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  • Scoppetta Pietro (Amalfi,SA 1863 - Napoli 1920) Figura in controluce olio su tela cm 47x36,5 firmato in basso a destra: P.Scoppetta a tergo timbro Galleria Celestini ,Milano ;cartiglio Galleria Bianchi d'Espinosa , Napoli Provenienza: Coll. privata, Bologna; Esposizioni: Galleria d’arte Bianchi d’Espinosa, Napoli, 14-20 feb. 1981; Finarte Casa d’aste, 05-08 nov 1999 Napoli; Bibliografia: Galleriad’arte Bianchi d’Espinosa 1981 n° cat. 78, tav. 33
    Durò molto poco il sogno del padre di Pietro Scoppetta d’avviarlo a studi di architettura, in quanto il giovane decise presto di dedicarsi all’arte pittorica soltanto; sarebbe anzi più preciso dire prettamente al disegno, poiché fin dalla più tenere età Scoppetta coltivò la passione dello schizzo, dell’impressione, in generale di tutto ciò che gli consentisse di fissare con rapidità le proprie idee ed ispirazioni, e questa tendenza persisté di fatto per tutta la sua carriera (sebbene egli diede più di una prova di saper comporre dipinti ben studiati e molto raffinati), tanto che opere dell’autore sono oggi sparse in ogni dove nonché furono frequenti i suoi impegni come illustratore.
    Prima di compiere studi accademici a Roma Scoppetta fu innanzitutto allievo a Maiori di Gaetano Capone ed in un secondo momento di Giacomo di Chirico, quindi già ebbe contatti con gli artisti napoletani prima di trasferirsi definitivamente nel capoluogo partenopeo nel 1890. La grande città diede forma nuova alla sua arte, via via sempre più elegante; la frequentazione dei più elitari salotti intellettuali locali fece il resto: Pietro divenne il conteso ma entusiasta ritrattista delle dame del Caffè Gambrinus e non solo; nella decorazione della celebre birreria, del resto, era stato coinvolto direttamente insieme a nomi del calibro di Migliaro, Dalbono, Brancaccio e Lord Mancini.
    La meta successiva non poté che essere Parigi, al tempo centro nevralgico dell’arte mondiale nonché vera e propria città ideale nei sogni di molti artisti di scuola napoletana. Nella Ville Lumière Scoppetta divenne innanzitutto l’interprete delle mode ricercate, delle pellicce e dei gioielli, delle vetrine, ed anche gli scorci cittadini che egli decise di ritrarre sembrano in effetti essere filtrati dagli interni delle neonate Galeries Lafayette; al contrario i ritratti femminili
    s’allontanarono dai locali affollati e chic per concentrarsi piuttosto in atmosfere più intime e dolci, ma non per questo meno sensuali. Stilisticamente parlando Scoppetta non mutò radicalmente quanto maturato in precedenza a Napoli (un bagaglio che anzi rimase prepotentemente cristallizzato nel suo modo di dipingere), come accadde invece per tanti suoi compagni, ed è pertanto appropriato nel suo caso parlare piuttosto di una naturale evoluzione di quel suo caratteristico tratto impressionistico, che si fece allora ancora più sintetico nell’adattarsi alla rappresentazione di immagini le quali, piuttosto che volersi eternare, venivano a coincidere semplicemente alle rapide dinamiche quotidiane della metropoli, quasi fossero fatti di cronaca.
    Proprio per rispondere a questa necessità di documentare l’attualità, di ritrarre la viva e varia umanità del mondo, Scoppetta prese a viaggiare con maggiore frequenza per l’Europa: Londra, Berlino, Montecarlo, tanto per citare alcune
    tappe. Solo nel secondo decennio del Novecento possiamo immaginarci l’artista di nuovo in Italia stabilmente, stando alle sue costanti partecipazioni a tutte le annuali Promotrici napoletane e non solo: di grande importanza ad esempio furono i soggiorni espositivi a Roma, ove il pittore strinse amicizia con l’impresario Pietro Carrara e sua moglie, la
    marchesa Maria Valdambrini, alla quale Scoppetta si legò poco dopo in una straziante storia d’amore.
    La Valdambrini appare (spesso non esplicitamente) in molte opere dell’autore, probabilmente anche in quella proposta, sebbene non sia possibile azzardare identificazioni senza una documentazione certa. Si tratta in ogni caso di dipinti tutti dedicati al mondo femminile, lontani come detto dai fumi di Parigi eppure eredi delle trovate pittoriche colà sviluppate nella composizione, nell’inquadratura, soprattutto nel ritmo vibrante dei toni, qui quasi somiglianti nella loro vivacità più a pastelli che ad oli, sorprendenti nelle loro impressionistiche variazioni se si pensa che, parole dell’autore stesso, egli fu solito adoperare sulla tavolozza solo tre colori: l’oltremare scuro, il giallo cadmio, la garanza rosa. Disse bene dell’artista allora il critico Bracco in occasione di una mostra scoppettiana del 1918: «con una fatica minima, con
    minimi mezzi egli, ormai, ottiene un risultato massimo».

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Informazione asta 16/04/2016 17:00