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ASTA N.117

lotto 48

  • Gemito Vincenzo (Napoli 1852 - 1929)
    Autoritratto
    tempera su carta, cm 52x40
    firmato e datato in basso a destra: V. Gemito 1916

    a tergo iscritto Galleria Bollardi Milano


    Provenienza: Galleria Bollardi Milano; Coll. T. Giosi Napoli; Coll. E. Catalano Napoli


    Bibliografia: A. Schettini, La pittura napoletana dell’Ottocento, Vol. II, E.D.A.R.T., Napoli 1967, pag. 271; N. D’Antonio, Pittura e Costume a Napoli fra Otto e Novecento. Incontri con Tullio Giosi, Ed. Fausto Fiorentino, Napoli 1995, pag. 52

    Vincenzo Gemito è stato a lungo l’unico artista napoletano del secolo diciannovesimo ed esser ricordato in pratica dalla storiografia di settore (fino alla recente riscoperta di tanti maestri suoi contemporanei), complici i numerosi riconoscimenti ottenuti in vita dentro e fuori la penisola italica nonché il favore riservatogli durante l’età fascista (addirittura dallo stesso Mussolini).
    Il solo udire il cognome di questo artista subito riporta alla mente la sua vasta e celeberrima produzione scultorea, tipicamente ricreata “per porre” di materiali semplici (soprattutto gesso e terracotta, e solo più tardi bronzo) ma altamente espressivi, nonché sempre all’insegna di una stretta aderenza al dato reale, così come Stanislao Lista (uno dei suoi primi maestri, insieme al Caggiano) andava propugnando in scultura allo stesso modo di Filippo Palizzi in pittura.
    Il genio di Gemito non sta tuttavia solo in opere quali il “Giocatore”, il “Pescatorello”, ’”Acquaiolo” (e generalmente tutti i numerosi ritratti di guappetielli locali) o il “Filosofo” (raffigurante il suo amato patrigno Masto Ciccio), ma anche (e anzi prima ancora, trattandosi spesso di studi preparatori) nella ricca produzione grafica, già lodata in passato da tanti maestri indiscussi: Alberto Savinio molto ne sottolineò il valore artistico, e suo fratello Giorgio De Chirico arrivò perfino a paragonare Gemito a Dürer! I disegni di Vincenzo cominciarono ovviamente col suo apprendistato artistico, come ovvi progetti cioè di successive creazioni scultoree, ma si fecero poi particolarmente numerosi e, soprattutto, fini a se stessi ed assolutamente indipendenti dall’arte favorita del proprio autore negli ultimi decenni della vita di questi, ovvero nel ventennio (circa) della follia, allorché sconvolgenti eventi nella biografia di Gemito uniti a delusioni in ambito lavorativo (specialmente legate, quest’ultime, alla difficile realizzazione delle commissioni reali per la statua del Carlo V per il Palazzo Reale di Napoli e per un “Trionfo da tavola” in argento da custodirsi presso la Reggia di Capodimonte) lo costrinsero finanche al ricovero; la particolarmente ricca produzione disegnativa viene insomma a spiegarsi attraverso la liberazione dalle ansie causate dai vincoli progettuali delle pressanti commissioni ricevute.
    Al termine del difficile periodo appena descritto va a collocarsi l’opera proposta, che nello sguardo attento ma ancora allucinato dell’artista autoritrattosi tradisce ancora le vestigia della crisi a malapena superata. Come felicemente intuirono sia il Somarè che il Siviero la caratteristica peculiare e più potente della grafica di Gemito sta nella sua concezione del disegno in profondità («simile anche in questo agli antichi») e non in superficie (come erano soliti invece fare i suoi contemporanei), restituendo all’osservatore una sensazione di spazialità tanto forte «da suscitare l’illusione che l’aria vi circoli».

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Informazione asta 20/05/2017 18:00