Mauro Ed., Napoli 2009, pag. 83; R. Caputo,
    ESTIMATE:
    min € 50000 - max € 80000
  • Gigante Giacinto Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)
    Terrazza ad Amalfi
    olio su tela cm 49,5x75,9
    firmato e datato in baso a destra: Gia Gigante 1847

    Provenienza: M. Newman Ltd, Londra; Christie's, Londra King Street; Coll.privata, Napoli

    Bibliografia: Cat. vendita 5925 Christie's , Victorian & 19th Century Pictures, Londra 1998; Rosario Caputo, Panorama Pittorico Napoletano dell'Ottocento, Napoli 2002, p. 47; R. Caputo, Infinite Emozioni La Scuola di Posillipo,Ed. VP Napoli 2010, pag. 206 a colori; Ottocento.Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento – primo Novecento, n.44, Ed. Metamorfosi Milano 2016, pag. 67 a colori

    La produzione di Giacinto Gigante viene più comunemente associata alla Scuola di Posillipo, a quel gruppo di artisti cioè che seguendo gli insegnamenti di Anton Sminck van Pitloo (e sotto l’influenza dunque della pittura nordeuropea) si discostarono dal vedutismo più propriamente settecentesco per introdurre una propria interpretazione sentimentale dei paesaggi che gli sti stagliavano di fronte (rigorosamente ritratti dal vero, al contrario di quanto era solito fare allora nelle accademie); l’aggregazione dei
    suddetti pittori proprio a Posillipo non fu certo casuale, e non mancò forse fra varie motivazioni la volontà di raffigurare scorci facilmente vendibili poiché assai cari agli avventori del Grand Tour.
    Prima dell’incontro con Pitloo il più importante (nonché primo) maestro del Gigante fu suo padre Gaetano, anch’egli artista, il quale diede i primi rudimenti di pittura al figlio Giacinto appena adolescente. Agli interessi paterni va probabilmente ricondotta una ricca produzione del nostro autore tutta incentrata sul costume popolare, che
    travalicò gli anni giovanili ripresentandosi più e più volte nel corso della sua vita, tanto in pittura quanto in grafica (in cui Giacinto pure fu prolifico).
    L’importante opera proposta riprende – si può dire – il gusto di entrambi i mentori del Gigante sopracitati: alla figure popolari in primo piano, tanto più folkloristiche poiché associate alla canzone napoletana classica e ad uno dei suoi più tipici nonché principali strumenti, il mandolino, s’aggiunge un suggestivo scorcio tutto posillipista
    che, pregno di quei toni rosacei tanto cari al suo autore, consente allo sguardo dell’osservatore di rimirare tutto il golfo di Salerno fino al Capo d’Orso. Del resto lo stesso pergolato da cui è possibile una tale visione, quello cioè del celeberrimo convento dei frati cappuccini ad Amalfi (e non, come si è detto talvolta, di una generica
    struttura a Sorrento), costituisce un luogo assai caro agli autori del tempo, tanto italiani
    che stranieri, sicché se ne ritrovano molteplici rappresentazioni tanto nell’opera del Gigante che degli altri posillipisti, e finanche in alcune lastre fotografiche di Giorgio Sommer e Giacomo Brogi.
    La scelta di un soggetto di così chiara fama spiega insomma anche il successo di cui quest’opera ha goduto nel tempo sul mercato artistico: al passaggio per le mani della Newman Fine Art Dealers Ltd., protagonista sulla scena britannica di molteplici
    importanti compravendite (quali quelle di varie opere preraffaellite), si aggiungono più sigilli in ceralacca che testimoniano l’appartenenza del dipinto ad altrettante importanti collezioni private, fino alla vendita alcuni anni fa presso l’importante casa d’aste Christie’s di Londra.
    Infine la datazione dell’opera fornita dal suo stesso autore la colloca nel periodo (fra quarto e quinto decennio dell’Ottocento) in cui il Gigante, stabilitosi nell’area sorrentina, ivi sperimentò le variazioni cromatiche naturali in pittura, adoperando talvolta anche la tecnica ad olio che rimane comunque più rara all’interno dell’intera
    sua produzione.
    ESTIMATE:
    min € 50000 - max € 80000
  • Lotto 44  

    RE MAGI

    Re Mago giovane (Gaspare), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42 Vestitura originale
    Accessori: corona in argento dorato, spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Esposizioni: Venezia 1927
    Bibliografia: Berliner 1955, fig. 38; Mancini 2006, figg. 28, 33-34

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 45x54

    Re Mago anziano (Baldassarre), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42 Vestitura originale
    Accessori: spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Esposizioni: Venezia 1927
    Bibliografia: Mancini 2006, figg. 28, 39-40

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 45x50

    Re Mago moro (Melchiorre), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42
    Vestitura originale
    Accessori: spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Bibliografia: A.N.S.I. 1950; Borrelli 1970, fig. 204; Mancini 2006, figg. 48, 61-62

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 48x62
    ESTIMATE min € 150000 - max € 150000

    Lotto 44  

    RE MAGI

    RE MAGI Re Mago giovane (Gaspare), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42 Vestitura originale
    Accessori: corona in argento dorato, spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Esposizioni: Venezia 1927
    Bibliografia: Berliner 1955, fig. 38; Mancini 2006, figg. 28, 33-34

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 45x54

    Re Mago anziano (Baldassarre), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42 Vestitura originale
    Accessori: spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Esposizioni: Venezia 1927
    Bibliografia: Mancini 2006, figg. 28, 39-40

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 45x50

    Re Mago moro (Melchiorre), att. F. Bottigliero
    (in attività dal 1756 al 1781)
    H cm 42
    Vestitura originale
    Accessori: spada con fodero
    Provenienza: Coll. Catello, Napoli
    Bibliografia: A.N.S.I. 1950; Borrelli 1970, fig. 204; Mancini 2006, figg. 48, 61-62

    Cavallo, att. N. Vassallo
    (in attività dal 1770 al 1825)
    Legno policromo, cm 48x62


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  • Lotto 144  

    Mancini Antonio

    Mancini Antonio (Albano Laziale 1852 - Roma 1930 ) La spagnola olio su tela cm 140x70 firmato,iscritto e datato in alto a destra: A.Mancini Frascati 914
    ESTIMATE min € 80000 - max € 120000

    Lotto 144  

    Mancini Antonio

    Mancini Antonio Mancini Antonio (Albano Laziale 1852 - Roma 1930 ) La spagnola olio su tela cm 140x70 firmato,iscritto e datato in alto a destra: A.Mancini Frascati 914


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  • Lotto 145  

    Migliaro Vincenzo

    Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Porta Capuana olio su tela, cm 82x56,5 firmato in basso a destra: Migliaro Bibliografia: V. Pica, Artisti contemporanei: Vincenzo Migliaro, in «Emporium», XLIII, n. 255, Bergamo 1916, p. 182. 

    Il Migliaro ritrovato 



    L’eccezionale dipinto Porta Capuana è uno dei capolavori di Vincenzo Migliaro centrale nel percorso intrapreso dall’artista che fa dell’osservazione di Napoli il nodo essenziale della propria poetica. L’indagine della città fino a giungere nelle sue viscere lo induce a una totale compenetrazione nella sua identità. È questa la produzione che caratterizza il vero Migliaro, quella della tele di San Martino, dei vicoli di Santa Lucia, delle strettole che tagliano il fitto ordito di cardini e decumani nel cuore del centro storico della città.
    Porta Capuana si inserisce in questo percorso. Il recupero di quest’opera, pubblicata da Vittorio Pica in un lucidissimo articolo di critica comparso su «Emporium» nel 1916, permette di riappropriarci del tassello centrale della conoscenza di una personalità artistica oggi frammentata in tante diverse produzioni. Migliaro è il pittore dei carnevali, delle donne languidamente accoglienti, delle immagini di una Napoli dipinta attraverso una pennellata allungata e approssimata o analizzata con accanimento fiammingo, di brani di natura intensamente luminosa e di frammenti urbani strizzati nel buio.
    La personalità di Migliaro emerge pienamente nel dipinto dedicato a Porta Capuana, che oggi riaffiora dopo una lunga assenza, occultato nelle dinamiche del collezionismo. Nell’ultimo intenso raggio di sole calante, il mercato chiassoso, che si svolge addosso e intorno alla porta di fine Quattrocento, offre all’artista l’occasione di appuntare e delineare la miriade di tipi umani che contribuiscono alla raffigurazione di un vero e proprio spaccato di vita popolare.
    Leggermente successivo rispetto alle tele del Museo di San Martino (1887-1893), l’indugiare strettamente analitico di uomini e cose, la scrittura fiamminga ad inchiostro di quei dipinti sono qui attenuati dallo studio della luce, che morbidamente diviene filtro di una nuova visione, in cui prevalgono i toni argentei dei grigi al posto dei neri.
    Su Migliaro, Pica scrisse: “Fino dalle sue prime prove, che richiamarono subito, per una loro nota nuova e tutta propria, l’attenzione dei competenti su di lui e lo fecero, diciottenne appena, vincitore di un concorso nazionale, egli si applicò a raffigurare sulla tela o sulla carta, con segno minuzioso e leggiadro e con colorazione calda e smagliante, se anche talvolta un po’ troppo bituminosa, i tipi, specie femminili, della plebe napoletana, accortamente precisati nelle attitudini caratteristiche delle persone e nelle espressioni rivelatrici dei volti e gli episodi movimentati della vita per le strade, sotto i più varii effetti di luce diurna o serotina”
     (Pica 1916, p. 183).

