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ASTA ONLINE N. 150 20.06.2020 18:00 NAPOLI Visualizza le condizioni


IMPORTANTI DIPINTI DEL XIX SECOLO



ESPOSIZIONE:
da sabato 13 a sabato 20 Giugno 2020
ore: 10.00 - 20.00
sabato 20 ore: 10.00 - 13.30


  • Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)

    Sorrento
    acquerello su carta , cm 35x51,5

    firmato, datato e iscritto in basso a destra: G. Gigante Sorrento 1842
    a tergo: ; cartiglio Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente Milano

    Provenienza: Coll. Vincenzo De Luca, Milano; Coll. privata, Milano; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Milano 1954 Bibliografia: Il Paesaggio italiano - Artisti Italiani e Stranieri, cat. mostra Maggio-Giugno 1954 Arti graf. E. Gualdoni, Milano 1954, pag. 178 n° cat 300, tav 2

    Primogenito come è noto del pittore Gaetano, Giacinto Gigante ricevette dal padre i primissimi rudimenti d’arte, per poi seguire col trascorrere del tempo vari altri maestri (ma mai nell’ambito del Real Istituto di Belle Arti, verso cui il nostro mostrò sempre intolleranza ed ostilità, tanto che una fonte lo vedrebbe ivi iscritto nel 1827 solamente per evitare l’obbligatoria leva militare); grande importanza ricoprirono in questo percorso di formazione alcuni artisti nordici, primo fra tutti con ogni probabilità Jacob Wilhelm Hüber, stando alle testimonianze lasciateci dallo stesso Giacinto in calce a varie sue opere (fonte principale, come è ovvio, nella delineazione della biografia dell’artista): presso Hüber Gigante apprese probabilmente la tecnica dell’acquerello, caratteristica poi nell’ambito della sua produzione, successivamente approfondita nel corso di un soggiorno romano (1826) presso appunto l’acquerellista svizzero Johann Jakob Wolfensberger; a Napoli intanto il nostro aveva già fatto la conoscenza di Anton Sminck van Pitloo, suo principale mentore nonché avviatore della notissima Scuola di Posillipo, cui Gigante è immediatamente associato anche dal pubblico più vasto e profano.
    Fra le conoscenze più determinanti per la carriera di Gigante meritano poi una menzione a parte i molti aristocratici russi ai quali l’artista fu introdotto dal pittore Sil'vestr Feodosievič Ščedrin e per i quali realizzò molti paesaggi e ritratti, abbastanza almeno da poterci acquistare la grande e bella Villa Salute sulle pendici del Vomero, ove Giacinto si trasferì con tutta la numerosa famiglia. Il nostro finì addirittura nelle grazie dello zar Nicola I, per il quale dipinse i grandi ‘Golfo di Napoli da Villa Graven’ e ‘Veduta di Napoli dalla tomba di Virgilio’. Questi ricchi scambi con l’Oriente sono documentati da una serie di opere conservate in parte a Napoli, in parte appunto nelle terre russe, soprattutto presso il famosissimo museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.
    È significativo che l’istituzione suddetta, forse la più prestigiosa fra quelle museali in Russia, possieda ben due vedute di Sorrento grosso modo coeve all’acquerello in asta; va comunque detto che Gigante più volte ritrasse la cittadina, ed anzi vi si trasferì anche per un certo periodo a partire dal 1848 (a seguito delle insurrezioni antiborboniche). L’opera proposta tuttavia risulta particolarmente preziosa poiché costituisce una imprescindibile testimonianza dei radicali mutamenti che appunto Sorrento subì nel corso della prima metà del diciannovesimo secolo. L’odierna piazza principale infatti, ovvero piazza Tasso, era un tempo conosciuta come piazza Castello in virtù di una fortezza aragonese che torreggiava sulla porta lapidea che permetteva il traffico da e verso Napoli; la struttura tuttavia, gravemente danneggiata nel corso dei moti del 1799, risulta abbattuta nel 1842, evidentemente prima che Gigante realizzasse la propria opera, in cui il castello è appunto assente. Ancora in piedi invece risulta nell’acquerello la suddetta Porta Maggiore (o del Piano), sormontata come si vede dalla statua di Sant’Antonio abate, protettore della città: il varco e le ultime mura saranno poi smantellate entro il 1864, e la statua spostata. Come se non bastasse l’eccelsa fattura, insomma, l’opera di Gigante ci narra anche uno spaccato di Storia del nostro amato territorio, confermando ed anzi amplificando così il proprio valore.

