Mancini Antonio (Roma 1852 - 1930)
Tricorno
olio su tela cm 80x70,5
firmato in basso a destra: A. Mancini
Provenienza: Ada Papetti, Roma; Coll E. Catalano, Napoli
Esposizioni: 1926 Venezia, XV Biennale; 1930 Milano, Galleria Montenapoleone; 1930 Pittsburgh, Carnegie; 1934 Livorno, Bottega d'arte (Casa d'Arte Belforte); 1939 Venezia, Galleria Arcobaleno.
Bibliografia: Venezia 1926, n. 21; Milano (Mostra di Cinque Maestri) 1930, n.5, ripr. tav. f.t.; Pittsburgh 1930, n. 304; Livorno 1934, sala II, n. 1; D. Valeri in Venezia 1939, n. 8; D. Cecchi 1966, p. 274 nota 1; Finarte 1989, n. 204, ripr.; Il valore dei dipinti dell'Ottocento 1989, p.250; Ottocento Mondadori - Cronache 1989, p. 292; E. Di Majo in Spoleto - Milano 1991, p. 119; M. Castellarin in Milano 2016, pp. 34, 38; Roma 2019, p. 479
Con l’amico di una vita Vincenzo Gemito, conosciuto nel corso della precoce frequentazione dello studio di Stanislao Lista, Antonio Mancini prese a raffigurare i vari scugnizzi che affollavano il cortile del chiostro di Santa Patrizia, ove i due giovani artisti avevano affittato inizialmente uno studio insieme; fra queste opere, alcune dei veri capolavori, non è raro ritrovare soggetti dai costumi sgargianti e bizzarri, quali i vari saltimbanchi che hanno sovente il volto di Luigi Gianchetti o Luigiello, fra i modelli preferiti del Mancini: ora è ovvio che un certo vario guardaroba potesse essere allora parte integrante delle attrezzature di cui ogni artista si serviva per variare il soggetto dei propri lavori pur mantenendo sempre gli stessi modelli, eppure questo gusto del nostro per una moda in un certo senso ricercata (assente del resto in altri suoi contemporanei) non può non farci pensare all’influsso che su di egli esercitò Mariano Fortuny i Marsal, soggiornante a Portici nel 1874; il celeberrimo pittore spagnolo su senza dubbio fra i maggiori esponenti al tempo del Neosettecentismo, corrente di vasto successo presso i collezionisti internazionali prima ancora che locali, presso i quali comunque l’interesse verso questo genere di opere andò diffondendosi grazie alla promozione del mercante parigino Adolphe Goupil, pure lui spesso nei territori della Campania (ove conobbe lo stesso Mancini sponsorizzandolo poi in Francia).
Non sorprende dunque che anche al termine della sua prima fase artistica, quella appunto costellata di scugnizzi e popolani, la cui fine venne grosso modo a coincidere con il recupero dai primi disturbi mentali ed il trasferimento nella nativa Roma, Mancini abbia continuato a rappresentare costumi del Settecento, come l’opera in asta dimostra: si tratta infatti senza dubbio di un dipinto più tardo dell’autore, come si evince dalla distribuzione irregolare della materia pittorica nel dipinto, talvolta raggruppata in veri e propri grumi di colore così da ricreare concreti effetti d’ombra e di luce (chiave di tutta la ricerca artistica dell’autore) sulla superficie della tela.