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ASTA 26.05.2016 19:00 NAPOLI Visualizza le condizioni
ASTA N.101


- 50 OPERE DEL NOVECENTO NAPOLETANO

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26/05/2016 19.00

ASTA N.102

- DIPINTI DEL XIX E XX SECOLO PROVENIENTI DALLA COLLEZIONE DEL POETA E SCRITTORE LIBERO BOVIO

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26/05/2016 19.00


ASTA N.103

- DIPINTI DEL XIX E XX SECOLO PROVENIENTI DA COLLEZIONI PRIVATE

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Esposizione:

da Venerdì 20 a giovedì 26 Maggio 2016
10:00 - 19:00
domenica 22: 10:00-14:00 / 16:00-20:00
giovedì 26: 10: 00-14:00
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Fanciulle al bagno olio su tela cm 64,5x81 firmato e datato in basso al centro: Palizzi 51

    Bibliografia: A. Schettini, La Pittura napoletanadell'Ottocento E.D.A.R.T. Napoli 1966 vol I pag. 121

    Non sarebbe stato difficile probabilmente datare quest’opera anche qualora Giuseppe Palizzi non l’avesse fatto in prima persona, riconoscendosi in essa già al primo sguardo la foresta di Fontainebleau, particolarmente cara all’artista e ricorrente pertanto in una folta schiera di sue opere, tanto da far ribattezzare l’autore «le Sylvain» all’interno della comunità artistica di Parigi, città in cui egli giunse tra il 1844 e l’anno seguente, dopo la definitiva rottura con l’ambiente accademico napoletano ed in particolare con Gabriele Smargiassi. L’arrivo della tela in questione nel capoluogo campano potrebbe dunque risalire già alla fine del secolo diciannovesimo, quando alla morte dell’autore il fratello Filippo cercò di vendere tutto il possibile in Francia e riportò con sé in terra natia quel che rimase.
    Comunque Giuseppe Palizzi del suddetto Smargiassi (che pure fu suo maestro durante gli anni di formazione) conservò una qualche influenza se, pur innovando radicalmente l’approccio di fondo alla sua pittura di paesaggio, rigorosamente ritratto dal vero come andavano facendo i nuovi amici della Scuola di Barbizon, conferì a questo spesso un’aura idillica e romantica, come è chiaramente impresso del resto proprio sull’opera proposta, i cui eleganti personaggi sembrano attardarsi dal secolo precedente piuttosto che anticipare i protagonisti de “Le déjeuner sur l'herbe” di Édouard Manet (che pure il Palizzi conobbe), i quali avrebbero fatto capolino al Salon des Refusés dieci anni più tardi.
    Per le simpatie maturate nel corso della nuova vita parigina è logico nonché giusto pensare poi per il Palizzi anche un confronto col maestro indiscusso del paesaggio francese dell’Ottocento, Théodore Rousseau, un confronto tutto giocato senza ombra di dubbio sul geometricamente ristretto eppur potenzialmente infinito campo della tavolozza adoperata dai due pittori: se infatti il caposcuola dei Barbisonnier, legato a suggestioni tutte fiamminghe, preferì sempre come è noto caratteristiche tinte rossastre, l’artista di Vasto vi oppose colori più freddi, tra una gran varietà di verdi ed il nero, così come gli fu imposto dallo spettacolo della natura che gli si manifestò tante volte tra luci ed ombre nei meandri dell’adorata foresta alle porte di Parigi.
    Stima minima €4000
    Stima massima €7000
  • Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899) Cavalli in amore olio su tela cm 31x44,5 firmato in basso a sinistra: Fil. Palizzi


