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  • Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899)

    Nella stalla olio su tela, cm 51x74
    firmato e datato in basso a destra: Fil. Palizzi 1862
    a tergo cartiglio Mostra Commemorativa del Cinquantenario - Dicembre 1934

    Provenienza: Gran. Uff. Giorgio Mylius, Milano; coll. privata, Napoli

    Esposizione: Milano 1934

    Bibliografia: Cat. Mostra Commemorativa del Cinquantenario, Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente Milano, Dic. 1934 , Sala II n. cat. 59 pag. 19; Pitture e sculture , Saletta Gonnelli , Firenze; I Grandi Pittori dell'ottocento italiano, A. Schettini, La scuola napoletana, A. Martello Ed. Milano 1961 tav. XVI a colori

    Protagonista insieme a Domenico Morelli della rivoluzione artistica che in seno alla scuola pittorica napoletana sconvolse l’accademismo imperante dell’epoca in nome di una rappresentazione rigorosa del vero naturale (e di tutte le sue eventuali storture), Filippo Palizzi si dedicò all’en plein air fin dai suoi primi passi nel mondo dell’arte (negli anni Trenta cioè dell’Ottocento), e già in aperta polemica con la pittura di composizione e cioè sostanzialmente di invenzione.
    L’attenzione al tema animale, caratteristico della produzione dell’artista, si svolge nel corso di questa secondo un evoluzione che da prime opere ancora vagamente convenzionali, passando per qualche studio “fisiognomico”, in cui cioè l’animale è declinato secondo tipi psicologici più prettamente umani, giunge a felici risultati in cui al soggetto ferino è assegnata pari dignità rappresentativa di qualsiasi altro tema pittorico (come il Palizzi ebbe a sostenere anche in alcuni suoi scritti).
    Ecco allora fiorire intorno agli anni Sessanta del secolo una serie di dipinti di minori o maggiori dimensioni, ma tutti di indubbia qualità, che ripropongono ovini ed equini (asinelli specialmente) ritratti nel loro habitat più proprio, ove l’umano, il pastore o magari la pastorella, s’introducono non per asservire ma per “servire” i propri animali, nutrendoli con ricchi fasci d’erbe che pure vengono ripresentate dall’autore in più tele (si ricordi qui solamente il bel ‘Fascio d’erba di primavera’ alla GNAM di Roma).

    L’attenzione alla resa luministica, pure centrale nella ricerca artistica del Palizzi, si declina in questo periodo secondo una minuziosa registrazione micrografica di ogni singolo effetto di luce sul vello e sugli scattanti muscoli degli animali rappresentati, in una presa di distanza dunque (che comunque non può considerarsi voluta) dai più sintetici risultati che al tempo cominciarono a fare capolino sulla scia dei movimenti artistici parigini, coi quali del resto Filippo pure ebbe contatti per tramite del fratello Giuseppe, definitivamente stabilitosi in Francia fin dal 1844 e membro attivo della Scuola di Barbizon.
    Esemplare di spicco di questo vario e notevole filone pittorico, la tela proposta s’arricchisce di ulteriore prestigio con la sua provenienza. Il Grand’Ufficiale Giorgio Mylius, riportato come proprietario dell’opera sul cartiglio che essa reca con sé (e che ne testimonia poi l’esposizione alla Mostra celebrativa del cinquecentenario della Società per le Belle Arti di Milano, di cui il Mylius fu allora anche Presidente del Direttivo), fu l’ultimo membro maschio di una potente famiglia di imprenditori d’origini austriache che fin dalla fine del Settecento promosse di Milano tanto lo sviluppo economico (furono impegnati allora per lo più nella produzione e nel commercio tessile) che quello culturale: la loro villa sul Lago di Como (oggi sede del centro italo-tedesco per l’eccellenza europea) fu centro di raccolta di una ricchissima e raffinata collezione d’arte, nonché ospitò numerosi intellettuali tedeschi ed italiani di prim’ordine, quali Goethe e Manzoni.

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Informazione asta 20/06/2020 18:00