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ASTA N. 121 25.11.2017 19:00 NAPOLI Visualizza le condizioni

- IMPORTANTI DIPINTI DEL XIX SECOLO, PROVENIENTI DA COLLEZIONI PRIVATE.

[CATALOGO ONLINE]





Esposizione:
da sabato 18 a venerdì 24 Novembre 2017
ore: 10.00 - 19.00
sabato 18 e domenica 19 ore: 10.00-20.00
  • Toma Gioacchino (Galatina,LE 1836 - Napoli 1891)
    Villa a Torre del Greco
    olio su tela, cm 56x76,5
    firmato in basso a destra: G. Toma

    Provenienza: Coll. Portolano, Milano

    Esposizioni: Roma, 1954; Napoli 1955; Spoleto, 1995; Napoli, 1996; Lecce, 1996

    Bibliografia: L. Salerno, L'opera di G. Toma, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1954 pag. 37, tav 32; Catalogo Bolaffi della pittura italiana dell'800, Direzione di Enrico Piceni, Giulio Bolaffi Ed. Torino 1964, pag. 439 a colori; A. Schettini, La Pittura napoletana dell'Ottocento E.D.A.R.T. Napoli 1967 vol I pag. 339 n° cat. 87; L. Galante, Gioacchino Toma,Messapica Ed. Lecce 1975, pag. 26, 45; B. Mantura e N. Spinosa, Gioacchino Toma , Electa Napoli 1995 , pag. 79, n. cat. 38


    Fra i molti pellegrinaggi di una vita quasi tragica, Gioacchino Toma trascorse nella prima metà degli anni Ottanta del diciannovesimo secolo molto tempo presso Torre del Greco e San Giovanni a Teduccio. Ivi si dedicò ad una pittura di paesaggio che caratteristicamente presenta quasi sempre nella propria composizione un frammento murario. Quasi in opposizione però alla solidità di questo elemento la pittura dell’autore si fa in questa serie di opere più libera e sintetica, quasi impressionista, dedicando inoltre maggiore attenzione agli effetti luministici e (perciò) schiarendo la tavolozza di colori. Viene insomma tradita una certa influenza della Scuola di Resina, e la scelta del soggetto dell’opera proposta, la villa cioè di uno dei rappresentati di quella stessa Scuola, esplicita ulteriormente i debiti del Toma e la sua poetica in questi anni.
    Stima minima €13000
    Stima massima €18000
  • Campriani Alceste (Terni, PG 1848 - Lucca 1933)
    Il fattore
    olio su tavola, cm 39x25
    firmato e dedicato in basso a destra: A. Campriani all'amico Dottore G. Muro
    a tergo timbro Raccolta GDG

    Provenienza: Coll. Lauro, Napoli; Coll. privata, Milano; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Milano, 2008; Napoli, 2012.

    Bibliografia: Matteucci G - Palminteri F. (a cura di), Ottocento Italiano. Maestri e protagonisti, Catalogo mostra Museo di storia contemporanea, Milano 3-13 aprile 2008; Arte moderna e Contemporanea. Dipinti del XIX e XX secolo, Galleria Vincent, Catalogo d'Asta n.39, Napoli 24/03/2012, lotto n.208 p.118; Ottocento Catalogo dell'Arte Italiana. Ottocento- Primo Novecento n.41, Milano 2012, pag.117 e tav. a colori; G.L. Marini, Il valore dei dipinti dell'Ottocento e del primo Novecento, ed. XXX, Torino 20012-2013, p.149, R. Caputo, La Pittura Napoletana del II Ottocento, Franco Di Mauro Editore, Napoli 2017, p. 53