    Nella carriera di Filippo Palizzi, costellata di innumerevoli esposizioni, onorificenze ed incarichi istituzionali conferiti, dunque in generale di grande successo sia in Italia quanto all’estero, il rapporto tra l’artista ed il mondo animale occupa uno spazio assai cospicuo; non a caso del resto su una vasta bibliografica ricorre spesso la precisa espressione di “realismo animalista” in proposito del quintogenito di casa Palizzi.
    Se in effetti il rapporto suddetto potrebbe essere fatto risalire proprio ai primi anni di vita del nostro artista, quando egli con i fratelli (detti “muse”) modellava in creta elementi del presepio, per un più significativo (determinante, in realtà) confronto bisognò attendere gli anni napoletani, quando Filippo, pur avendo abbandonato gli studi accademici al Real Istituto di Belle Arti, per partecipare ugualmente ai concorsi da esso banditi prese a ritrarre animali dal vero nelle campagne.
    In una prima fase, coincidente grosso modo col quinto decennio dell’Ottocento, il Palizzi in realtà non dovette nella rappresentazione del mondo animale comportarsi molto differentemente da quanto già andava facendo per i costumi popolari, dividendosi cioè tra visione concreta del reale e studio di repertori di incisioni altrui: nel campo specifico della raffigurazione di equini fu ad esempio piuttosto logico ispirarsi ad opere inglesi, principalmente (a quanto sappiamo da documenti e confronti stilistici) quelle di John Frederick Herring. Ben nota è pure una iniziale influenza subita da parte della fisiognomica settecentesca di Lavater, testimoniata da disegni in cui i profili animali sono associati a volti umani caratterizzati dalle medesime espressioni.
    Un cambiamento di rotta sensibile, o meglio un ribaltamento della situazione di partenza, si verificò invece nel corso degli anni Sessanta, quando cioè Filippo si convinse del fatto che gli animali fossero in realtà ben più interessanti da rappresentare degli uomini stessi, e per una motivazione non in qualche modo ancora moralistica quanto piuttosto puramente estetica: l’attenzione veniva tutta a concentrarsi nella resa della primordiale comunione tra fauna e flora nonché dei molteplici effetti ottici determinati dal diverso posarsi della luce sul pelo ferino. A testimonianza di questa sfida rimane l’opera proposta in cui, in uno spazio recintato che lascia solo sottintendere la presenza umana, stanno alcuni cavalli a ruminare, dei quali i due in primo piano presentano in effetti sul manto vellutato un sapiente gioco chiaroscurale che modella ed esalta tangibilmente i possenti muscoli sottostanti, quasi fossimo in presenza di una scultura tridimensionale piuttosto che di un semplice dipinto.
    Stima minima €8000
    Stima massima €13000
  • Gaeta Enrico (Castellamare di Stabia 1840 - 1887 )
    Tetti olio su tela, cm 52x64 Sul retro cartiglio delle “Celebrazioni della Campania”

    Esposizioni: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli settembre 1936; Napoli,Associazione “Circolo ArtisticoPolitecnico”, 03 - 14 Maggio2014

    Bibliografia: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli 1936, pag. 95 n.59; Don Riccardo,Artecatalogo dell’Ottocento “Vesuvio” dei pittori napoletani, Editorialtipo, Roma 1973, pag. 48; Enrico Gaeta a cura di Rosario Caputo , Ed. Vincent Napoli 2014, tav 6,pag. 20

    Più di altri pezzi della purtroppo esigua produzione dell’autore, morto prematuramente, l’opera proposta si denota come assai vicina al capolavoro indiscusso del Gaeta, “I pini” (in esposizione molteplici volte tra Italia ed estero), per il forte lirismo che la pervade principalmente grazie al sapiente uso dei colori, che colpì finanche il grande Raffaello Causa, il quale proposte in generale per lo stile del Gaeta, ma riferendosi specificamente sia a “I pini” suddetti che a questa tela (nel suo commento intitolata “Veduta di tetti a Quisisana”), una certa consonanza coi primi Macchiaioli toscani.
    Se l’ambiente de “I pini” è tuttavia visibilmente crepuscolare, qui la luce appare più probabilmente come meridiana, e determina di conseguenza le gamme cromatiche adoperate, dal ventaglio di gialli ed aranci che identificano inequivocabilmente i materiali di costruzione delle case popolari (più volte è stata sottolineata la sorprendete abilità del Gaeta nella riproduzione delle mura rustiche, screpolate, palpabilmente materiche nelle sue opere) ai molteplici toni di verde notoriamente cari all’autore, vividi o cupi tra una macchia di vegetazione e l’altra a seconda di dove si posino i raggi solari. Questo trattamento dello spazio-luce pure caratterizza le serie di tele che Gaeta dedicò a Pompei (allora ancora oggetto dei nuovi scavi cominciati da Fiorelli pochi decenni prima) sotto l’influenza dell’amico Giacinto Gigante, nonché può considerarsi visibile esempio dell’adesione (non sempre dichiarata) dell’autore alla Scuola di Resina ed in particolare a certi modi di Marco De Gregorio, suo mentore per un certo periodo: la stessa composizione ritmica di quest’opera, assai particolare, fondata sul contrasto di pieni e vuoti e luci ed ombre nel susseguirsi e nel sovrapporsi degli edifici di Quisisana, ricorda del resto per certi versi la struttura di un celebre quadro dell’artista porticese, “La Strada di Resina”.
    Stima minima €7000
    Stima massima €13000
  • Marinelli Vincenzo Soggetto orientalista olio su tavola cm 35,5x27,5