    Isabella Valente
    ESTIMATE min € 70000 - max € 100000

    Lotto 145  

    Migliaro Vincenzo

    Migliaro Vincenzo Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Porta Capuana olio su tela, cm 82x56,5 firmato in basso a destra: Migliaro Bibliografia: V. Pica, Artisti contemporanei: Vincenzo Migliaro, in «Emporium», XLIII, n. 255, Bergamo 1916, p. 182. 

    Il Migliaro ritrovato 



    L’eccezionale dipinto Porta Capuana è uno dei capolavori di Vincenzo Migliaro centrale nel percorso intrapreso dall’artista che fa dell’osservazione di Napoli il nodo essenziale della propria poetica. L’indagine della città fino a giungere nelle sue viscere lo induce a una totale compenetrazione nella sua identità. È questa la produzione che caratterizza il vero Migliaro, quella della tele di San Martino, dei vicoli di Santa Lucia, delle strettole che tagliano il fitto ordito di cardini e decumani nel cuore del centro storico della città.
    Porta Capuana si inserisce in questo percorso. Il recupero di quest’opera, pubblicata da Vittorio Pica in un lucidissimo articolo di critica comparso su «Emporium» nel 1916, permette di riappropriarci del tassello centrale della conoscenza di una personalità artistica oggi frammentata in tante diverse produzioni. Migliaro è il pittore dei carnevali, delle donne languidamente accoglienti, delle immagini di una Napoli dipinta attraverso una pennellata allungata e approssimata o analizzata con accanimento fiammingo, di brani di natura intensamente luminosa e di frammenti urbani strizzati nel buio.
    La personalità di Migliaro emerge pienamente nel dipinto dedicato a Porta Capuana, che oggi riaffiora dopo una lunga assenza, occultato nelle dinamiche del collezionismo. Nell’ultimo intenso raggio di sole calante, il mercato chiassoso, che si svolge addosso e intorno alla porta di fine Quattrocento, offre all’artista l’occasione di appuntare e delineare la miriade di tipi umani che contribuiscono alla raffigurazione di un vero e proprio spaccato di vita popolare.
    Leggermente successivo rispetto alle tele del Museo di San Martino (1887-1893), l’indugiare strettamente analitico di uomini e cose, la scrittura fiamminga ad inchiostro di quei dipinti sono qui attenuati dallo studio della luce, che morbidamente diviene filtro di una nuova visione, in cui prevalgono i toni argentei dei grigi al posto dei neri.
    Su Migliaro, Pica scrisse: “Fino dalle sue prime prove, che richiamarono subito, per una loro nota nuova e tutta propria, l’attenzione dei competenti su di lui e lo fecero, diciottenne appena, vincitore di un concorso nazionale, egli si applicò a raffigurare sulla tela o sulla carta, con segno minuzioso e leggiadro e con colorazione calda e smagliante, se anche talvolta un po’ troppo bituminosa, i tipi, specie femminili, della plebe napoletana, accortamente precisati nelle attitudini caratteristiche delle persone e nelle espressioni rivelatrici dei volti e gli episodi movimentati della vita per le strade, sotto i più varii effetti di luce diurna o serotina”
     (Pica 1916, p. 183).

    Isabella Valente


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  • Lotto 25  

    I tre Re Magi

    I tre Re Magi
    Gaspare, il re giovane, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo al passo attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 50x46,5
    Baldassarre, il re moro, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo rampante attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 48x48
    Melchiorre, il re anziano, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo al passo attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 53,5x46
    Napoli XVIII - XIX secolo

    Provenienza: Roberto Campobasso Antichità, Napoli; coll. privata, Napoli

    ESTIMATE min € 70000 - max € 90000

    Lotto 25  

    I tre Re Magi

    I tre Re Magi I tre Re Magi
    Gaspare, il re giovane, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo al passo attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 50x46,5
    Baldassarre, il re moro, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo rampante attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 48x48
    Melchiorre, il re anziano, attr. L. Mosca
    h cm 38
    Cavallo al passo attr. S. Vassallo
    terracotta policroma, zampe in legno policromo,occhi in vetro, cm 53,5x46
    Napoli XVIII - XIX secolo

    Provenienza: Roberto Campobasso Antichità, Napoli; coll. privata, Napoli



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  • Lotto 399  

    Saetti Bruno

    Saetti Bruno (Bologna 1902 - Venezia 1984) Madre Veneziana affresco su tavola, cm 105x75 firmato in basso a destra: Saetti Esposizioni: Venezia, XXI Biennale, 1938; Bologna n.27, 1974; mostra collettiva Galleria ApogeoNapoli, dicembre 1973. Bibliografia: Solmi - Marangon, Bruno Saetti Catalogo generale dell'opera, Ed. Castaldi - Feltre 1991, pag. 67; Catalogo Biennale Venezia, 1938, pag. 127;Catalogo Bologna n. 27, 1974; Solmi 1980, pag. 238; Omaggio, Bologna, 1985, pag. 60; catalogo Galleria Apogeo, Napoli dicembre 1973, pag. 11
    ESTIMATE min € 65000 - max € 85000

    Lotto 399  

    Saetti Bruno

    Saetti Bruno Saetti Bruno (Bologna 1902 - Venezia 1984) Madre Veneziana affresco su tavola, cm 105x75 firmato in basso a destra: Saetti Esposizioni: Venezia, XXI Biennale, 1938; Bologna n.27, 1974; mostra collettiva Galleria ApogeoNapoli, dicembre 1973. Bibliografia: Solmi - Marangon, Bruno Saetti Catalogo generale dell'opera, Ed. Castaldi - Feltre 1991, pag. 67; Catalogo Biennale Venezia, 1938, pag. 127;Catalogo Bologna n. 27, 1974; Solmi 1980, pag. 238; Omaggio, Bologna, 1985, pag. 60; catalogo Galleria Apogeo, Napoli dicembre 1973, pag. 11


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  • Lotto 119  

    Gigante Giacinto

    Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876) La chiesa di Sant’Arcangelo a Cava olio su tela, cm 50x76 firmato e datato in basso a sinistra: G. Gigante 1842

    Provenienza: Gall. d'arte Nuova Bianchid'Espinosa, Napoli; Gall. Vittoria Colonna, Napoli; Coll. privata, Napoli


    Esposizioni: Palazzo Cavour- Torino 2002 Bibliografia: Ottocento Cat. dell'arte italiana dell'800 n° 17 Ed. Mondadori, a colori ;
    Nuova Bianchid'Espinosa, Napoli 1987 pag. 7 a colori;
    Ottocento Cat. dell'arte italiana dell'800 n° 24 Ed. Mondadori, pag. 137 in b\n;
    M. Picone Petrusa, Dal vero Il paesaggismo napoletano da Gigante a De Nittis , U. Allemandi 2002 tav 23 a colori;
    Panorama pittorico napoletano dell' Ottocento a cura di R. Caputo , Gall. Vittoria Colonna, Napoli 2002 pag. 54 a colori;
    R. Caputo, Infinite Emozioni La Scuola di Posillipo, Ed. VP Napoli 2010, pag. 204 a colori
    ESTIMATE min € 60000 - max € 120000

    Lotto 119  

    Gigante Giacinto

    Gigante Giacinto Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876) La chiesa di Sant’Arcangelo a Cava olio su tela, cm 50x76 firmato e datato in basso a sinistra: G. Gigante 1842

    Provenienza: Gall. d'arte Nuova Bianchid'Espinosa, Napoli; Gall. Vittoria Colonna, Napoli; Coll. privata, Napoli


    Esposizioni: Palazzo Cavour- Torino 2002 Bibliografia: Ottocento Cat. dell'arte italiana dell'800 n° 17 Ed. Mondadori, a colori ;
    Nuova Bianchid'Espinosa, Napoli 1987 pag. 7 a colori;
    Ottocento Cat. dell'arte italiana dell'800 n° 24 Ed. Mondadori, pag. 137 in b\n;
    M. Picone Petrusa, Dal vero Il paesaggismo napoletano da Gigante a De Nittis , U. Allemandi 2002 tav 23 a colori;
    Panorama pittorico napoletano dell' Ottocento a cura di R. Caputo , Gall. Vittoria Colonna, Napoli 2002 pag. 54 a colori;
    R. Caputo, Infinite Emozioni La Scuola di Posillipo, Ed. VP Napoli 2010, pag. 204 a colori


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  • Recco Giuseppe e Gessi Francesco
    (1588 – 1649) (1634 – 1695)
    Natura morta con figura femminile
    olio su tela, cm 120x165
    Siglata in basso a sinistra: G.R.