    “Ai fattori si dà in natura la doppia quantità di grano di quella che ricevono i bifolchi,sei brente di vino di buona qualità e qualche altro genere di poco conto ... Il fattore devesorvegliare a tutti i lavoratori della campagna, tiene le chiavi dei granaj e delle cantine, e da luidipendono unicamente i contadini, sieno essi bifolchi, braccianti o mezzadri. Tiene i libri dei conti ed un libro maestro ove si trovan la partita di ogni suo dipendente. Somministra ad essi generi ed anche danari quando ne abbisognino, pone a loro credito il prezzo delle giornate in cui lavorano gl’individui delle varie famiglie, infine a lui è affidata tutta l’azienda campestre.”
    (Annali universali di statistica, economia pubblica, storia, viaggi e commercio, vol. LXXVIII, Milano 1843).
    L’opera Il fattore è dedicata, come l’iscrizione attesta, ad un non meglio identificato Dottor Muro, cognome ancora oggi molto diffuso tra gli abitanti di Procida. Infatti il protagonista della scena è proprio un fattore, i cui particolarissimi caratteri somatici persuadono del fatto che egli sia stato ritratto dal pittore direttamente nel suo ambiente d’appartenenza: minuto, con il naso aquilino e un ghigno che gli solca il volto ricoperto dalla barba incolta, indossa scarpe più grandi della sua misura e un panciotto rosso, sotto la giacca sbottonata, che contribuisce a conferire un’apparenza rispettabile alla sua gracile figura. Con lo sguardo rivolto verso il pittore, il fattore sta in piedi dinanzi ad un rigoglioso fico d’India e a una struttura coperta da un piccolo patio che fa probabilmente parte della tenuta che amministra. Le piante rampicanti che si inerpicano sul muro fungono, con il gioco di chiaroscuro, da fondo contro il quale si staglia la figura del fattore, ricurvo sul suo bastone. La pittura di Campriani coglie gli aspetti meno evidenti della figura, ne delinea la fisionomia ma anche l’essenza. L’indagine antropologica su personaggi legati al lavoro nei campi o vissuti a contatto con la natura si coniuga, come in gran parte della sua opera, ad una precisa analisi dello scenario naturale, proprio perché il pittore è interessato tanto alla resa dei dettagli dell’ambiente quanto al ritratto di quel “paesaggio sociale” che egli ha sondato con gran parte della sua pittura.
    Stima minima €10000
    Stima massima €16000
  • Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915)
    L'arrivo della tempesta
    olio su tela, cm 58x96
    firmato in basso a sinistra: E. Dalbono
    a tergo: timbro Coll. Mele, Napoli

    Provenienza: Coll. Mele, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Edoardo Dalbono rientra in quella categoria fortunata di artisti i quali non ebbero la stretta necessità di frequentare accademie per intraprendere il mestiere, magari patendo la fame per mantenersi negli studi, poiché nato in una famiglia che poteva vantare numerosi letterati fu avviato al mondo della cultura fin dalla più tenera età, seguito da precettori o più semplicemente dal padre, dipendente pubblico e poeta estemporaneo; questa figura fu in effetti determinante per il futuro del Dalbono, il quale innanzitutto principiò la propria produzione artistica con piccole illustrazioni ispirate proprio agli scritti folcloristici del padre, poi fu grazie ai contatti di quest’ultimo col mondo dell’Arte se il giovane pittore poté conoscere i maestri napoletani Giuseppe Mancinelli e Nicola Palizzi.
    Tutta la differenza intercorrente tra i due pittori di riferimento del Dalbono si riscontra nelle prime sue opere esposte, oscillanti tra composizione storica e paesaggismo naturalistico (San Luigi re di Francia soffermatosi sotto di una quercia rende giustizia ad una famiglia che riverente a lui ricorre, oggi irreperibile, e Studio di un mulino). La seconda tendenza dominerà poi di fatto la maggior parte della produzione dell’artista, tutto rapito dalle vedute campane, riprodotte principalmente seguendo dittami e metodi della Scuola di Posillipo. Dalbono può tuttavia a ragione considerarsi un radicale innovatore rispetto alla cerchia di Gigante, se superò di fatto la più stretta adesione alla realtà per elevarsi invece ad atmosfere più oniriche e trasognate, pertinenti piuttosto alla dimensione del mito: è proprio poetizzando il mondo naturale che l’artista pervenne alla sua opera probabilmente più famosa, La leggenda delle Sirene, pluripremiata e di grande successo presso i collezionisti (tanto che se ne moltiplicarono a dismisura le riproduzioni).
    È noto inoltre quanto il mercato del tempo apprezzasse le rappresentazioni dei luoghi simbolo del Grand Tour, così accadde che Dalbono (come altri suoi contemporanei) fu contattato da Goupil (per intercessione di Morelli e De Nittis) che lo volle in esclusiva per ben nove anni; il trasferimento a Parigi fu tuttavia molto difficoltoso e sofferto ed il nostro non smise di scrivere nella propria corrispondenza quanto gli mancasse Napoli e soprattutto il suo mare ed i suoi colori. Logico allora che dopo l’agognato ritorno in patria l’artista non volle allontanarsene mai più fino alla fine dei suoi giorni, affiancandosi intanto alla tradizionale attività pittorica quelle assai ricche di decoratore (nell’ambito dei progetti legati al Risanamento), illustratore (principalmente per l’Illustrazione italiana) nonché di critico storicoartistico (celebre la sua commemorazione di Morelli). Uno tra i molti scritti dedicatogli dopo la sua scomparsa definisce Dalbono “il pittore della luce”, ed in effetti a ben guardare l’intera sua produzione si nota facilmente come il suo sguardo in fin dei conti si sia posato là dove batteva più forte il sole, o comunque dove bagliori chiari esaltassero le forme altrimenti inghiottite dall’oscurità (basti pensare alle eruzioni vesuviane), in una trasfigurazione (verso il mondo del sogno, si diceva) del percepito che viene restituito al compiaciuto spettatore nei suoi aspetti più vivaci, più seducenti, in sostanza più belli. Non fa eccezione l’opera proposta, che è del resto la declinazione di un tema assai caro all’ autore secondo poi il suo stile più caratteristico: la marina partenopea, con quella “curva vaghissima del golfo” (per citare il critico Pica), con le sue barche ed i suoi pescatori, si stende dinanzi l’osservatore sul mare piatto baciato dal sole, del tutto simile a quel che può vedersi nella spesso documentata Nel porto di Napoli o nella Festa della Madonna del Carmine; l’unico possibile disturbo è quella tempesta che dà il titolo alla tela, burrasca che è appunto solo in potenza e non ancora in atto proprio per non sconvolgere la ridente veduta, ma che del resto occupa la maggior parte della composizione offrendosi all’autore come occasione per sbizzarrirsi in una serie di sfumature coloristiche delicate e trasognanti che, come nell’opera Mare a Torre Annunziata esposta alla Prima Internazione di Venezia, culminano a partire dai più freddi celesti in un susseguirsi di rosa, aranci, gialli che sottintendono un sole invisibile allo spettatore ma pronto, dopo il maltempo passeggero, a risplendere nuovamente.
    Stima minima €14000
    Stima massima €18000
  • Santoro Rubens (Mongrassano, CS 1859 - Napoli 1941) Marina
    olio su tela, cm 25,5x34
    firmato in basso a destra: Rubens Santoro

