Palizzi Filippo (Vasto,CH 1818 - Napoli 1899)
Ritorno dai campi
olio su tela cm 65,5x50
firmato in basso a destra: Fil Palizzi
a tergo antico cartiglio di esposizione
Sebbene un po’ l’affetto e un po’ la grande stima riposta nel fratello maggiore Giuseppe condussero Filippo Palizzi ad
attribuire proprio a quello il merito d’aver rinnovato la pittura di paesaggio nella Napoli dell’Ottocento, fu in vero e
notoriamente il quintogenito della famiglia di artisti a cambiare profondamente certe tendenze artistiche del tempo,
dando in (gran) parte origine a quella che, nella prima Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze, sarà identificata come
una nuova scuola napoletana (sebbene non fosse poi del tutto esatto il termine), tutta tesa allo studio del vero.
È allora felice coincidenza ritrovare nell’opera proposta tutti gli elementi più caratteristici della svolta artistica data
dal Palizzi all’arte del suo tempo. La rappresentazione animale innanzitutto, prima cifra del suo fare rivoluzionario,
allorché già nel primo saggio accademico (“Vacche ritratte dal vero”, 1838) egli elevò «ad artistica nobiltà soggetti sino
allora ritenuti inferiori» (Alfredo Schettini); nei primi tempi comunque egli probabilmente ricorse per la trascurata
(come detto) animalistica più che altro a repertori di incisioni, tuttavia i successivi e lunghi studi dal vero (su tutti
i costanti soggiorni a Cava dei Tirreni fin dal 1847) finirono per convincerlo della individualità (di «forma, colore,
indole», usando parole sue) e quindi della dignità d’ogni creatura ferina d’esser rappresentata nel proprio ambiente, in
modo cioè del tutto simile all’uomo (in effetti l’indagine palizziana sulla figura umana era allora già pervenuta ai suoi
migliori risultati, se già avevano avuto pubblicazione le sue numerose illustrazioni a corredo del libro di De Boucard
“Usi e costumi di Napoli e contorni”, tra 1853 e ’58). L’interesse generale per questi soggetti, comunque, potrebbe
forse ascriversi al tempo trascorso in tenera età modellando figurine per il presepio di casa Palizzi, attività che dunque
spiegherebbe anche quel realismo minuto, quell’arte quasi sempre di piccole proporzioni propria di Filippo. Quanto
infine allo sfondo, sebbene non manchino note e straordinarie opere del Palizzi che non hanno altro protagonista che il
paesaggio, si dovrebbe considerarlo nel nostro caso più che altro sussidiario alla fine realizzazione delle figure in primo
piano; si badi tuttavia a mai confondersi con una fantomatica trascuratezza, pure avanzata erroneamente da alcuni
critici: l’ambiente paesistico sempre offrì anzi a Filippo l’occasione di mostrare la sua personalissima concezione della
pittura di macchia, all’insegna sì della «totalità», cioè dell’impressione di insieme, ma sempre da completarsi con delle
«finezze», cioè con la resa (a volte davvero micrografica) di ogni minima sottigliezza percettiva.