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ASTA N.138

lotto 53

  • Campriani Alceste (Terni, PG 1848 - Lucca 1933)
    Sulla via del Vesuvio
    Olio su tela, cm 35x50
    Firmato in basso a sinistra: A. Campriani
    Provenienza: Galleria d’Arte Le Muse, Cortina d’Ampezzo; Galleria Vincent, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Esposizioni: Cortina d’Ampezzo, 2009.
    Bibliografia: P. Ricci, Arte e Artisti a Napoli (1800-1943). Cronache e memorie di Paolo Ricci, Guida, Napoli, 1981, tav.38; Società di Belle Arti e Istituto Matteucci (a cura di), La Scuola napoletana da Gigante a Mancini, Catalogo Mostra Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte “Le Muse”, 01-30/08/2009, Cortina d’Ampezzo; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.73.

    Alceste Campriani appartiene al cosiddetto gruppo dei “comprimari” della Scuola di Resina ed essendo nato nel 1848, era il più giovane dei pittori aderenti a tale movimento. Più giovane sia dei siciliani Lojacono e Leto e sia dello stesso De Nittis, conosciuto a Napoli nel 1862, allorquando vi era arrivato insieme al padre, esiliato dal governo pontificio per aver aderito ai moti insurrezionali e quivi iscritto all’Istituto di Belle Arti. All’Istituto rimase fino al 1869, sotto la rigida disciplina di Smargiassi, Mancinelli e Postiglione ed esercitandosi in paesaggi di piccolo formato nei quali però risultano evidenti le simpatie pe la pittura naturalistica professata dai fratelli Palizzi. Incline ad una visione quasi fotografica del vero, si legò ben presto al gruppo di Portici, animato da Federico Rossano con il quale, in particolare, condivise una concezione dello spazio costruito rigorosamente con screziature di colore e di luce. Ciò nonostante Campriani non si unì stabilmente al gruppo porticese perché non volle tradire “l’ufficialità” dell’Accademia napoletana, ma si decise a parteciparvi più assiduamente solo dopo aver concluso gli studi ufficiali. Tuttavia Campriani si esercitò a rendere i molteplici aspetti paesaggistici delle campagne vesuviane offrendo soluzioni di sorprendente semplicità, formale e cromatica, rimanendo in sintonia con gli obiettivi descrittivi e zenitali della Scuola di Resina (cit. R. Caputo, 2013, pp. 88 e segg.). A Portici era arrivato da Firenze Adriano Cecioni, il quale era stato fortemente colpito da alcune tavolette del De Nittis, viste alla «Promotrice» del ’64. Lo scultore e pittore toscano era portatore della teoria della macchia, che trovò a Napoli, secondo il suo giudizio, in De Nittis e in De Gregorio i più avanzati e sicuri interpreti di quel linguaggio, che egli giudicava esclusivamente toscano e che invece, attraverso l’ormai accertato ruolo di mediatore dell’Altamura, aveva radici anche napoletane risalendo in parte a Palizzi e probabilmente a Gigante.
    A Portici il pittore umbro trovò l’ambiente culturale adeguato alle sue ispirazioni soprattutto in Marco De Gregorio, di cui seguì l’esempio di una pittura di paesaggio che, scartando ogni elemento di facile pittoricismo, riesce a realizzare un’atmosfera rarefatta e veritiera. Ciò si riscontra soprattutto in alcune vedute, come quella qui proposta nel dipinto in questione, dipinte alle falde del Vesuvio, dove l’evidenza cristallina e il crudo realismo degli episodi quotidiani hanno una resa quasi fotografica (cit. P. Ricci, 1991, pp. 49-53). Certamente l’amicizia di De Nittis avvantaggiò il pittore ternano ma di quest’ultimo il barlettano ne stimava il talento, così come la sua pittura sciolta, serrata e nello stesso tempo piacevole. Alla radice della loro amicizia certo giovò il clima di sbrigliatezza degli artisti porticesi, la libertà di dipingere all’aria aperta; la profusione di studi e bozzetti, l’incontro quotidiano con la natura intrisa di umori veri e luce: tanta luce.

Stima €20000 - €30000
Informazione asta 13/04/2019 18:00