    Provenienza: Galleria Zamboni, Reggio Emilia

    Esposizioni: New York 2015; Bibliografia: The Light of Southern Italy, Painting fromthe 19 th- Century Neapolitan School, New York 2015, pag. 76

    Si può affermare senza fallo che Rubens Santoro nutrì in vita un amore spassionato per l’acqua. Tanto il pubblico del tempo che quello attuale lo ricordano infatti per i suoi canali di Venezia, o magari per certi paesaggi lacustri dell’Italia settentrionale da cui l’artista trasse ispirazione a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, allorché s’incantò vedendoli nel corso del suo soggiorno al Nord in occasione della Esposizione Nazionale del 1880.
    Tanto prima che dopo quella fondamentale esperienza il Santoro comunque non tralasciò i paesaggi marini tipicamente meridionali, aderendo sin da subito alle nuove poetiche del vero ed avvicinandosi tanto alle ultime vestigia della Scuola di Posillipo che alle più recenti tendenze di quella di Resina.
    In aderenza dunque agli interessi di quelle scuole pittoriche Santoro pure fece della ricerca luministica il perno fondamentale della propria poetica. Se tuttavia allora era già diffusa una certa pittura di macchia il nostro autore vi aderì più esplicitamente solo nei primi anni del Novecento, preferendovi invece nel tardo secolo diciannovesimo una pennellata ancora minuziosa e particolareggiata, ben esemplificata dalla resa attenta dei pescatori che nell’opera proposta sostano in spiaggia o vanno prendendo il largo.
    Stima minima €10000
    Stima massima €15000
  • Cosenza Giuseppe (Luzzi, CS 1846 - New York 1922) Giovane distesa
    olio su tela, cm 29x55
    firmato in basso al centro: G. Cosenza, iscritto e datato in basso a destra: “Ricordo alla Sig.E.a Viola Villa 1879
    a tergo cartigli: Milano Internazionale Antiquariato XIX Edizione; Biennale Internazionale dell'Antiquariato Firenze 26° Edizione

    Provenienza: Finarte, Milano 1992; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Napoli, 2003

    Bibliografia: G.L. Marini, Il valore dei dipinti dell'Ottocento e del primo Novecento, ed. X, Torino 1992-93, p. 141; T. Pingitore, Giuseppe Cosenza pittore a Napoli nel secondo Ottocento.Tra pittura a "macchia" e realismo borghese, in "Artfolio"V, n.1, 1997, pp.5-6; I. Valente, Centro e periferia: itinerari italiani di alcuni artisti calabresi tra Otto e Novecento, in"L'animo e lo sguardo", Catalogo mostra Cosenza 1997, pp.27-28;Ottocento. Catalogo dell'Arte italiana dell'Ottocento n.32, Milano 2003, tav. a colori f.t.; L. Martorelli - R. Caputo, La Pittura italiana dell'Ottocento nelle collezioni private italiane. L'Ottocento Napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, Catalogo “Vittoria Colonna”, n.11, Napoli 2003, pp. 96-97; C. Mazzarese Fardella Mungivera, Pittura napoletana tra Otto e Novecento, Napoli 2011, tav. a colori p.75; R. Caputo, La Pittura Napoletana del II Ottocento, Franco Di Mauro Editore, Napoli 2017, p.160