    Provenienza: già Coll. Vittorio Carità, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Il dipinto è corredato da una scheda critica del Professor Ferdinando Bologna, datata 5 Ottobre 1968 in cui lo stesso sottolinea che l’ opera è di altissima qualità pittorica tanto nella figura che ha una notevole eleganza formale ed una buona vivacità luministica, quanto nelle parti di natura morta che raggiungono un grado di lucidezza e vitalità naturalistica, al livello della maggior tradizione discesa da Caravaggio, e toccano un momento di particolarissima felicità rappresentativa nella certezza ottica e speculare dei loro riflessi nell’acqua , che vanno annoverati fra le più sorprendenti invenzioni che sia dato trovare nella natura morta del secolo XVII.

    La tela , prodotto caratteristico della scuola napoletana alla metà del seicento, è il risultato della collaborazione di due distinte mani di pittori come non è infrequente constatare nelle opere di quel tempo: l ’una, che eseguì le mezze figure e , con ogni probabilità il paesaggio; l’altra, che eseguì le nature morte vere e proprie, le parti con l’acqua e i riflessi.

    Il primo è con certezza il pittore bolognese, due volte presente a Napoli ,Francesco Gessi ( 1588- 1649), lo dimostra il confronto con due opere sicure del maestro: il giovine della prima tela non è che una variante della figura del Battista nella “Predica del Battista” del Gessi , che fu esposta alla mostra ”Maestri della pittura del Seicento emiliano ” ; la fanciulla del secondo trova riscontro esatto, tanto nell’ordine fisionomico, quanto in quello del lume e della caratteristica fattura dei panni, nella Maddalena della tela della Cattedrale di Fabriano, pur essa certa del Gessi.

    L’appartenenza a Giuseppe Recco (1634-1695) della tela oltre che per la sigla G.R. (che certamente antica ed autografa), può essere provata in più modi, infatti la collaborazione del giovane Recco col Gessi è provata anche da altre opere principalmente da un’ importante tela della Lasson Gallery di Londra , dove accanto alle immagini di una donna e di un bambino , tipiche del Gessi, figurano rami tipici di Giuseppe Recco; ma il riscontro decisivo per fattura, repertorio e qualità si ha nel confronto con due tele raffiguranti Nature Morte presenti in una collezione romana firmate una G.R. , l’altra Giuseppe pisquillo, cioè pivello, esordiente , databili per altro con inaspettata esattezza intorno al 1649.

    La tela è quindi opera di collaborazione di F. Gessi e G. Recco intorno al 1649 e costituisce una testimonianza importante per la ricostruzione dell’attività giovanile del Recco, infatti la qualità d’arte e l’intensità naturalistica che le caratterizza non solo illuminano risolutivamente il problema della formazione di G. Recco mostrandolo in rapporto con la pittura italiana del XVII secolo ma fanno gran luce sulla storia della natura morta napoletana .

    ESTIMATE min € 60000 - max € 80000

    Recco Giuseppe e Gessi Francesco Recco Giuseppe e Gessi Francesco
    (1588 – 1649) (1634 – 1695)
    Natura morta con figura femminile
    olio su tela, cm 120x165
    Siglata in basso a sinistra: G.R.

    Provenienza: già Coll. Vittorio Carità, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Il dipinto è corredato da una scheda critica del Professor Ferdinando Bologna, datata 5 Ottobre 1968 in cui lo stesso sottolinea che l’ opera è di altissima qualità pittorica tanto nella figura che ha una notevole eleganza formale ed una buona vivacità luministica, quanto nelle parti di natura morta che raggiungono un grado di lucidezza e vitalità naturalistica, al livello della maggior tradizione discesa da Caravaggio, e toccano un momento di particolarissima felicità rappresentativa nella certezza ottica e speculare dei loro riflessi nell’acqua , che vanno annoverati fra le più sorprendenti invenzioni che sia dato trovare nella natura morta del secolo XVII.

    La tela , prodotto caratteristico della scuola napoletana alla metà del seicento, è il risultato della collaborazione di due distinte mani di pittori come non è infrequente constatare nelle opere di quel tempo: l ’una, che eseguì le mezze figure e , con ogni probabilità il paesaggio; l’altra, che eseguì le nature morte vere e proprie, le parti con l’acqua e i riflessi.

    Il primo è con certezza il pittore bolognese, due volte presente a Napoli ,Francesco Gessi ( 1588- 1649), lo dimostra il confronto con due opere sicure del maestro: il giovine della prima tela non è che una variante della figura del Battista nella “Predica del Battista” del Gessi , che fu esposta alla mostra ”Maestri della pittura del Seicento emiliano ” ; la fanciulla del secondo trova riscontro esatto, tanto nell’ordine fisionomico, quanto in quello del lume e della caratteristica fattura dei panni, nella Maddalena della tela della Cattedrale di Fabriano, pur essa certa del Gessi.

    L’appartenenza a Giuseppe Recco (1634-1695) della tela oltre che per la sigla G.R. (che certamente antica ed autografa), può essere provata in più modi, infatti la collaborazione del giovane Recco col Gessi è provata anche da altre opere principalmente da un’ importante tela della Lasson Gallery di Londra , dove accanto alle immagini di una donna e di un bambino , tipiche del Gessi, figurano rami tipici di Giuseppe Recco; ma il riscontro decisivo per fattura, repertorio e qualità si ha nel confronto con due tele raffiguranti Nature Morte presenti in una collezione romana firmate una G.R. , l’altra Giuseppe pisquillo, cioè pivello, esordiente , databili per altro con inaspettata esattezza intorno al 1649.

    La tela è quindi opera di collaborazione di F. Gessi e G. Recco intorno al 1649 e costituisce una testimonianza importante per la ricostruzione dell’attività giovanile del Recco, infatti la qualità d’arte e l’intensità naturalistica che le caratterizza non solo illuminano risolutivamente il problema della formazione di G. Recco mostrandolo in rapporto con la pittura italiana del XVII secolo ma fanno gran luce sulla storia della natura morta napoletana .



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  • Recco Giuseppe e Gessi Francesco
    (1634 – 1695)(1588 – 1649)
    Natura morta con figura maschile
    olio su tela, cm 120x165

    Provenienza: già Coll. Vittorio Carità, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Il dipinto è corredato da una scheda critica del Professor Ferdinando Bologna, datata 5 Ottobre 1968 in cui lo stesso sottolinea che l’ opera è di altissima qualità pittorica tanto nella figura che ha una notevole eleganza formale ed una buona vivacità luministica, quanto nelle parti di natura morta che raggiungono un grado di lucidezza e vitalità naturalistica, al livello della maggior tradizione discesa da Caravaggio, e toccano un momento di particolarissima felicità rappresentativa nella certezza ottica e speculare dei loro riflessi nell’acqua , che vanno annoverati fra le più sorprendenti invenzioni che sia dato trovare nella natura morta del secolo XVII.

    La tela , prodotto caratteristico della scuola napoletana alla metà del seicento, è il risultato della collaborazione di due distinte mani di pittori come non è infrequente constatare nelle opere di quel tempo: l ’una, che eseguì le mezze figure e , con ogni probabilità il paesaggio; l’altra, che eseguì le nature morte vere e proprie, le parti con l’acqua e i riflessi.

    Il primo è con certezza il pittore bolognese, due volte presente a Napoli ,Francesco Gessi ( 1588- 1649), lo dimostra il confronto con due opere sicure del maestro: il giovine della prima tela non è che una variante della figura del Battista nella “Predica del Battista” del Gessi , che fu esposta alla mostra ”Maestri della pittura del Seicento emiliano ” ; la fanciulla del secondo trova riscontro esatto, tanto nell’ordine fisionomico, quanto in quello del lume e della caratteristica fattura dei panni, nella Maddalena della tela della Cattedrale di Fabriano, pur essa certa del Gessi.

    L’appartenenza a Giuseppe Recco (1634-1695) della tela oltre che per la sigla G.R. (che certamente antica ed autografa), può essere provata in più modi, infatti la collaborazione del giovane Recco col Gessi è provata anche da altre opere principalmente da un’ importante tela della Lasson Gallery di Londra , dove accanto alle immagini di una donna e di un bambino , tipiche del Gessi, figurano rami tipici di Giuseppe Recco; ma il riscontro decisivo per fattura, repertorio e qualità si ha nel confronto con due tele raffiguranti Nature Morte presenti in una collezione romana firmate una G.R. , l’altra Giuseppe pisquillo, cioè pivello, esordiente , databili per altro con inaspettata esattezza intorno al 1649.

