Smargiassi Gabriele (Vasto, CH 1798 - Napoli 1882)
La valle dei mulini
olio su tela cm 86x65
Provenienza: Coll. privata, Parigi; coll. privata, Napoli
Bibliografia: OTTOCENTO catalogo dell'arteitaliana Ottocento Primo Novecento n° 41, Metamorfosi Ed. Milano 2012, a colori(studio)
Come già felicemente intuito e scritto da Alfredo Schettini anni orsono, la figura di Gabriele Smargiassi risulta complessa ed in qualche modo ambigua, tanto più agli studiosi di settore: questo perché a fronte di un enorme successo fra i più prestigiosi collezionisti e committenti internazionali del tempo, che portarono l’artista a viaggiare per buona parte del continente europeo, fioccarono altrettanto numerosi i giudizi negativi sulla sua persona e sulla sua arte, per motivi che oggi possiamo asserire con maggiore lucidità di una volta per nulla obiettivi ed al contempo comprensibili; volendo essere più concreti, il punto della questione è che le forze nuove, in questo caso specifico la rivoluzione che a Napoli fu portata avanti in campo artistico da Filippo Palizzi da un lato e Domenico Morelli dall’altro (con rispettivi seguaci), non potevano che tentare di affermarsi attaccando e ribaltando la tradizione, che appunto per la Scuola di Paesaggio trovava il suo più fiero e convinto assertore in Smargiassi, appassionato seguace di Nicolas Poussin.
Come s’è tuttavia accennato sarebbe erroneo legare indissolubilmente tutta la produzione del nostro artista agli stilemi del vedutismo settecentesco. Il giovane Gabriele fu infatti fra i primissimi allievi Anton Sminck van Pitloo, e non fu affatto refrattario alla lezione del maestro olandese: è comprovato infatti che Smargiassi studiasse e dipingesse dal vero, e che anzi considerasse per i suoi allievi un vero premio la possibilità di farsi seguire nelle proprie sessioni en plein air; inoltre dalle sue proprie parole, riportateci sempre da Schettini, pare anche possibile pensare che egli considerasse l’intenzione dell’artista, la sua inventiva, insomma il momento lirico, superiore alla pura e semplice registrazione del vero, avvicinandosi dunque a certe posizioni della Scuola di Posillipo, di cui Pitloo fu come è noto fra i principali rappresentanti.
La grande tela proposta viene dunque a rappresentare uno dei più autentici e felici esiti dell’arte di Smargiassi, sospesa fra reminiscenze settecentesche e poetica reinterpretazione del vero di sapore del tutto nuovo. La datazione del resto, ricavabile come la certa attribuzione dal raffronto con una versione più piccola di quest’opera (appunto firmata, datata ed anche pubblicata), ne consente la collocazione in un periodo di grande successo dei posillipisti (allorché Giacinto Gigante ne divenne in qualche modo caposcuola alla morte del Pitloo), con gli ideali dei quali, evidentemente, Smargiassi non poté non confrontarsi, a prescindere dalle proprie personali posizioni estetiche.