    L’opera è apparsa in asta nel 1992 col titolo Donna distesa sul divano. La scena, nella sua scorrevole orizzontalità, rappresenta un ambiente tipicamente borghese: aperto sulla parete di fondo con un ampio balcone, sul cui piano a terrazzo sono disposti vasi con piante ornamentali, ed in verticale una ringhiera, con edera, che chiude il relativo spazio esterno.
    All’interno della stanza una giovane donna è sdraiata su un letto, sopra una pelliccia. Nel suo abbandono, questa sorta di odalisca partenopea, esterna un’espressione voluttuosa e seducente, richiamata anche dai gioielli che ne adornano il seno e dalla vistosa armilla a forma di serpente che porta al polso del braccio sinistro. L’immagine è una derivazione speculare di una delle figure di bagnanti presenti nel dipinto I bagni delle donne a Mergellina, del 1877 che, a sua volta, fa pensare sia alla giovane donna al centro del dipinto Bagno turco del Morelli (Valdagno, coll. Marzotto) sia alla maliziosa donna del dipinto del Morelli, Le tentazioni di Sant’Antonio, 1878 (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna).
    A livello stilistico, il dipinto rappresenta una singolare ed interessante ricerca del volume nella definizione del corpo in torsione della donna, specialmente nella parte finale del vestito verde azzurrino.
    Questi esiti formali sono indice di una pittura che ha l’ardire di conciliare dettagli sia di frammentazione del colore steso a tocchi rapidi, sia di sintesi e di ricomposizione strutturale della forma, ottenuta con salde campiture a “macchia”. Inoltre, un caldo luminismo dà consistenza unitaria alle stesse masse cromatiche che descrive, per esempio, nella resa naturalistica dell’incarnato roseo della donna, la cui espressione è di sognante vaghezza e lascia intendere nell’abbandono del gesto, un’inquietudine tutta sensuale.
    La dedica, in basso, è indirizzata alla benestante signora Erasma Viola Villa, in merito alla quale sappiamo soltanto che nel 1877 (all’età di cinquant’anni) assieme a Vincenzo Migliucci, fu testimone alla dichiarazione di nascita del primogenito del pittore, Raffaele.
    L’esecuzione del dipinto precede di ben cinque anni il simile soggetto raffigurato da Francesco Netti ne La siesta (Bari, Pinacoteca Provinciale), caratterizzato però da maggiori preziosità pittoriche, derivate dal filone orientalista del Fortuny; mentre, nel Cosenza, questa incidenza rimane meno eclatante.
    Stima minima €8500
    Stima massima €13500
  • Brancaccio Carlo (Napoli 1861 - 1920)
    Napoli dal Granatello
    olio su tela, cm 43x67
    firmato e iscritto in basso a destra: Carlo Brancaccio, Napoli

    Bibliografia: R. Caputo, La Pittura Napoletana del II Ottocento, Franco Di Mauro Editore, Napoli 2017, p. 352

    Carlo Brancaccio, che pervenne al suo stile pittorico sorprendentemente senza alcuno studio accademico, apprendendo l’arte semplicemente da autodidatta, ebbe fama in vita soprattutto grazie al grande mercato artistico internazionale, collocandosi fra quei maestri che abitarono la Parigi della Belle Époque. Alle frequenti rappresentazioni della Ville Lumière, delle sue ampie piazze e boulevard, della sua elegante popolazione, furono comunque sempre affiancate per mano dell’artista (vuoi per sincero affetto verso la propria città natale, vuoi per il gusto e le richieste dei collezionisti stranieri) i più svariati soggetti partenopei, realizzati con pennellate profondamente debitrici (nelle parole dello stesso autore) dell’arte di Edoardo Dalbono.
    Stima minima €16000
    Stima massima €24000
  • Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912)
    Campagna francese
    olio su tela, cm 40x50
    firmato in basso a destra: Rossano