    La tela è quindi opera di collaborazione di F. Gessi e G. Recco intorno al 1649 e costituisce una testimonianza importante per la ricostruzione dell’attività giovanile del Recco, infatti la qualità d’arte e l’intensità naturalistica che le caratterizza non solo illuminano risolutivamente il problema della formazione di G. Recco mostrandolo in rapporto con la pittura italiana del XVII secolo ma fanno gran luce sulla storia della natura morta napoletana .
    ESTIMATE min € 60000 - max € 80000

    Recco Giuseppe e Gessi Francesco Recco Giuseppe e Gessi Francesco
    (1634 – 1695)(1588 – 1649)
    Natura morta con figura maschile
    olio su tela, cm 120x165

    Provenienza: già Coll. Vittorio Carità, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Il dipinto è corredato da una scheda critica del Professor Ferdinando Bologna, datata 5 Ottobre 1968 in cui lo stesso sottolinea che l’ opera è di altissima qualità pittorica tanto nella figura che ha una notevole eleganza formale ed una buona vivacità luministica, quanto nelle parti di natura morta che raggiungono un grado di lucidezza e vitalità naturalistica, al livello della maggior tradizione discesa da Caravaggio, e toccano un momento di particolarissima felicità rappresentativa nella certezza ottica e speculare dei loro riflessi nell’acqua , che vanno annoverati fra le più sorprendenti invenzioni che sia dato trovare nella natura morta del secolo XVII.

    La tela , prodotto caratteristico della scuola napoletana alla metà del seicento, è il risultato della collaborazione di due distinte mani di pittori come non è infrequente constatare nelle opere di quel tempo: l ’una, che eseguì le mezze figure e , con ogni probabilità il paesaggio; l’altra, che eseguì le nature morte vere e proprie, le parti con l’acqua e i riflessi.

    Il primo è con certezza il pittore bolognese, due volte presente a Napoli ,Francesco Gessi ( 1588- 1649), lo dimostra il confronto con due opere sicure del maestro: il giovine della prima tela non è che una variante della figura del Battista nella “Predica del Battista” del Gessi , che fu esposta alla mostra ”Maestri della pittura del Seicento emiliano ” ; la fanciulla del secondo trova riscontro esatto, tanto nell’ordine fisionomico, quanto in quello del lume e della caratteristica fattura dei panni, nella Maddalena della tela della Cattedrale di Fabriano, pur essa certa del Gessi.

    L’appartenenza a Giuseppe Recco (1634-1695) della tela oltre che per la sigla G.R. (che certamente antica ed autografa), può essere provata in più modi, infatti la collaborazione del giovane Recco col Gessi è provata anche da altre opere principalmente da un’ importante tela della Lasson Gallery di Londra , dove accanto alle immagini di una donna e di un bambino , tipiche del Gessi, figurano rami tipici di Giuseppe Recco; ma il riscontro decisivo per fattura, repertorio e qualità si ha nel confronto con due tele raffiguranti Nature Morte presenti in una collezione romana firmate una G.R. , l’altra Giuseppe pisquillo, cioè pivello, esordiente , databili per altro con inaspettata esattezza intorno al 1649.

    La tela è quindi opera di collaborazione di F. Gessi e G. Recco intorno al 1649 e costituisce una testimonianza importante per la ricostruzione dell’attività giovanile del Recco, infatti la qualità d’arte e l’intensità naturalistica che le caratterizza non solo illuminano risolutivamente il problema della formazione di G. Recco mostrandolo in rapporto con la pittura italiana del XVII secolo ma fanno gran luce sulla storia della natura morta napoletana .


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  • Lotto 55  

    De Nittis Giuseppe

    De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Controluce
    olio su tela, cm 72,2x53,2
    firmato in basso a sinistra: De Nittis

    La presenza di una terza versione di Controluce di De Nittis, rimasta finora inedita, costituisce una vera sorpresa, anche perché rimette in discussione alcuni aspetti non secondari delle varie redazioni del dipinto, che peraltro in quella che qui si presenta era ben noto a Giuliano Briganti, consultato nel 1987 dai proprietari dell’epoca per averne un parere. La differenza più evidente con le altre due versioni (la prima in collezione privata, pubblicata da Piceni-Pittaluga nel 1963; la seconda presso la Pinacoteca di Bari e pubblicata in tutti gli ultimi cataloghi su De Nittis) è la presenza di una figura maschile accanto a quella femminile che da anni pigramente si continua a identificare con Léontine De Nittis. Secondo Briganti, che in una lunga lettera dell’87, nel confermare autorevolmente l’autografia dell’opera, ne magnificava la sensibilità coloristica e ne esaltava l’aura “poetica”, il dipinto in questione sarebbe una prima versione, mentre gli altri due dipinti potrebbero essere successivi, in quanto il pittore si sarebbe accorto che raffigurare “un vivido e malinconico ritratto di sposi” era “banale e forse poco pregnante”, mentre poteva costituire “per l’autore una elaborazione scenica ben più convincente” rappresentare la sola Léontine dal vero.
    Il primo punto da mettere in discussione è proprio l’identificazione con Léontine, perché come alcuni anni or sono aveva osservato in una intervista Lamacchia, non c’è alcuna somiglianza con la moglie di De Nittis che aveva un ovale delicato, dal mento lievemente appuntito e un naso sottile, mentre la figura femminile di Controluce ha un ovale arrotondato, non particolarmente fine e con un inconfondibile naso arrotondato anch’esso (volgarmente si direbbe “a patata”). Lamacchia proponeva una identificazione con la moglie del pittore Pissarro, con cui effettivamente potrebbe esserci una somiglianza, io potrei aggiungere la moglie del pittore José Maria de Hérédia (peraltro già ritratta da Nittis distesa e di profilo), ma a questo punto diventa decisiva la figura maschile, in quanto, sia se si trattasse della coppia De Nittis sia se fossimo in presenza della coppia Pissarro o di quella Hérédia, nella figura maschile dovremmo ravvisare l’uno, l’altro o l’altro pittore ancora; cosa, questa, da escludere decisamente poiché conosciamo bene le fisionomie dei tre pittori, e non potrebbero essere più diverse.
    Un riscontro fisionomico con le fotografie dell’epoca potrebbe esserci con due personaggi molto noti dell’ambiente parigino ed esattamente con il poeta Paul Verlaine e con la moglie Mathilde Mauté, sposata nel 1870 quando aveva solo diciassette anni. Le somiglianze sono veramente impressionanti, ma naturalmente da sole non bastano. Dalla documentazione fino a oggi nota non è mai emersa una conoscenza diretta fra De Nittis e Verlaine. La cerchia dei Goncourt frequentata assiduamente dai De Nittis disprezzava addirittura Verlaine per le sue perversioni e intemperanze. Tuttavia tramiti di conoscenza non erano impossibili: sappiamo che Verlaine frequentava fra gli altri nel circolo di Ricard José Maria de Hérédia, amico dei Goncourt e di De Nittis e nel Journal dei Goncourt all’epoca della Comune si accenna di sfuggita a M.me Paul Verlaine che avrebbe chiesto alla moglie dell’incisore Philippe Burty (amico anche lui dei Goncourt e dei De Nittis) aiuto per il marito che durante i moti si trovò a mal partito e voleva nascondersi.
    Un’altra difficoltà potrebbe esserci con le date: Controluce I e II consuetamente sono stati datati da Christine Farese Sperken in varie occasioni al 1878 e più recentemente da Alessandra Imbellone nel catalogo del 2013, a cura di Angiuli e Mazzocca, al 1880, mentre Briganti, senza pronunciarsi su una data precisa, era dell’opinione che l’opera fosse ancora un po’ più tarda rispetto al 1878-79, soprattutto considerando la maturità del linguaggio pittorico che dimostrava come De Nittis avesse messo a frutto pienamente le suggestioni che gli derivavano dalla conoscenza diretta di Manet. Sull’influenza di Manet – che si riscontra nell’andamento sciolto delle pennellate, oltre che nel tipico contrasto bianco-nero – siamo tutti d’accordo, e infatti il pittore francese viene puntualmente ricordato proprio per quest’opera da tutti i critici che se ne sono occupati. Va tuttavia osservato che nei cataloghi più recenti, a proposito dell’abito della figura femminile in Controluce, si dice che ha un colore grigio-azzurrino, ma si tratta di un vero e proprio fraintendimento. L’abito è bianco, ma, poiché De Nittis applica le regole delle ombre colorate messe a punto dagli impressionisti e adottate precocemente anche da Manet, diventa grigio-azzurrino per effetto dei riflessi e del controluce. Per quanto riguarda la relazione cronologica che il dipinto ha con le due varianti già note, il mio parere diverge da quello di Briganti: sono infatti dell’avviso che le due versioni note siano antecedenti, anche perché il dipinto in mostra, per quanto incompiuto, risulta maggiormente rifinito rispetto agli altri due, in particolare nella mantella bordata di pelliccia; probabilmente doveva essere prevista una redazione finale che finora non è emersa e che non sappiamo se sia mai stata realizzata.
    Tornando alle difficoltà create dalla datazione, queste si rivelano come tali proprio ai fini della identificazione dei personaggi: riassumendo, i Verlaine si sposano nel 1870 e hanno subito un figlio, Georges, che nasce nel 1871; il matrimonio dura poco a causa della relazione omosessuale fra Verlaine e Rimbaud che ha inizio fra il 1871 e il 1872 per finire drammaticamente nel 1873. I coniugi divorziano ufficialmente solo nel 1885, ma si separano di fatto molto presto. Appare un po’ strano che la coppia si sia fatta ritrarre dal pittore mondano per eccellenza, quale era De Nittis, fra il 1878 e il 1880-82, ossia quando la crisi era in atto da un pezzo. Si potrebbero fare tre ipotesi: la prima, il dipinto è stato eseguito in occasione di un tentativo di riavvicinamento dei Verlaine (di un tentativo fra il 1873 e il 1874 siamo a conoscenza, ma non sappiamo se sia stato l’unico); la seconda, l’opera doveva avere una funzione di facciata e salvare le apparenze, cosa che poteva forse andare bene alla ‘borghese’ Mathilde, ma non a Verlaine che era un personaggio del tutto anticonvenzionale; la terza – e questa è l’ipotesi più fantasiosa che possiamo azzardare – la committente potrebbe essere la sola Mathilde che, inseguendo romanticamente l’immagine del suo matrimonio con il poeta, chiede a De Nittis di produrre “un falso”, rispetto alle situazioni reali; questo spiegherebbe il fatto che la figura maschile sia lievemente arretrata, tanto da sembrare quasi “appiccicata”. L’altra possibilità che l’opera sia da retrodatare al 1870-71, ossia al tempo più felice del matrimonio dei Verlaine, viene contraddetta dal linguaggio pittorico, che abbiamo visto essere così vicino a quello degli impressionisti; nel 1870-71 De Nittis era in una fase diversa: da una parte era ancora molto legato alla matrice naturalistica da cui proveniva e dall’altra si era invischiato con le richieste di una pittura commerciale da parte di Goupil.
    Ma a questo punto torniamo almeno in parte al punto di partenza: se i due personaggi non fossero i Verlaine, chi potrebbero essere? Purtroppo con sicurezza possiamo solo dire chi “non” sono.

