Siviero Carlo (Napoli 1882 - Capri 1953)
Il foulard rosso
olio su tela, cm 95x69
firmato in alto a destra: Siviero
La multiforme e ricca attività artistica di Carlo Siviero non può prescindere dal suo ugualmente febbrile lavoro di critico (che, oltre a farlo apparire su testate importanti quali “Il Mattino” ed “Il Messaggero”, produsse “Questa era Napoli”, un omaggio testuale, carico di preziose testimonianze, alla grande scuola artistica partenopea fra tardo Ottocento ed inizio Novecento), dai molti incarichi di docenza nonché dall’organizzazione di esposizioni di grande prestigio che il nostro intraprese con la sincera intenzione di valorizzare quanto in arte si fosse fatto ed ancora si facesse nella città di Napoli (fu lui ad esempio a donare il bronzo “L’idolo” di Achille D’Orsi al Museo Nazionale di San Martino).
Come tanti suoi contemporanei Siviero abbandonò precocemente gli studi in contrasto con i desideri paterni per dedicarsi all’arte, ricevendo i primissimi insegnamenti dal pittore Enrico Rossi, suo parente. Particolarmente significativa per la sua formazione fu poi l’iscrizione alla Scuola Serale Operaia di Disegno (sita al tempo presso San Domenico Maggiore), ove fu allievo di Tommaso Celentano (per il quale il nostro spese in seguito molte, affettuose parole) e Stanislao Lista: gli insegnamenti poco ortodossi di questi maestri, nonché il lavoro previsto per gli studenti presso la Fonderia Corradini, indirizzarono Siviero verso i temi sociali dell’operaio e della macchina; ugualmente poco accademico (e molto moderno) fu il suo gusto per i paesaggi da ritrarre, tipicamente barche ancorate al porto piuttosto delle usuali e più convenzionali vedute col Vesuvio sullo sfondo. Solo più tardi, e brevemente, il nostro risulta effettivo studente del Real Istituto di Belle Arti, ove fu allievo di Domenico Morelli (sulla figura del quale scrisse un volume mai pubblicato) e Filippo Palizzi, alla morte dei quali Siviero preferì evidentemente continuare la propria formazione a Roma; rimase comunque in contatto (e vi strinse un lungo sodalizio) con un terzo mentore, Vincenzo Volpe.
In effetti la succitata attività intellettuale e non solo strettamente artistica di Siviero favorì una fitta rete di legami che egli tessé con conterranei e contemporanei: gli altri allievi di Celentano (fra i quali Luca Postiglione e Giuseppe Uva), gli studenti dell’Istituto regio (Antonio Mancini e Vincenzo Gemito, al quale il nostro dedicò uno scritto), i compagni delle molte battaglie combattute con la penna, quali Gaetano Esposito, Attilio Pratella, Giuseppe Casciaro; quest’ultimo in particolare fece poi “scoprire” l’isola di Capri a Siviero (ove il nostro poté fare la conoscenza di Massimo Gorki e di altri esuli russi), il quale tanto se ne innamorò da decidere di morirvi nel 1953.
I ritratti furono le opere di Siviero che più lo portarono all’attenzione della critica e dei collezionisti, fin da quando cioè fra 1909 e 1910 varie sue prove in questo genere pittorico furono esposte in Italia e all’estero (si ricordino qui la Biennale veneziana e il Salon d’Automne di Parigi, fra le altre). Va sottolineata la presenza del nostro oltre i confini peninsulari poiché egli, percependo argutamente l’arretratezza in quanto a correnti artistiche della giovane nazione (in particolare nel Meridione che andava ancora attardandosi sulla tradizione del secolo precedente), decise di viaggiare per l’Europa, in Russia e si spinse in seguito finanche nel continente americano. Al contrario di tanti suoi contemporanei, comunque, non fu Parigi ad influenzare radicalmente l’arte di Siviero quanto Londra (ed in seguito l’Olanda), e già l’opera in asta mostra quanto il suo autore fu debitore nei confronti di John Singer Sargent. Non mancano comunque fra i ritratti esiti meno riusciti (più accademici e convenzionali) e risultati più felici, ove l’ispirazione dell’autore e magari una sua letterale “sympatheia” con il soggetto da rappresentare permise di cogliere di quest’ultimo la peculiare e profonda psicologia; in alcuni dipinti, inoltre, l’attenzione di Siviero pare allargarsi all’ambiente circostante, non limitandosi al solo personaggio da ritrarre, laddove questi è altrove circondato da un’aura “silenziosa” (concretizzata in unico fondo scuro o neutro) che ne esalta la personalità. Procedendo cronologicamente all’interno della produzione ritrattistica dell’autore può infine riscontrarsi una progressiva smaterializzazione della linea disegnativa in favore di una costruzione dei corpi tramite una sapiente uso dei colori, assistendo dunque al superamento della tradizione accademica partenopea ed alla adozione dei più moderni stilemi d’Oltralpe: la grande tela qui proposta ci pare un valido esempio di questa transizione.