    Tra i fondatori della Scuola di Resina, Federico Rossano dedicò tutta la sua produzione al paesaggio, in un primo momento non scevro da qualche sentimentalismo proprio della Scuola di Posillipo, in seguito rappresentato con maggiore rigore e senza orpelli, come appunto andavano sostenendo i porticesi.
    Preferendo per suo mesto temperamento soggetti e colori alquanto malinconici, la tavolozza del Rossano prese a schiarirsi a seguito del suo trasferimento in Francia. L’incontro con gli scolari di Barbizon, il sodalizio con Pissarro e l’apprendimento dunque della lezione di Corot fecero sì che la poetica del nostro autore prendesse a concentrarsi particolarmente sullo studio delle variazioni luministiche e cromatiche in determinate ore del giorno, adottando spesso toni rosei per la realizzazione di paesaggi al tramonto.
    Il soggetto contadino, spesso ritratto nelle opere di questa fase, collega il Rossano ad un altro
    grande maestro francese del diciannovesimo secolo, Jean-François Millet.
    Stima minima €5000
    Stima massima €10000
  • Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)
    Villa Gigante alla Salute
    olio su tela, cm 53x40
    firmato in basso a destra: G. Gigante

    Provenienza: Coll. A. Portolano, Milano

    Esposizioni: Napoli, 1945

    Bibliografia: Mostra della Scuola di Posillipo ,Museo civico Filangieri Napoli sett. - dic. 1945, n. cat. 168; A. Schettini, La Pittura napoletana dell'Ottocento, E.D.A.R.T. Napoli 1967 vol I pag.97 n° cat. 51

    Giacinto Gigante, tipicamente legato alla produzione di acquerelli, realizzò il suo primo olio (le fonti concordano su questo) nello studio del sodale Anton Sminck van Pitloo nel 1824 (“Lago Lucrino”, ora al Museo di San Martino in Napoli), dunque quando già s’avviava a ravvivare il vedutismo napoletano settecentesco con la nuova visione apportata dalla Scuola di Posillipo.
    L’opera proposta, una di varie vedute di Villa Gigante, risulta in effetti assai moderna per il proprio tempo, avendo per protagonista più che la villa le pennellate dell’autore, le quali nella realizzazione sintetica e minuziosa ad un tempo delle molteplici fronde arboree in primo piano sembrano concedersi ad una pittura di macchia che va allineandosi, anticipandoli, con certi esiti cui perverrà tipicamente la più tarda Scuola di Resina.
    Stima minima €13000
    Stima massima €18000
  • Mancini Antonio (Roma 1852 - 1930)
    Ritratto femminile con serto di foglie
    olio su tela, cm 58,5x45,5
    firmato in alto a destra: A. Mancini

    La primissima formazione di Antonio Mancini presso Napoli (ove egli giunse da Narni) avvenne come è noto sotto la guida di Stanislao Lista: presso lo studio di quest’ultimo infatti il Mancini, insieme all’amico di una vita Vincenzo Gemito, s’esercitò molto a ritrarre dal vero e da calchi antichi. Proprio in quegli anni in effetti la pratica del calco eseguito sui reperti recuperati dai nuovi scavi pompeiani postunitari diretti da Giuseppe Fiorelli era assai frequente, e molti artisti se ne servivano per i più svariati spunti antichizzanti; al contempo veniva a rinvigorirsi lo studio accademico degli antichi, grazie a questo rapporto coi manufatti del tempo più diretto e soprattutto alla portata di tutti (in opposizione al rigido elitarismo che i Borbone attuarono riguardo tutto ciò che provenisse da Ercolano e Pompei.
    Lo studio manciniano del grande passato artistico campano e partenopeo tuttavia non si limitò certo all’antichità, e fu nel corso degli studi accademici sotto la guida di Domenico Morelli (per il quale Antonio mostrò sempre un reverenziale ma affettuoso rispetto) che il Mancini riscoprì ed assimilò la lezione dei pittori del Seicento, i naturalisti, il Caravaggio.
    L’opera proposta si ricollega senza ombra di dubbio alla prima produzione napoletana del suo autore e mostra i segni del suddetto rapporto che questi intrattenne con la grande tradizione partenopea artistica e più in particolare pittorica. Già lo sfondo dell’opera, che ricorda le tipiche incrostazioni marmoree, pare infatti ricollegarsi ad un certo tipo di pittura pompeiana; la donna ritratta, probabilmente una popolana (tipicamente il Mancini, così come Gemito, fu solito ritrarre, almeno all’inizio della sua lunga carriera, persone semplici incontrate per puro caso per i vicoli di Napoli), pure sembra far rivivere il passato indossando una sorta di peplo e cingendosi il capo con un serto di foglie che è frequentemente osservabile nelle opere del Mancini (egli amava anche adoperarlo nei suoi autoritratti) e che rimanda ad ambienti dionisiaci e dunque ad un certo godimento dell’esistenza cui la protagonista della tela non sembra essere estranea, a giudicare dall’ammaliante espressione ch’ella adotta nell’osservare l’artista (e con questi lo spettatore).
    La lezione secentista e caravaggesca è invece tutta stilisticamente giocata nel contrasto fra certi toni dominanti più scuri e la forte luce discendente dall’alto che esalta il bianco della veste, illumina le trasparenti perle vitree, dà vita a certe parti dell’incarnato, laddove altre (non certo scelte a caso: attraverso il gioco chiaroscurale l’attenzione dell’osservatore è infatti convogliata verso lo sguardo della donna ritratta) rimangono in penombra