    Mariantonietta Picone Petrusa
    ESTIMATE min € 60000 - max € 90000

    Lotto 55  

    De Nittis Giuseppe

    De Nittis Giuseppe De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Controluce
    olio su tela, cm 72,2x53,2
    firmato in basso a sinistra: De Nittis

    La presenza di una terza versione di Controluce di De Nittis, rimasta finora inedita, costituisce una vera sorpresa, anche perché rimette in discussione alcuni aspetti non secondari delle varie redazioni del dipinto, che peraltro in quella che qui si presenta era ben noto a Giuliano Briganti, consultato nel 1987 dai proprietari dell’epoca per averne un parere. La differenza più evidente con le altre due versioni (la prima in collezione privata, pubblicata da Piceni-Pittaluga nel 1963; la seconda presso la Pinacoteca di Bari e pubblicata in tutti gli ultimi cataloghi su De Nittis) è la presenza di una figura maschile accanto a quella femminile che da anni pigramente si continua a identificare con Léontine De Nittis. Secondo Briganti, che in una lunga lettera dell’87, nel confermare autorevolmente l’autografia dell’opera, ne magnificava la sensibilità coloristica e ne esaltava l’aura “poetica”, il dipinto in questione sarebbe una prima versione, mentre gli altri due dipinti potrebbero essere successivi, in quanto il pittore si sarebbe accorto che raffigurare “un vivido e malinconico ritratto di sposi” era “banale e forse poco pregnante”, mentre poteva costituire “per l’autore una elaborazione scenica ben più convincente” rappresentare la sola Léontine dal vero.
    Il primo punto da mettere in discussione è proprio l’identificazione con Léontine, perché come alcuni anni or sono aveva osservato in una intervista Lamacchia, non c’è alcuna somiglianza con la moglie di De Nittis che aveva un ovale delicato, dal mento lievemente appuntito e un naso sottile, mentre la figura femminile di Controluce ha un ovale arrotondato, non particolarmente fine e con un inconfondibile naso arrotondato anch’esso (volgarmente si direbbe “a patata”). Lamacchia proponeva una identificazione con la moglie del pittore Pissarro, con cui effettivamente potrebbe esserci una somiglianza, io potrei aggiungere la moglie del pittore José Maria de Hérédia (peraltro già ritratta da Nittis distesa e di profilo), ma a questo punto diventa decisiva la figura maschile, in quanto, sia se si trattasse della coppia De Nittis sia se fossimo in presenza della coppia Pissarro o di quella Hérédia, nella figura maschile dovremmo ravvisare l’uno, l’altro o l’altro pittore ancora; cosa, questa, da escludere decisamente poiché conosciamo bene le fisionomie dei tre pittori, e non potrebbero essere più diverse.
    Un riscontro fisionomico con le fotografie dell’epoca potrebbe esserci con due personaggi molto noti dell’ambiente parigino ed esattamente con il poeta Paul Verlaine e con la moglie Mathilde Mauté, sposata nel 1870 quando aveva solo diciassette anni. Le somiglianze sono veramente impressionanti, ma naturalmente da sole non bastano. Dalla documentazione fino a oggi nota non è mai emersa una conoscenza diretta fra De Nittis e Verlaine. La cerchia dei Goncourt frequentata assiduamente dai De Nittis disprezzava addirittura Verlaine per le sue perversioni e intemperanze. Tuttavia tramiti di conoscenza non erano impossibili: sappiamo che Verlaine frequentava fra gli altri nel circolo di Ricard José Maria de Hérédia, amico dei Goncourt e di De Nittis e nel Journal dei Goncourt all’epoca della Comune si accenna di sfuggita a M.me Paul Verlaine che avrebbe chiesto alla moglie dell’incisore Philippe Burty (amico anche lui dei Goncourt e dei De Nittis) aiuto per il marito che durante i moti si trovò a mal partito e voleva nascondersi.
    Un’altra difficoltà potrebbe esserci con le date: Controluce I e II consuetamente sono stati datati da Christine Farese Sperken in varie occasioni al 1878 e più recentemente da Alessandra Imbellone nel catalogo del 2013, a cura di Angiuli e Mazzocca, al 1880, mentre Briganti, senza pronunciarsi su una data precisa, era dell’opinione che l’opera fosse ancora un po’ più tarda rispetto al 1878-79, soprattutto considerando la maturità del linguaggio pittorico che dimostrava come De Nittis avesse messo a frutto pienamente le suggestioni che gli derivavano dalla conoscenza diretta di Manet. Sull’influenza di Manet – che si riscontra nell’andamento sciolto delle pennellate, oltre che nel tipico contrasto bianco-nero – siamo tutti d’accordo, e infatti il pittore francese viene puntualmente ricordato proprio per quest’opera da tutti i critici che se ne sono occupati. Va tuttavia osservato che nei cataloghi più recenti, a proposito dell’abito della figura femminile in Controluce, si dice che ha un colore grigio-azzurrino, ma si tratta di un vero e proprio fraintendimento. L’abito è bianco, ma, poiché De Nittis applica le regole delle ombre colorate messe a punto dagli impressionisti e adottate precocemente anche da Manet, diventa grigio-azzurrino per effetto dei riflessi e del controluce. Per quanto riguarda la relazione cronologica che il dipinto ha con le due varianti già note, il mio parere diverge da quello di Briganti: sono infatti dell’avviso che le due versioni note siano antecedenti, anche perché il dipinto in mostra, per quanto incompiuto, risulta maggiormente rifinito rispetto agli altri due, in particolare nella mantella bordata di pelliccia; probabilmente doveva essere prevista una redazione finale che finora non è emersa e che non sappiamo se sia mai stata realizzata.
    Tornando alle difficoltà create dalla datazione, queste si rivelano come tali proprio ai fini della identificazione dei personaggi: riassumendo, i Verlaine si sposano nel 1870 e hanno subito un figlio, Georges, che nasce nel 1871; il matrimonio dura poco a causa della relazione omosessuale fra Verlaine e Rimbaud che ha inizio fra il 1871 e il 1872 per finire drammaticamente nel 1873. I coniugi divorziano ufficialmente solo nel 1885, ma si separano di fatto molto presto. Appare un po’ strano che la coppia si sia fatta ritrarre dal pittore mondano per eccellenza, quale era De Nittis, fra il 1878 e il 1880-82, ossia quando la crisi era in atto da un pezzo. Si potrebbero fare tre ipotesi: la prima, il dipinto è stato eseguito in occasione di un tentativo di riavvicinamento dei Verlaine (di un tentativo fra il 1873 e il 1874 siamo a conoscenza, ma non sappiamo se sia stato l’unico); la seconda, l’opera doveva avere una funzione di facciata e salvare le apparenze, cosa che poteva forse andare bene alla ‘borghese’ Mathilde, ma non a Verlaine che era un personaggio del tutto anticonvenzionale; la terza – e questa è l’ipotesi più fantasiosa che possiamo azzardare – la committente potrebbe essere la sola Mathilde che, inseguendo romanticamente l’immagine del suo matrimonio con il poeta, chiede a De Nittis di produrre “un falso”, rispetto alle situazioni reali; questo spiegherebbe il fatto che la figura maschile sia lievemente arretrata, tanto da sembrare quasi “appiccicata”. L’altra possibilità che l’opera sia da retrodatare al 1870-71, ossia al tempo più felice del matrimonio dei Verlaine, viene contraddetta dal linguaggio pittorico, che abbiamo visto essere così vicino a quello degli impressionisti; nel 1870-71 De Nittis era in una fase diversa: da una parte era ancora molto legato alla matrice naturalistica da cui proveniva e dall’altra si era invischiato con le richieste di una pittura commerciale da parte di Goupil.
    Ma a questo punto torniamo almeno in parte al punto di partenza: se i due personaggi non fossero i Verlaine, chi potrebbero essere? Purtroppo con sicurezza possiamo solo dire chi “non” sono.