    Provenienza: Eredi dell'artista; coll. privata,Napoli

    Esposizione: Potenza, Pinacoteca Provinciale 18 giugno -7settembre 2002; Potenza- Pinacoteca Provinciale 28 marzo - 2 giugno 2015

    Bibliografia: Pittori lucani dell'800 e dei primi del '900, a cura di S. AbitaPotenza 2002 pag. 22; M.C. Minopoli, Vincenzo Marinelli. L'avventura intellettuale diun artista romantico, Paparo Ed. , Napoli 2005 tav. XX ; I. Valente, Vincenzo Marinelli e gli artisti lucani del suo tempo, Calice ed. Rioneroin Vulture, PZ 2015, pag. 80
    Stima minima €1500
    Stima massima €2500
  • Marinelli Vincenzo (S. Martino D'Agri, PZ 1819 - Napoli 1892) Cristo che battezza dei ragazzini olio su tavola, cm 12,5x21 firmato in basso a sinistra: V. Marinelli

    Provenienza: Eredi dell'artista; coll.privata,Napoli

    Esposizione: Potenza- Pinacoteca Provinciale 28marzo - 2 giugno 2015

    Bibliografia I. Valente, Vincenzo Marinelli e gli artisti lucani del suo tempo, Calice ed. Rioneroin Vulture, PZ 2015, pag. 97
    Stima minima €2400
    Stima massima €3200
  • Morelli Domenico (Napoli 1823 - 1901) La tratta degli schiavi olio su tela cm 86x175

    a tergo antica etichetta recante la scritta:

    MOSTRA NAZIONALE 30 DICEMBRE 1932? MUSEO S. MARTINO NAPOLI

    L’opera è praticamente gemella di quella oggi custodita al Museo di San Martino di Napoli, ove giunse nel 1911 tra i numerosi pezzi della ricca collezione di Paolo e Beniamino Rotondo, promotori di un importante circolo culturale dell’epoca.
    In vero nei testi più antichi al tema rappresentato è dato un tiolo diverso, “Preda del corsaro” (in Primo Levi l’Italico, ad esempio, che definisce inoltre l’opera «fra le più preziose gemme della pittura Morelliana»), ricollegandolo così al vasto repertorio di opere di George Gordon Byron di cui Morelli fu notoriamente appassionato (come tanti suoi contemporanei, del resto): dal Lord inglese fu infatti pubblicato nel 1814 il poema “Il Corsaro”, e se già più d’un artista – pittore, scultore o musicista che fosse – vi si inspirò per la propria opera, Morelli vi lavorò fin dal 1847, contestualmente all’amico Giuseppe Verdi che presentò un’omonima composizione l’anno successivo a Trieste; dalla trama byroniana il Morelli trasse poi anche “Il conte Lara” celeberrimo del 1861, in collezione Vonwiller e poi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dal 1901 (anno di morte dell’autore).
    «Tutte le volte che si parla […] di tecnica moderna, di espressione si venga qui ad apprenderne i segreti», sentenziò negli anni ’20 del Novecento Vittorio Spinazzola a proposito di quest’opera, ed è difficile a quasi un secolo di distanza trovare parole migliori; gli insegnamenti di Morelli del resto superarono senza dubbio il suo tempo, finendo probabilmente per influenzare finanche i grandi autori dell’Informale. La varietà cromatica è stupefacente e tuttavia armonicamente disposta con grande maestria, con gli incarnati scuri ed il ventaglio di verdi dello sfondo puntualmente contrappuntati dai bianchi tipicamente morelliani o comunque dai toni più chiari, che vivacizzano (per quanto possibile) la composizione. Anche il non finito, che pure caratterizza tanti altri capolavori del Morelli a questo coevi (basti pensare alle tele sui Foscari o ai quadri più spiccatamente orientalisti, come “I profughi di Aquileia” o “La preghiera prima della battaglia di Od”), non preclude affatto la forza espressiva e la definizione psicologica di ogni singolo giovinetto ammassato in primo piano, tra chi sonnecchia, chi si preoccupa per la propria triste condizione, chi sfida spavaldamente lo sguardo dello spettatore.
    Stima minima €7000
    Stima massima €12000
  • Postiglione Raffaele Postiglione Raffaele (Napoli 1818 - 1897) L'Imperatore Claudio fa uccidere il suo legatario Asiatico olio su tela, cm 59x78 a tergo iscritto:

    L'imperatore Claudio fa uccidere il suo legatarioAsiatico su istigazione di Messalina sua moglie. Raffaele Postiglione offre in dono al sig dirigente comm. Giacomo Muzzi V l,.
    Stima minima €2500
    Stima massima €4500
  • Di Chirico Giacomo (Venosa, PZ 1844 - Napoli 1883) Autoritratto olio su tela, cm 60x50 firmato al centro: G. Di Chirico
    Stima minima €2000
    Stima massima €3000
  • Mancini Francesco detto Lord (Napoli 1830 - 1905) Contadini alle messi olio su tela, cm 94x150 firmato e datato in basso a destra: F. Mancini 68 a tergo timbro Gall. Edmondo Sacerdoti, Milano;cartiglio Gall. Bianchi d'Espinosa & Rossato

    Provenienza: Gall. Sacerdoti, Milano; Gall. Bianchi d'Espinosa & Rossato ; coll. privata, Napoli

    Esposizioni:Galleria d'arte Bianchi d'Espinosa & Rossato ,Napoli 1972 Bibliografia:Cat. Galleria d'arte Bianchi d'Espinosa & Rossato, Napoli 1972, tav. 22 n° cat 66

    Se la ricca produzione che gli valse il celebre soprannome di Lord fu tutta incentrata sugli svaghi dell’alta società inglese (che assiduamente frequentava), con qualche eccezione squisitamente folclorica (e comunque fortemente influenzata dai modi di artisti locali quali Leitch e Stanfield) solo per soddisfare le richieste degli amici collezionisti londinesi, il primo repertorio di Francesco Mancini andò oscillando fra il vedutismo ancora fortemente romantico di Gabriele Smargiassi (suo mentore negli anni di formazione al Real Istituto di Belle Arti di Napoli durante il quinto decennio dell’Ottocento), pur arricchito di frequenti studi dal vero nel corso di più viaggi per tutto il Meridione italiano, ed il nuovo naturalismo di Filippo Palizzi, lo studio del quale il nostro frequentò a partire dal 1858, conoscendo così anche l’Altamura, il Morelli, il Tedesco ed in generale tutto il gruppo degli artisti calabresi (cui Francesco si sentì affine anche per afflato risorgimentale).
    Eccellente riprova di questa duplice tendenza costituisce la grande opera proposta: lo scenario deve far pensare ad una attenta riproduzione dal vero, mostrando inoltre i segni evidenti della sempre maggiore sensibilità atmosferica e luministica che il Mancini andò via via maturando verso le svariate e molteplici condizioni del tempo e delle stagioni, laddove i suoi personaggi, in tipici ma stranamente lindi abiti popolari, tradiscono una certa trasfigurazione del mondo contadino ed i suoi lavori in senso lirico e sognante, più vicino al ricercato souvenir per gli ultimi viaggiatori del Grand Tour che alla difficile realtà sociale vissuta al tempo dai ceti più bassi del Sud Italia.
    Stima minima €7500
    Stima massima €12500
  • Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912) Bosco olio su tavola, cm 20,7x14,5 firmato in basso a destra: Rossano a tergo iscritto: opera del maestro Federico Rossanorepubblica di Portici 1877 Roberto Conte
    Stima minima €700
    Stima massima €1200
  • Dalbono Edoardo attr. ( Napoli 1841 - 1915) Figura femminile olio su tela, cm 21x17,5 a tergo firmato E. Dalbono
    Stima minima €450
    Stima massima €750
  • Casciaro Giuseppe (Ortelle, LE 1863 - Napoli 1941) Vaso con fiori pastelli su carta, cm 44x52 firmato e datato in basso a destra: G. Casciaro 10 aprile XIII a tergo: timbro Giuseppe Casciaro,Napoli; cartiglio Galleria Bianchi d'Espinosa & Rossato, Napoli