    Stima minima €18000
    Stima massima €25000
  • De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Controluce
    olio su tela, cm 72,2x53,2
    firmato in basso a sinistra: De Nittis

    La presenza di una terza versione di Controluce di De Nittis, rimasta finora inedita, costituisce una vera sorpresa, anche perché rimette in discussione alcuni aspetti non secondari delle varie redazioni del dipinto, che peraltro in quella che qui si presenta era ben noto a Giuliano Briganti, consultato nel 1987 dai proprietari dell’epoca per averne un parere. La differenza più evidente con le altre due versioni (la prima in collezione privata, pubblicata da Piceni-Pittaluga nel 1963; la seconda presso la Pinacoteca di Bari e pubblicata in tutti gli ultimi cataloghi su De Nittis) è la presenza di una figura maschile accanto a quella femminile che da anni pigramente si continua a identificare con Léontine De Nittis. Secondo Briganti, che in una lunga lettera dell’87, nel confermare autorevolmente l’autografia dell’opera, ne magnificava la sensibilità coloristica e ne esaltava l’aura “poetica”, il dipinto in questione sarebbe una prima versione, mentre gli altri due dipinti potrebbero essere successivi, in quanto il pittore si sarebbe accorto che raffigurare “un vivido e malinconico ritratto di sposi” era “banale e forse poco pregnante”, mentre poteva costituire “per l’autore una elaborazione scenica ben più convincente” rappresentare la sola Léontine dal vero.
    Il primo punto da mettere in discussione è proprio l’identificazione con Léontine, perché come alcuni anni or sono aveva osservato in una intervista Lamacchia, non c’è alcuna somiglianza con la moglie di De Nittis che aveva un ovale delicato, dal mento lievemente appuntito e un naso sottile, mentre la figura femminile di Controluce ha un ovale arrotondato, non particolarmente fine e con un inconfondibile naso arrotondato anch’esso (volgarmente si direbbe “a patata”). Lamacchia proponeva una identificazione con la moglie del pittore Pissarro, con cui effettivamente potrebbe esserci una somiglianza, io potrei aggiungere la moglie del pittore José Maria de Hérédia (peraltro già ritratta da Nittis distesa e di profilo), ma a questo punto diventa decisiva la figura maschile, in quanto, sia se si trattasse della coppia De Nittis sia se fossimo in presenza della coppia Pissarro o di quella Hérédia, nella figura maschile dovremmo ravvisare l’uno, l’altro o l’altro pittore ancora; cosa, questa, da escludere decisamente poiché conosciamo bene le fisionomie dei tre pittori, e non potrebbero essere più diverse.
    Un riscontro fisionomico con le fotografie dell’epoca potrebbe esserci con due personaggi molto noti dell’ambiente parigino ed esattamente con il poeta Paul Verlaine e con la moglie Mathilde Mauté, sposata nel 1870 quando aveva solo diciassette anni. Le somiglianze sono veramente impressionanti, ma naturalmente da sole non bastano. Dalla documentazione fino a oggi nota non è mai emersa una conoscenza diretta fra De Nittis e Verlaine. La cerchia dei Goncourt frequentata assiduamente dai De Nittis disprezzava addirittura Verlaine per le sue perversioni e intemperanze. Tuttavia tramiti di conoscenza non erano impossibili: sappiamo che Verlaine frequentava fra gli altri nel circolo di Ricard José Maria de Hérédia, amico dei Goncourt e di De Nittis e nel Journal dei Goncourt all’epoca della Comune si accenna di sfuggita a M.me Paul Verlaine che avrebbe chiesto alla moglie dell’incisore Philippe Burty (amico anche lui dei Goncourt e dei De Nittis) aiuto per il marito che durante i moti si trovò a mal partito e voleva nascondersi.