    Stima minima €25000
    Stima massima €35000
  • Pitloo Antonio Sminck (Arnhem 1790 - Napoli 1837)
    Abbadia della Trinità a Cava dei Tirreni
    olio su tela, cm 38×27
    firmato in basso a destra: Pitloo
    a tergo sulla tela una firma abrasa e una firma autografa: Paolo di Nola; nell’angolo della tela la sigla B.L.; Cartiglio Mostra Pitloo – Villa Pignatelli – Napoli 2004-2005 n.34

    Provenienza:Coll. Apa, Torre del Greco (NA); Coll. Polisiero, Napoli; Coll. Sarnelli, Napoli; Coll. privata, Napoli.

    Esposizioni:Napoli, 2001; Modena, 2003; Napoli, 2003; Napoli, 2004/2005; Vernissage de “Infinite Emozioni”, 03/12/2010, presso Voyage Pittoresque Napoli; Milano, 2018-19.

    Bibliografia: R. Causa, Pitloo, Napoli 1956, tav. 1; R. Caputo, La pittura napoletana dell’Ottocento, Catalogo “Vittoria Colonna”, n.9, Napoli 2001, pp. 68-69; M. Ricciardi, Paesaggisti stranieri in Campania nell’Ottocento, Salerno 2002, p. 52, fig. 27; L. Martorelli (a cura di), L’Ottocento napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, Catalogo mostra Modena 2003,pp. 4-5; L. Martorelli – R. Caputo, La Pittura italiana dell’Ottocento

    Il dipinto è stato per la prima volta portato all’attenzione degli studi da Raffaello Causa, nella sua importante monografia dedicata al pittore olandese nel 1956. Nella costruzione prospettica l’opera viene tagliata da un albero, che funge da asse lievemente spostato sulla sinistra. L'intensità del paesaggio caratterizzato dalla macchia mediterranea è resa in primo piano con pennellate libere, che si sovrappongono nei verdi, nei marroni e negli ocra.
    L'opera si avvicina cronologicamente ad un gruppo di opere degli anni Trenta, quando il pittore olandese sembra avere scoperto la natura selvaggia e pittoresca di Cava, con il suggestivo profilo dei monti Lattari sullo sfondo, dove si evidenzia pienamente il superamento del paesaggismo analitico che aveva caratterizzato la sua prima produzione, sull'impronta del paysage classique sul quale si era formato, per cedere alla seduzione delle atmosfere mediterranee, senza abbandoni sentimentali, ma con una trattenuta sintesi lirica, evoluzione in cui ebbe molta importanza la conoscenza del paesaggio romantico inglese. Inoltre la natura romantica della Cava - un misto di natura scoscesa, con vegetazione boschiva fitta e inserzioni di edifici architettonici antichi (natura e storia) - è un luogo suggestivo di particolare richiamo per questi paesisti “integrali” come Pitloo.
    Il nostro paesaggio, in particolare, ritrae la celebre abbazia benedettina della Trinità a Cava, da una posizione di scorcio e in lontananza, quasi a voler presentare per prima cosa quell’aspetto circostante della natura “sublime” e “romantica” che accoglie e preserva l’Abbadia della Trinità, uno dei gioielli del Regno, meta dei pellegrinaggi dei fedeli e di numerosi viaggiatori tra Sette e Ottocento.
    L’abbazia è ricordata fin dal Medioevo, infatti, come uno dei centri religiosi e culturali più vivi dell’Italia meridionale, con la sua preziosa biblioteca che conservava rari incunaboli e codici miniati, contrassegnando i valori della scienza tecnologica e patristica della chiesa cattolica e, dunque, costituendo l’obiettivo esplorativo principale di numerosi artisti che si spingevano fin là.
    Siamo davanti a uno dei temi più rappresentati dai pittori della Scuola di Posillipo, da Raffaele Carelli a Giacinto Gigante a Teodoro Duclère, per non parlare dei numerosi stranieri, dal tedesco Georg Gmelin ai francesi A. Etna Michallon e Herman Delpech, all’inglese Samuel Palmer, che tra gli anni Venti e Trenta documentano a vario titolo un interesse preciso per Cava, visita quasi obbligata tra le numerose località del Regno delle Due Sicilie. Un esile albero, in primo piano, funge da quinta scenica principale sulla visione totale, ma è l’intensità della luce, a tratti con una dominante bruna e violacea, a fare da protagonista nel paesaggio, eseguito con pennellate libere e dense, sottolineando una fase dell’esperienza più matura di Pitloo, intorno agli anni Trenta. La scoperta della natura ibrida e pittoresca, con i suoi anfratti, i torrenti e le gole, avvolta da un fitto sottobosco, tipico di Cava e dintorni, non è affatto una novità per Pitloo che già prima di diventare docente alla cattedra di paesaggio presso il Real Istituto di Belle Arti a Napoli aveva al suo attivo, nell’elenco delle opere realizzate prima del 1824, ben sei dipinti raffiguranti vedute di Cava de’ Tirreni, appartenenti a personaggi di alto rango, quali il duca di Berwick, il duca di Terranova, il barone Steegragt, direttore del museo reale d’Olanda. (L. Martorelli in Romanticismo, cat. Mostra Milano, Cinisello Balsamo (MI) 2018, pp.309-310)
    La tela è da porre in relazione cronologicamente, per formato e per tecnica, agli studi ad olio su carta rintelata conservati nella collezione del Banco di Napoli (Roma: Antoon Sminck Van Pitloo, (1791-1837). Un paesaggista olandese a Napoli: ventisette opere ritrovate, catalogo della mostra, a cura di E. Di Majo, e M. Causa Picone, Galleria Carlo Virgilio, Roma).
    Stima minima €30000
    Stima massima €40000
  • Smargiassi Gabriele (Vasto, CH 1798 - Napoli 1882)
    La valle dei mulini
    olio su tela cm 86x65