    Mariantonietta Picone Petrusa


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  • Lotto 56  

    De Nittis Giuseppe

    De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Ritratto della moglie del pittore Rossano
    olio su tela, cm 55,5x38
    firmato in alto a destra: De Nittis

    Provenienza: Coll. Tulino, Parigi; Coll. A. Portolano, Milano

    Esposizioni: Napoli, 1950; VI Quadriennale d'arte Roma, 1952

    Bibliografia: Dipinti di figure e ritratti dell'800 : Galleria Medea, Napoli 1950 n. ord. 17;Cat. VI Quadriennale d'arte Roma, Ed. De Luca Roma 1951,pag 121, n cat. 4; A. Mezzetti ed E. Zocca, Pittori italiani del secondo Ottocento, Ed. De Luca Roma 1952, pag. 64 tav LXIII

    Il sodalizio fra Giuseppe De Nittis e Federico Rossano fu stretto in tempi assai precoci, quando “Peppino” (così veniva affettuosamente chiamato), non ancora ventenne, già andava ricercando il vero in pittura negli anni di studio presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, da cui fu poi notoriamente espulso per motivi disciplinari nel 1863; a questo stesso anno viene dunque comunemente fissato il principio dell’esperienza di Resina, alla cui fondazione parteciparono appunto tanto De Nittis che il Rossano, insieme a Marco de Gregorio ed Adriano Cecioni (anch’essi legati al nostro autore da una solida amicizia e strette interdipendenze artistiche).
    Il manifesto di quella che sarà poi chiamata “Repubblica di Portici” prevedeva in sostanza un recupero del vero rigoroso e scevro da ogni orpello o interpretazione intimista e più in generale sentimentale, opponendosi inoltre alle tendenze artistiche più in voga nella Napoli del tempo che corrispondevano principalmente alle due diverse interpretazioni che proprio della poetica del vero davano da un lato Domenico Morelli e dall’altro Filippo Palizzi. In realtà, e particolarmente proprio nella figura di De Nittis, sempre ricettivo nei confronti delle più disparate suggestioni artistiche, la Scuola di Resina non operò mai un distacco così radicale dall’allora “tradizionale” scuola napoletana del paesaggio, presentandosi di fatto come logica continuazione dei dittami palizziani che manifestamente andava tanto criticando.
    Una nuova e radicale rivoluzione di tutta la poetica del De Nittis prese a svilupparsi dieci anni dopo la “comune” porticese, quando cioè a partire dal 1873 l’artista si stabilì definitivamente a Parigi. La vita frenetica ma raffinata della Belle Époque, l’incontro con gli ultimi Barbizonniers e poi con i vari Impressionisti, quindi la stretta amicizia col pittore James Tissot furono tutte cause che determinarono in momenti diversi (ma generalmente vicini fra loro) un cambiamento in Giuseppe a favore di una pittura generalmente piacevole, incentrata sulla vita della ricca borghesia più à la page e per essa concepita: De Nittis insomma finì per dedicarsi a quell’arte che i sostenitori della Scuola di Resina giudicavano generalmente frivola se non pericolosa (si pensi ai giudizi dello stesso Cecioni o a quelli di Francesco Netti). Appare in effetti incontestabili in questa nuova fase della produzione dell’artista il moltiplicarsi di modelle degne delle più lussuose riviste di moda, divise tra pomeriggi all’ippodromo e soirée all’Opéra, ed anche le composizioni all’aperto, quelle dei boulevard parigini ed in seguito delle strade londinesi, sembrano animate da uno spirito non meno elegante ma al contempo elitario degli interni altoborghesi.
    De Nittis comunque per almeno un lustro non rinunciò del tutto alle sue prime suggestioni pittoriche, ed anzi vi si dedicò anima e corpo in occasione dei suoi ritorni in terra natia; si tratta comunque a ben vedere di riprese più tematiche che stilistiche, in quanto sempre filtrate dalla recente adesione al “realismo borghese”. Nell’orizzonte di questa temperie va collocata ed interpretata anche l’opera proposta, databile con certezza fra il 1880, anno in cui il succitato amico Rossano prese in sposa Zelye Brocheton (anch’ella di origine francese), ed il 1884, anno della morte improvvisa e prematura del De Nittis. La nostalgica memoria degli esordi pittorici e delle passate compagnie viene dunque solo sottintesa in un ritratto del tutto simile a capolavori coevi dell’artista quale può essere un esempio la “Figura di donna” proprio del 1880 (ora alla Pinacoteca “De Nittis” di Barletta), in cui è la moglie dello stesso Giuseppe, Léontine Gruvelle, a far sfoggio della propria eleganza. L’abbandono tuttavia di contrasti cromatici particolarmente accessi e vivaci nonché della tipica verticalità delle ultime opere del De Nittis (caratteristiche entrambe riprese dalla sempre più diffusa stampa giapponese) potrebbe tradire una volontà precisa dell’autore di riconciliarsi con la più sobria aderenza al vero delle sue prime realizzazioni pittoriche.
    ESTIMATE min € 60000 - max € 80000

    Lotto 56  

    De Nittis Giuseppe

    De Nittis Giuseppe De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Ritratto della moglie del pittore Rossano
    olio su tela, cm 55,5x38
    firmato in alto a destra: De Nittis

    Provenienza: Coll. Tulino, Parigi; Coll. A. Portolano, Milano

    Esposizioni: Napoli, 1950; VI Quadriennale d'arte Roma, 1952

    Bibliografia: Dipinti di figure e ritratti dell'800 : Galleria Medea, Napoli 1950 n. ord. 17;Cat. VI Quadriennale d'arte Roma, Ed. De Luca Roma 1951,pag 121, n cat. 4; A. Mezzetti ed E. Zocca, Pittori italiani del secondo Ottocento, Ed. De Luca Roma 1952, pag. 64 tav LXIII