    Un’altra difficoltà potrebbe esserci con le date: Controluce I e II consuetamente sono stati datati da Christine Farese Sperken in varie occasioni al 1878 e più recentemente da Alessandra Imbellone nel catalogo del 2013, a cura di Angiuli e Mazzocca, al 1880, mentre Briganti, senza pronunciarsi su una data precisa, era dell’opinione che l’opera fosse ancora un po’ più tarda rispetto al 1878-79, soprattutto considerando la maturità del linguaggio pittorico che dimostrava come De Nittis avesse messo a frutto pienamente le suggestioni che gli derivavano dalla conoscenza diretta di Manet. Sull’influenza di Manet – che si riscontra nell’andamento sciolto delle pennellate, oltre che nel tipico contrasto bianco-nero – siamo tutti d’accordo, e infatti il pittore francese viene puntualmente ricordato proprio per quest’opera da tutti i critici che se ne sono occupati. Va tuttavia osservato che nei cataloghi più recenti, a proposito dell’abito della figura femminile in Controluce, si dice che ha un colore grigio-azzurrino, ma si tratta di un vero e proprio fraintendimento. L’abito è bianco, ma, poiché De Nittis applica le regole delle ombre colorate messe a punto dagli impressionisti e adottate precocemente anche da Manet, diventa grigio-azzurrino per effetto dei riflessi e del controluce. Per quanto riguarda la relazione cronologica che il dipinto ha con le due varianti già note, il mio parere diverge da quello di Briganti: sono infatti dell’avviso che le due versioni note siano antecedenti, anche perché il dipinto in mostra, per quanto incompiuto, risulta maggiormente rifinito rispetto agli altri due, in particolare nella mantella bordata di pelliccia; probabilmente doveva essere prevista una redazione finale che finora non è emersa e che non sappiamo se sia mai stata realizzata.
    Tornando alle difficoltà create dalla datazione, queste si rivelano come tali proprio ai fini della identificazione dei personaggi: riassumendo, i Verlaine si sposano nel 1870 e hanno subito un figlio, Georges, che nasce nel 1871; il matrimonio dura poco a causa della relazione omosessuale fra Verlaine e Rimbaud che ha inizio fra il 1871 e il 1872 per finire drammaticamente nel 1873. I coniugi divorziano ufficialmente solo nel 1885, ma si separano di fatto molto presto. Appare un po’ strano che la coppia si sia fatta ritrarre dal pittore mondano per eccellenza, quale era De Nittis, fra il 1878 e il 1880-82, ossia quando la crisi era in atto da un pezzo. Si potrebbero fare tre ipotesi: la prima, il dipinto è stato eseguito in occasione di un tentativo di riavvicinamento dei Verlaine (di un tentativo fra il 1873 e il 1874 siamo a conoscenza, ma non sappiamo se sia stato l’unico); la seconda, l’opera doveva avere una funzione di facciata e salvare le apparenze, cosa che poteva forse andare bene alla ‘borghese’ Mathilde, ma non a Verlaine che era un personaggio del tutto anticonvenzionale; la terza – e questa è l’ipotesi più fantasiosa che possiamo azzardare – la committente potrebbe essere la sola Mathilde che, inseguendo romanticamente l’immagine del suo matrimonio con il poeta, chiede a De Nittis di produrre “un falso”, rispetto alle situazioni reali; questo spiegherebbe il fatto che la figura maschile sia lievemente arretrata, tanto da sembrare quasi “appiccicata”. L’altra possibilità che l’opera sia da retrodatare al 1870-71, ossia al tempo più felice del matrimonio dei Verlaine, viene contraddetta dal linguaggio pittorico, che abbiamo visto essere così vicino a quello degli impressionisti; nel 1870-71 De Nittis era in una fase diversa: da una parte era ancora molto legato alla matrice naturalistica da cui proveniva e dall’altra si era invischiato con le richieste di una pittura commerciale da parte di Goupil.
    Ma a questo punto torniamo almeno in parte al punto di partenza: se i due personaggi non fossero i Verlaine, chi potrebbero essere? Purtroppo con sicurezza possiamo solo dire chi “non” sono.

