Le aste sono disponibili solo online causa COVID-19 Avviso
thumb
thumb
thumb
ASTA N. 108

lotto 244

  • Mancini Antonio (Roma 1852 - 1930)
    Ritratto
    olio su tela, cm 54x35,5
    firmato in basso a sinistra: A. Mancini
    a tergo ritratto femminile

    Opera registrata presso l'Archivio Mancini con il codice n. 95 (8) 0820 AV 2009
    Bibliografia: OTTOCENTO Catalogo dell'arte Italiana dell'Ottocento n. 36, Ed. Metamorfosi Milano 2007, pag. 329


    Non è poi così raro, tanto più fra le opere dell’Ottocento, incappare in una tela o magari una tavola lavorate su entrambe le superfici: col radicale mutamento in età contemporanea dei meccanismi sottostanti la creazione dell’opera d’arte, ovvero con a non più necessaria presenza del primo fra i due poli del tradizionale rapporto committenza-artisti, furono questi ultimi a dover spesso cercare di accaparrarsi qualche illustre protettore (e non più vice versa), dandosi alla spasmodica produzione di opere da presentare al più vasto pubblico possibile, in continuo via vai dentro e fuori i confini italici e generalmente (e conseguentemente) in assidua penuria di denaro, costretti dunque come è ovvio a riutilizzare sostegni già dipinti, o materiali già adoperati in qualche modo.
    La vicenda di Antonio Mancini costituisce a tal proposito un exemplum memorabile, lui che mancava costantemente di tele, tavole, colori con cui lavorare (cui provvedevano il Morelli, suo grande maestro, e vari amici, fra cui soprattutto Gemito e Fabron), lui che confessò all’amico (e suo discreto collezionista) Giuseppe Casciaro d’essere stato «un derubato cronico».
    In effetti un difetto non trascurabile del Mancini fu il non preoccuparsi troppo della vendita delle sue opere, cioè del suo vantaggio e dunque del suo sostentamento (finendo spesso come si è detto nelle mani di mercanti di poca importanza e vergognosamente avidi), tutto perso com’era nella ricerca della perfetta resa luministica attraverso i più vari modi di stendere gli impasti pittorici. L’opera qui proposta va appunto apprezzata alla luce (è il caso di dirlo) di questa indagine spasmodica,come prova tangibile cioè dell’evoluzione di estetica e stile cui Antonio Mancini andò incontro, insomma come testimonianza storico-artistica e non come semplice e banale caso di reimpiego.
    Sul recto dunque abbiamo un dipinto più probabilmente del periodo napoletano, quando Mancini si dedica prettamente ad opere di piccolo formato, spesso schizzate con sensibilità impressionistica ed adoperate come merce di scambio per pagare i propri creditori. Il fondo rafforzerebbe questa ipotesi, richiamando sia la foglia d’oro delle grandi tavole del passato di cui il Mancini andava nutrendosi avidamente di chiesa in chiesa durante gli anni della giovinezza (sotto suggerimento del Morelli),sia le soluzioni adottate in alcuni dipinti del tempo, quali il meraviglioso “Prevetariello” (1870, in collezione Rotondo e poi a Capodimonte); potrebbe confermare la datazione anche il soggetto rappresentato, se vi si vuole identificare a partire dalla caratteristica, folta chioma Luigi Gianchetti o Luigiello, modello d’elezione per il Mancini del primo periodo e protagonista di capolavori quali “Dopo il duello” del 1872 ed il grosso modo coevo “Scugnizzo col salvadanaio”.
    Più difficile invece risulta asserire se pure il verso ritragga il medesimo personaggio, vuoi per i lineamenti (almeno apparentemente) più duri e maturi, vuoi per l’abbigliamento visibilmente femminile (per cui si tratterebbe allora per lo meno di un caso di travestimento). La datazione più tarda (certamente al periodo romano) si baserebbe sostanzialmente sull’evidente traccia lasciata sulla tela dal reticolo di spaghi di cui abbiamo notizia Mancini si servì solo a partire dai tardi anni Ottanta del diciannovesimo secolo, al fine di ottenere una maggiore esattezza dell’impianto prospettico. Attorno a questa caratteristica quadrettatura il raggrumarsi della materia pittorica s’è definitivamente sostituito alle pennellate giovanili, quasi colando nella sua pesante densità al di fuori dello spazio della rappresentazione, sulla cui superficie il gioco dei chiaroscuri risulta così effettivamente concreto e tangibile, termine ultimo e maturo di una ricerca luministica e cromatica durata una vita intera.

Stima €8000 - €12000
Informazione asta 03/12/2016 17:00