    Provenienza: Coll. privata, Parigi; coll. privata, Napoli



    Bibliografia: OTTOCENTO catalogo dell'arteitaliana Ottocento Primo Novecento n° 41, Metamorfosi Ed. Milano 2012, a colori(studio)

    Come già felicemente intuito e scritto da Alfredo Schettini anni orsono, la figura di Gabriele Smargiassi risulta complessa ed in qualche modo ambigua, tanto più agli studiosi di settore: questo perché a fronte di un enorme successo fra i più prestigiosi collezionisti e committenti internazionali del tempo, che portarono l’artista a viaggiare per buona parte del continente europeo, fioccarono altrettanto numerosi i giudizi negativi sulla sua persona e sulla sua arte, per motivi che oggi possiamo asserire con maggiore lucidità di una volta per nulla obiettivi ed al contempo comprensibili; volendo essere più concreti, il punto della questione è che le forze nuove, in questo caso specifico la rivoluzione che a Napoli fu portata avanti in campo artistico da Filippo Palizzi da un lato e Domenico Morelli dall’altro (con rispettivi seguaci), non potevano che tentare di affermarsi attaccando e ribaltando la tradizione, che appunto per la Scuola di Paesaggio trovava il suo più fiero e convinto assertore in Smargiassi, appassionato seguace di Nicolas Poussin.
    Come s’è tuttavia accennato sarebbe erroneo legare indissolubilmente tutta la produzione del nostro artista agli stilemi del vedutismo settecentesco. Il giovane Gabriele fu infatti fra i primissimi allievi Anton Sminck van Pitloo, e non fu affatto refrattario alla lezione del maestro olandese: è comprovato infatti che Smargiassi studiasse e dipingesse dal vero, e che anzi considerasse per i suoi allievi un vero premio la possibilità di farsi seguire nelle proprie sessioni en plein air; inoltre dalle sue proprie parole, riportateci sempre da Schettini, pare anche possibile pensare che egli considerasse l’intenzione dell’artista, la sua inventiva, insomma il momento lirico, superiore alla pura e semplice registrazione del vero, avvicinandosi dunque a certe posizioni della Scuola di Posillipo, di cui Pitloo fu come è noto fra i principali rappresentanti.
    La grande tela proposta viene dunque a rappresentare uno dei più autentici e felici esiti dell’arte di Smargiassi, sospesa fra reminiscenze settecentesche e poetica reinterpretazione del vero di sapore del tutto nuovo. La datazione del resto, ricavabile come la certa attribuzione dal raffronto con una versione più piccola di quest’opera (appunto firmata, datata ed anche pubblicata), ne consente la collocazione in un periodo di grande successo dei posillipisti (allorché Giacinto Gigante ne divenne in qualche modo caposcuola alla morte del Pitloo), con gli ideali dei quali, evidentemente, Smargiassi non poté non confrontarsi, a prescindere dalle proprie personali posizioni estetiche.
    Stima minima €20000
    Stima massima €30000
  • Smargiassi Gabriele (Vasto, CH 1798 - Napoli 1882)
    Notturno a Ischia
    olio su tela, cm 30×45
    firmato e dedicato in basso a destra: G. Smargiassi, Al mio ottimo amico m. Galli