    Il sodalizio fra Giuseppe De Nittis e Federico Rossano fu stretto in tempi assai precoci, quando “Peppino” (così veniva affettuosamente chiamato), non ancora ventenne, già andava ricercando il vero in pittura negli anni di studio presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, da cui fu poi notoriamente espulso per motivi disciplinari nel 1863; a questo stesso anno viene dunque comunemente fissato il principio dell’esperienza di Resina, alla cui fondazione parteciparono appunto tanto De Nittis che il Rossano, insieme a Marco de Gregorio ed Adriano Cecioni (anch’essi legati al nostro autore da una solida amicizia e strette interdipendenze artistiche).
    Il manifesto di quella che sarà poi chiamata “Repubblica di Portici” prevedeva in sostanza un recupero del vero rigoroso e scevro da ogni orpello o interpretazione intimista e più in generale sentimentale, opponendosi inoltre alle tendenze artistiche più in voga nella Napoli del tempo che corrispondevano principalmente alle due diverse interpretazioni che proprio della poetica del vero davano da un lato Domenico Morelli e dall’altro Filippo Palizzi. In realtà, e particolarmente proprio nella figura di De Nittis, sempre ricettivo nei confronti delle più disparate suggestioni artistiche, la Scuola di Resina non operò mai un distacco così radicale dall’allora “tradizionale” scuola napoletana del paesaggio, presentandosi di fatto come logica continuazione dei dittami palizziani che manifestamente andava tanto criticando.
    Una nuova e radicale rivoluzione di tutta la poetica del De Nittis prese a svilupparsi dieci anni dopo la “comune” porticese, quando cioè a partire dal 1873 l’artista si stabilì definitivamente a Parigi. La vita frenetica ma raffinata della Belle Époque, l’incontro con gli ultimi Barbizonniers e poi con i vari Impressionisti, quindi la stretta amicizia col pittore James Tissot furono tutte cause che determinarono in momenti diversi (ma generalmente vicini fra loro) un cambiamento in Giuseppe a favore di una pittura generalmente piacevole, incentrata sulla vita della ricca borghesia più à la page e per essa concepita: De Nittis insomma finì per dedicarsi a quell’arte che i sostenitori della Scuola di Resina giudicavano generalmente frivola se non pericolosa (si pensi ai giudizi dello stesso Cecioni o a quelli di Francesco Netti). Appare in effetti incontestabili in questa nuova fase della produzione dell’artista il moltiplicarsi di modelle degne delle più lussuose riviste di moda, divise tra pomeriggi all’ippodromo e soirée all’Opéra, ed anche le composizioni all’aperto, quelle dei boulevard parigini ed in seguito delle strade londinesi, sembrano animate da uno spirito non meno elegante ma al contempo elitario degli interni altoborghesi.
    De Nittis comunque per almeno un lustro non rinunciò del tutto alle sue prime suggestioni pittoriche, ed anzi vi si dedicò anima e corpo in occasione dei suoi ritorni in terra natia; si tratta comunque a ben vedere di riprese più tematiche che stilistiche, in quanto sempre filtrate dalla recente adesione al “realismo borghese”. Nell’orizzonte di questa temperie va collocata ed interpretata anche l’opera proposta, databile con certezza fra il 1880, anno in cui il succitato amico Rossano prese in sposa Zelye Brocheton (anch’ella di origine francese), ed il 1884, anno della morte improvvisa e prematura del De Nittis. La nostalgica memoria degli esordi pittorici e delle passate compagnie viene dunque solo sottintesa in un ritratto del tutto simile a capolavori coevi dell’artista quale può essere un esempio la “Figura di donna” proprio del 1880 (ora alla Pinacoteca “De Nittis” di Barletta), in cui è la moglie dello stesso Giuseppe, Léontine Gruvelle, a far sfoggio della propria eleganza. L’abbandono tuttavia di contrasti cromatici particolarmente accessi e vivaci nonché della tipica verticalità delle ultime opere del De Nittis (caratteristiche entrambe riprese dalla sempre più diffusa stampa giapponese) potrebbe tradire una volontà precisa dell’autore di riconciliarsi con la più sobria aderenza al vero delle sue prime realizzazioni pittoriche.


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  • Lotto 120  

    Palizzi Filippo

    Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899) Ritorno dai campi olio su tela, cm 50x74 firmato in basso a sinistra: Palizzi Bibliografia: Napoli d'un tempo nelle vedute dell'Ottocento acura di Rosario Caputo, Gall. Vittoria Colonna Napoli 2007 pag. 50
    ESTIMATE min € 55000 - max € 75000

    Lotto 120  

    Palizzi Filippo

    Palizzi Filippo Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899) Ritorno dai campi olio su tela, cm 50x74 firmato in basso a sinistra: Palizzi Bibliografia: Napoli d'un tempo nelle vedute dell'Ottocento acura di Rosario Caputo, Gall. Vittoria Colonna Napoli 2007 pag. 50


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  • Lotto 170  

    Dalbono Edoardo

    Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915) Mercatino rionale napoletano olio su tela, cm 51,5x97,5 firmato e iscritto in basso a destra: E. Dalbono Napoli
    a tergo cartiglio: Milano Internazionale Antiquariato XIX edizione, 8-16 Maggio 2004

    Bibliografia: L’Ottocento napoletano nelle collezioni private, a cura di R. Caputo, Grimaldi & C. Editori, Napoli 1999, tav. LII; L’Ottocento Napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, a cura di L. Martorelli con il contributo di R. Caputo, Galleria Vittoria Colonna, Napoli 2003, pag. 66-67; G. L. Marini, Il valore dei dipinti italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, 2003-2004, U. Allemandi Editore, pag. 253, b/n
    ESTIMATE min € 55000 - max € 75000

    Lotto 170  

    Dalbono Edoardo

    Dalbono Edoardo Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915) Mercatino rionale napoletano olio su tela, cm 51,5x97,5 firmato e iscritto in basso a destra: E. Dalbono Napoli
    a tergo cartiglio: Milano Internazionale Antiquariato XIX edizione, 8-16 Maggio 2004

    Bibliografia: L’Ottocento napoletano nelle collezioni private, a cura di R. Caputo, Grimaldi & C. Editori, Napoli 1999, tav. LII; L’Ottocento Napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, a cura di L. Martorelli con il contributo di R. Caputo, Galleria Vittoria Colonna, Napoli 2003, pag. 66-67; G. L. Marini, Il valore dei dipinti italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, 2003-2004, U. Allemandi Editore, pag. 253, b/n


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  • Lotto 119  

    Migliaro Vincenzo

    Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Cristo a Cariati olio su tela, cm 43x32,4 firmato e iscritto in basso a sinistra: Migliaro Napoli PROVENIENZA: Gall. Mediterranea, Napoli;Gall. Lauro, Napoli, Coll. Privata, Napoli ESPOSIZIONI: Napoli,1957; Napoli, 1959; Napoli, 1997 BIBLIOGRAFIA: Cat. Gall. Mediterranea, Napoli 1957, Tav. 5; A.Schettini, Mostra di pitturadell'Ottocento,Gall. Lauro, Napoli 1959 tav. 14; P. Ricci, "Arte ed artisti a Napoli (1800 - 1943)", Edizioni Banco di Napoli. Napoli 1981(menzione); M.A. Pavone, "Napoli scomparsa nei dipinti di fine '800", Newton Compton Editori,Roma 1987, pag. 95; Catalogo "Civiltà dell' 800. Le arti figurative " Electa Napoli 1997, tav. 17.206. pag. 580; Vincenzo Migliaro" di Rosario Caputo, Grimaldi & co. Editori, Napoli 2001, tav. 33
    ESTIMATE min € 50000 - max € 70000

    Lotto 119  

    Migliaro Vincenzo

    Migliaro Vincenzo Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Cristo a Cariati olio su tela, cm 43x32,4 firmato e iscritto in basso a sinistra: Migliaro Napoli PROVENIENZA: Gall. Mediterranea, Napoli;Gall. Lauro, Napoli, Coll. Privata, Napoli ESPOSIZIONI: Napoli,1957; Napoli, 1959; Napoli, 1997 BIBLIOGRAFIA: Cat. Gall. Mediterranea, Napoli 1957, Tav. 5; A.Schettini, Mostra di pitturadell'Ottocento,Gall. Lauro, Napoli 1959 tav. 14; P. Ricci, "Arte ed artisti a Napoli (1800 - 1943)", Edizioni Banco di Napoli. Napoli 1981(menzione); M.A. Pavone, "Napoli scomparsa nei dipinti di fine '800", Newton Compton Editori,Roma 1987, pag. 95; Catalogo "Civiltà dell' 800. Le arti figurative " Electa Napoli 1997, tav. 17.206. pag. 580; Vincenzo Migliaro" di Rosario Caputo, Grimaldi & co. Editori, Napoli 2001, tav. 33


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  • Lotto 155  

    Gigante Giacinto

    Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876) Sorrento 1840 olio su tela, cm 47x74 firmato e datato in basso a destra: Gia. Gigante 1840
    a tergo: cartiglio caratteri cirillici; cartiglio Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente

    Provenienza: Coll. Elisabetta Adamo Gagarin, Russia; Coll. E. Rosselli, Milano; Galleria Pesaro, Milano; Galleria E. Sacerdoti, Milano;Galleria Giosi, Napoli; Galleria Nuova Bianchi d’Espinosa, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Milano, 1931; Milano 1954; Napoli 1975



    Bibliografia: Raccolta Emanuele Rosselli, Galleria Pesaro, Milano marzo 1931, num. ord. 23, tav. 81;
    Cat. mostra “Il paesaggio italiano, artisti italiani e stranieri”, Milano 1954; Cat. Galleria Giosi, Napoli 1975 n° cat. 73, in copertina;
    Ottocento, Cat. dell’Arte Italia dell’Ottocento, n° 27, Ed. Giorgio Mondadori, Milano 1998, pag. 150;
    I. Valente, I luoghi incantati della Sirena nella pittura napoletana dell’Ottocento, F. Di Mauro Ed., Napoli 2009, pag. 83; R. Caputo,
    ESTIMATE min € 50000 - max € 80000

    Lotto 155  

    Gigante Giacinto

    Gigante Giacinto Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876) Sorrento 1840 olio su tela, cm 47x74 firmato e datato in basso a destra: Gia. Gigante 1840
    a tergo: cartiglio caratteri cirillici; cartiglio Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente

    Provenienza: Coll. Elisabetta Adamo Gagarin, Russia; Coll. E. Rosselli, Milano; Galleria Pesaro, Milano; Galleria E. Sacerdoti, Milano;Galleria Giosi, Napoli; Galleria Nuova Bianchi d’Espinosa, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Milano, 1931; Milano 1954; Napoli 1975



    Bibliografia: Raccolta Emanuele Rosselli, Galleria Pesaro, Milano marzo 1931, num. ord. 23, tav. 81;
    Cat. mostra “Il paesaggio italiano, artisti italiani e stranieri”, Milano 1954; Cat. Galleria Giosi, Napoli 1975 n° cat. 73, in copertina;
    Ottocento, Cat. dell’Arte Italia dell’Ottocento, n° 27, Ed. Giorgio Mondadori, Milano 1998, pag. 150;
    I. Valente, I luoghi incantati della Sirena nella pittura napoletana dell’Ottocento, F. Di Mauro Ed., Napoli 2009, pag. 83; R. Caputo,


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  • Lotto 61  

    Gigante Giacinto

    Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)
    Terrazza ad Amalfi
    olio su tela cm 49,5x75,9
    firmato e datato in baso a destra: Gia Gigante 1847

    Provenienza: M. Newman Ltd, Londra; Christie's, Londra King Street; Coll.privata, Napoli

    Bibliografia: Cat. vendita 5925 Christie's , Victorian & 19th Century Pictures, Londra 1998; Rosario Caputo, Panorama Pittorico Napoletano dell'Ottocento, Napoli 2002, p. 47; R. Caputo, Infinite Emozioni La Scuola di Posillipo,Ed. VP Napoli 2010, pag. 206 a colori; Ottocento.Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento – primo Novecento, n.44, Ed. Metamorfosi Milano 2016, pag. 67 a colori

    La produzione di Giacinto Gigante viene più comunemente associata alla Scuola di Posillipo, a quel gruppo di artisti cioè che seguendo gli insegnamenti di Anton Sminck van Pitloo (e sotto l’influenza dunque della pittura nordeuropea) si discostarono dal vedutismo più propriamente settecentesco per introdurre una propria interpretazione sentimentale dei paesaggi che gli sti stagliavano di fronte (rigorosamente ritratti dal vero, al contrario di quanto era solito fare allora nelle accademie); l’aggregazione dei
    suddetti pittori proprio a Posillipo non fu certo casuale, e non mancò forse fra varie motivazioni la volontà di raffigurare scorci facilmente vendibili poiché assai cari agli avventori del Grand Tour.
    Prima dell’incontro con Pitloo il più importante (nonché primo) maestro del Gigante fu suo padre Gaetano, anch’egli artista, il quale diede i primi rudimenti di pittura al figlio Giacinto appena adolescente. Agli interessi paterni va probabilmente ricondotta una ricca produzione del nostro autore tutta incentrata sul costume popolare, che
    travalicò gli anni giovanili ripresentandosi più e più volte nel corso della sua vita, tanto in pittura quanto in grafica (in cui Giacinto pure fu prolifico).
    L’importante opera proposta riprende – si può dire – il gusto di entrambi i mentori del Gigante sopracitati: alla figure popolari in primo piano, tanto più folkloristiche poiché associate alla canzone napoletana classica e ad uno dei suoi più tipici nonché principali strumenti, il mandolino, s’aggiunge un suggestivo scorcio tutto posillipista
    che, pregno di quei toni rosacei tanto cari al suo autore, consente allo sguardo dell’osservatore di rimirare tutto il golfo di Salerno fino al Capo d’Orso. Del resto lo stesso pergolato da cui è possibile una tale visione, quello cioè del celeberrimo convento dei frati cappuccini ad Amalfi (e non, come si è detto talvolta, di una generica
    struttura a Sorrento), costituisce un luogo assai caro agli autori del tempo, tanto italiani
    che stranieri, sicché se ne ritrovano molteplici rappresentazioni tanto nell’opera del Gigante che degli altri posillipisti, e finanche in alcune lastre fotografiche di Giorgio Sommer e Giacomo Brogi.
    La scelta di un soggetto di così chiara fama spiega insomma anche il successo di cui quest’opera ha goduto nel tempo sul mercato artistico: al passaggio per le mani della Newman Fine Art Dealers Ltd., protagonista sulla scena britannica di molteplici
    importanti compravendite (quali quelle di varie opere preraffaellite), si aggiungono più sigilli in ceralacca che testimoniano l’appartenenza del dipinto ad altrettante importanti collezioni private, fino alla vendita alcuni anni fa presso l’importante casa d’aste Christie’s di Londra.
    Infine la datazione dell’opera fornita dal suo stesso autore la colloca nel periodo (fra quarto e quinto decennio dell’Ottocento) in cui il Gigante, stabilitosi nell’area sorrentina, ivi sperimentò le variazioni cromatiche naturali in pittura, adoperando talvolta anche la tecnica ad olio che rimane comunque più rara all’interno dell’intera
    sua produzione.
    ESTIMATE min € 50000 - max € 80000

    Lotto 61  

    Gigante Giacinto

    Gigante Giacinto Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)
    Terrazza ad Amalfi
    olio su tela cm 49,5x75,9
    firmato e datato in baso a destra: Gia Gigante 1847

    Provenienza: M. Newman Ltd, Londra; Christie's, Londra King Street; Coll.privata, Napoli

    Bibliografia: Cat. vendita 5925 Christie's , Victorian & 19th Century Pictures, Londra 1998; Rosario Caputo, Panorama Pittorico Napoletano dell'Ottocento, Napoli 2002, p. 47; R. Caputo, Infinite Emozioni La Scuola di Posillipo,Ed. VP Napoli 2010, pag. 206 a colori; Ottocento.Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento – primo Novecento, n.44, Ed. Metamorfosi Milano 2016, pag. 67 a colori

    La produzione di Giacinto Gigante viene più comunemente associata alla Scuola di Posillipo, a quel gruppo di artisti cioè che seguendo gli insegnamenti di Anton Sminck van Pitloo (e sotto l’influenza dunque della pittura nordeuropea) si discostarono dal vedutismo più propriamente settecentesco per introdurre una propria interpretazione sentimentale dei paesaggi che gli sti stagliavano di fronte (rigorosamente ritratti dal vero, al contrario di quanto era solito fare allora nelle accademie); l’aggregazione dei
    suddetti pittori proprio a Posillipo non fu certo casuale, e non mancò forse fra varie motivazioni la volontà di raffigurare scorci facilmente vendibili poiché assai cari agli avventori del Grand Tour.
    Prima dell’incontro con Pitloo il più importante (nonché primo) maestro del Gigante fu suo padre Gaetano, anch’egli artista, il quale diede i primi rudimenti di pittura al figlio Giacinto appena adolescente. Agli interessi paterni va probabilmente ricondotta una ricca produzione del nostro autore tutta incentrata sul costume popolare, che
    travalicò gli anni giovanili ripresentandosi più e più volte nel corso della sua vita, tanto in pittura quanto in grafica (in cui Giacinto pure fu prolifico).
    L’importante opera proposta riprende – si può dire – il gusto di entrambi i mentori del Gigante sopracitati: alla figure popolari in primo piano, tanto più folkloristiche poiché associate alla canzone napoletana classica e ad uno dei suoi più tipici nonché principali strumenti, il mandolino, s’aggiunge un suggestivo scorcio tutto posillipista
    che, pregno di quei toni rosacei tanto cari al suo autore, consente allo sguardo dell’osservatore di rimirare tutto il golfo di Salerno fino al Capo d’Orso. Del resto lo stesso pergolato da cui è possibile una tale visione, quello cioè del celeberrimo convento dei frati cappuccini ad Amalfi (e non, come si è detto talvolta, di una generica
    struttura a Sorrento), costituisce un luogo assai caro agli autori del tempo, tanto italiani
    che stranieri, sicché se ne ritrovano molteplici rappresentazioni tanto nell’opera del Gigante che degli altri posillipisti, e finanche in alcune lastre fotografiche di Giorgio Sommer e Giacomo Brogi.
    La scelta di un soggetto di così chiara fama spiega insomma anche il successo di cui quest’opera ha goduto nel tempo sul mercato artistico: al passaggio per le mani della Newman Fine Art Dealers Ltd., protagonista sulla scena britannica di molteplici
    importanti compravendite (quali quelle di varie opere preraffaellite), si aggiungono più sigilli in ceralacca che testimoniano l’appartenenza del dipinto ad altrettante importanti collezioni private, fino alla vendita alcuni anni fa presso l’importante casa d’aste Christie’s di Londra.
    Infine la datazione dell’opera fornita dal suo stesso autore la colloca nel periodo (fra quarto e quinto decennio dell’Ottocento) in cui il Gigante, stabilitosi nell’area sorrentina, ivi sperimentò le variazioni cromatiche naturali in pittura, adoperando talvolta anche la tecnica ad olio che rimane comunque più rara all’interno dell’intera
    sua produzione.


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