    Esposizioni: Napoli 1972 Bibliografia : cat. Galleria Bianchi d'Espinosa & Rossato, febbraio 1972, n° cat. 103 ill. 12
    Stima minima €1400
    Stima massima €2800
  • Mancini Antonio (Albano Laziale 1852 - Roma 1930 ) La spagnola olio su tela cm 140x70 firmato,iscritto e datato in alto a destra: A.Mancini Frascati 914

    Nell’anno di esecuzione di questa tela Antonio Mancini era – lui stesso tiene a farcelo sapere – a Frascati. S’era già verificato dunque l’abbandono praticamente definitivo dell’adottiva Napoli (l’artista vi tornò solo nel ’23) a seguito di una nuova crisi psichica (non è chiaro per quale traumatica motivazione), già avvenuta era pure l’improvvisa e scioccante separazione dal padre Paolo, unico sostegno del pittore nei suoi momenti più bui; ancora nelle difficoltà economiche dovute al recente trasferimento a Roma, predato da meschini affaristi pronti a privarlo per pochi spicci dei capolavori presenti nel suo studio, il Mancini trovò rinnovata protezione in Peppino Giosi, raffinato mercante locale, il quale – si può dirlo senza errore – rivoluzionò la vita dell’artista, curandone non solo gli affari ma anche la vita sociale (ridotti furono, in realtà, i rapporti con gli avventori per non sollecitare la delicata personalità del pittore). Ecco nuovamente allora la sospirata serenità per Antonio, ecco il soggiorno di Frascati durante il quale, lo raccontò pare Giuseppe Casciaro, all’autore mancò terribilmente proprio l’amico Giosi, primo pensiero al ritorno a Roma.
    Anche stilisticamente parlando siamo dunque lontani dal (primo) periodo napoletano, dai guappetielli, dagli ultimi, dalla miseria, ora che le figure umane, meticolosamente riportate sulle tele grazie all’uso di un caratteristico doppio reticolato che resta (come nel caso proposto) molto spesso visibile al di sotto della superficie pittorica dei quadri romani, si fanno più ricche, voluminose, pesanti, e paiono quasi fuoriuscire dallo spazio della rappresentazione ed invadere quello dell’osservatore grazie a pennellate fortemente materiche, quasi schizzi distribuiti direttamente dal tubetto di pittura, alternativa tutta caratteristica del Mancini alle più tradizionali mezze tinte per la resa dei chiaroscuri, che risultano così assai più realistici; ad animare ulteriormente la composizione l’autore pure prese ad inserire nel medium frammenti d’altri materiali, tutti comunque fortemente riflettenti (qui capita rinvenire qualche pezzetto metallico, ad esempio), per inondare di nuova e concreta luce le sue ultime, meravigliose opere.
    Stima minima €25000
    Stima massima €35000
  • Gemito Vincenzo (Napoli 1852 - 1929) Matilde che legge tecnica mista su carta, cm 15,5x11 firmato in basso a destra: V. Gemito
    Stima minima €1000
    Stima massima €2000
  • Netti Francesco (Santeramo in Colle 1832 -1894) Marinaretto olio su tela, cm 46,5x37 firmato in basso a destra: F. Netti
    Stima minima €1500
    Stima massima €2500
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