    Mariantonietta Picone Petrusa
    Stima minima €60000
    Stima massima €90000
  • De Nittis Giuseppe (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye, FR 1884)
    Ritratto della moglie del pittore Rossano
    olio su tela, cm 55,5x38
    firmato in alto a destra: De Nittis

    Provenienza: Coll. Tulino, Parigi; Coll. A. Portolano, Milano

    Esposizioni: Napoli, 1950; VI Quadriennale d'arte Roma, 1952

    Bibliografia: Dipinti di figure e ritratti dell'800 : Galleria Medea, Napoli 1950 n. ord. 17;Cat. VI Quadriennale d'arte Roma, Ed. De Luca Roma 1951,pag 121, n cat. 4; A. Mezzetti ed E. Zocca, Pittori italiani del secondo Ottocento, Ed. De Luca Roma 1952, pag. 64 tav LXIII

    Il sodalizio fra Giuseppe De Nittis e Federico Rossano fu stretto in tempi assai precoci, quando “Peppino” (così veniva affettuosamente chiamato), non ancora ventenne, già andava ricercando il vero in pittura negli anni di studio presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, da cui fu poi notoriamente espulso per motivi disciplinari nel 1863; a questo stesso anno viene dunque comunemente fissato il principio dell’esperienza di Resina, alla cui fondazione parteciparono appunto tanto De Nittis che il Rossano, insieme a Marco de Gregorio ed Adriano Cecioni (anch’essi legati al nostro autore da una solida amicizia e strette interdipendenze artistiche).
    Il manifesto di quella che sarà poi chiamata “Repubblica di Portici” prevedeva in sostanza un recupero del vero rigoroso e scevro da ogni orpello o interpretazione intimista e più in generale sentimentale, opponendosi inoltre alle tendenze artistiche più in voga nella Napoli del tempo che corrispondevano principalmente alle due diverse interpretazioni che proprio della poetica del vero davano da un lato Domenico Morelli e dall’altro Filippo Palizzi. In realtà, e particolarmente proprio nella figura di De Nittis, sempre ricettivo nei confronti delle più disparate suggestioni artistiche, la Scuola di Resina non operò mai un distacco così radicale dall’allora “tradizionale” scuola napoletana del paesaggio, presentandosi di fatto come logica continuazione dei dittami palizziani che manifestamente andava tanto criticando.
    Una nuova e radicale rivoluzione di tutta la poetica del De Nittis prese a svilupparsi dieci anni dopo la “comune” porticese, quando cioè a partire dal 1873 l’artista si stabilì definitivamente a Parigi. La vita frenetica ma raffinata della Belle Époque, l’incontro con gli ultimi Barbizonniers e poi con i vari Impressionisti, quindi la stretta amicizia col pittore James Tissot furono tutte cause che determinarono in momenti diversi (ma generalmente vicini fra loro) un cambiamento in Giuseppe a favore di una pittura generalmente piacevole, incentrata sulla vita della ricca borghesia più à la page e per essa concepita: De Nittis insomma finì per dedicarsi a quell’arte che i sostenitori della Scuola di Resina giudicavano generalmente frivola se non pericolosa (si pensi ai giudizi dello stesso Cecioni o a quelli di Francesco Netti). Appare in effetti incontestabili in questa nuova fase della produzione dell’artista il moltiplicarsi di modelle degne delle più lussuose riviste di moda, divise tra pomeriggi all’ippodromo e soirée all’Opéra, ed anche le composizioni all’aperto, quelle dei boulevard parigini ed in seguito delle strade londinesi, sembrano animate da uno spirito non meno elegante ma al contempo elitario degli interni altoborghesi.
    De Nittis comunque per almeno un lustro non rinunciò del tutto alle sue prime suggestioni pittoriche, ed anzi vi si dedicò anima e corpo in occasione dei suoi ritorni in terra natia; si tratta comunque a ben vedere di riprese più tematiche che stilistiche, in quanto sempre filtrate dalla recente adesione al “realismo borghese”. Nell’orizzonte di questa temperie va collocata ed interpretata anche l’opera proposta, databile con certezza fra il 1880, anno in cui il succitato amico Rossano prese in sposa Zelye Brocheton (anch’ella di origine francese), ed il 1884, anno della morte improvvisa e prematura del De Nittis. La nostalgica memoria degli esordi pittorici e delle passate compagnie viene dunque solo sottintesa in un ritratto del tutto simile a capolavori coevi dell’artista quale può essere un esempio la “Figura di donna” proprio del 1880 (ora alla Pinacoteca “De Nittis” di Barletta), in cui è la moglie dello stesso Giuseppe, Léontine Gruvelle, a far sfoggio della propria eleganza. L’abbandono tuttavia di contrasti cromatici particolarmente accessi e vivaci nonché della tipica verticalità delle ultime opere del De Nittis (caratteristiche entrambe riprese dalla sempre più diffusa stampa giapponese) potrebbe tradire una volontà precisa dell’autore di riconciliarsi con la più sobria aderenza al vero delle sue prime realizzazioni pittoriche.
    Stima minima €60000
    Stima massima €80000
  • Scuola del XVIII secolo
    Scena sacra
    olio su tela, cm 76x50
    Stima minima €7000
    Stima massima €10000
  • Scuola II metà XVII secolo
    Battuta di caccia
    olio su tela, cm 89x61
    Stima minima €2400
    Stima massima €3600
  • Roos Philipp Peter detto Rosa da Tivoli attr. (Francoforte sul Meno 1655 - Tivoli 1706)
    Pastori con armenti
    olio su tela, cm 75x102
    Stima minima €2800
    Stima massima €4200
  • Scuola napoletana del XVIII secolo
    a) Ritratto di gentiluomo
    b) Ritratto di donna
    olii su tela, cm 73x63
    Stima minima €2800
    Stima massima €4200
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