    Provenienza:Coll. privata, Ischia; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Napoli, 2006; Lacco Ameno (Ischia), 2008; Vernissage de “Infinite Emozioni”, 03/12/2010, presso Voyage PittoresqueNapoli

    Bibliografia: L. Martorelli in Ottocento e Novecento, Catalogo “Vittoria Colonna” a cura di R. Caputo, Napoli 2006, pp. 6-7; R. Caputo – G. Sarnelli (a cura di), Vedute di Ischia nell’800, Catalogo mostra Museo di Villa Arbusto, Lacco Ameno (Ischia), Napoli 2008, n. 15 p.16; R. Caputo, Infinite Emozioni. La Scuola di Posillipo, Napoli 2010, p. 254; I. Valente (a cura di), La Scuola di Posillipo. La luce di Napoli che conquistò il mondo, Cat. Mostra Napoli, Cappella Palatina di Castel Nuovo 24/07-02/10/2019, La Mediterranea Edizioni, Napoli 2019, ill. a colori p. 23.

    Raccontata sin dalle antiche descrizioni di viaggiatori per la sua bellezza paesaggistica, l’immagine di Ischia assume un ruolo da protagonista nelle rappresentazioni pittoriche solo a partire dalla metà del Settecento, in relazione all’evoluzione del genere della veduta.«[...] Ischia non è soltanto la più bella, ma anche la più grande delle isole situate nei golfi contigui di Napoli e di Gaeta.
    In una parola, è il punto centrale d’un paradiso terrestre» (Tableau topographique et Historique des iles d’Ischia, de Ponza, de Vandotena, de Procida et de Nisida par un Ultramontain, Napoli 1822, p. 40, riedito da La Città del Sole 1998). Così ricorda l’isola d’Ischia Conrad Haller (o Anonimo Oltramontano), nel suo viaggio romantico per il Golfo di Napoli qualche anno prima del “Notturno” di Smargiassi che ritrae l’antico lago d’Ischia, uno dei bacini naturalidell’isola, prima dei lavori che porteranno a modificare l’insenatura naturale in un porto, nel 1853.
    Il Notturno, di forte accezione romantica, di ascendenza nordica, risente della lezione naturalistica del Pitloo, da cui deriva il carattere pittorico sintetico e abbreviato del paesaggio dal vero; le barche, i pescatori, la rustica capanna prossima alla riva, sono tangibili visioni realizzate osservando la natura dei luoghi, riconducibili a una cifra non ancora contaminata dal rigido dettato espressivo del paesaggio di composizione, della maturità artistica dell’artista abruzzese.
    La connotazione romantica del paesaggio notturno fa datare il nostro dipinto alla metà degli anni trenta, quando, in ambito europeo, sono in auge i temi storico-romantici di matrice trobadour. Per Napoli, è il celebre notturno di Beniamino de Francesco, Tasso a Sorrento, del 1833, a inaugurare la nuova stagione del paesaggio romantico, caratterizzando un momento di produzione assai felice per gli artisti napoletani che, grazie alle esposizioni borboniche, entrano nel circuito degli interessi collezionistici e di mercato internazionali.
    Almeno due dipinti documentano le escursioni del pittore abruzzese sull’isola d’Ischia, La veduta della salita del monte Epomeo in Ischia, documentata nel 1833, e la Marina d’Ischia al chiaro di luna, del 1845, oltre alla celebre Veduta presa da Ischia con contadini che vendemmiano (Napoli, Palazzo Reale) presentata alla mostra allestita in occasione del VII Congresso degli Scienziati a Napoli, nel 1845.
    Stima minima €13000
    Stima massima €18000
  • Rebbel Josef (Vienna 1787 – Dresda 1828)
    Veduta della città di Vietri con vista sul Golfo di Salerno
    olio su tavola, cm 78 x 104
    a tergo timbro di antica collezione

    Provenienza: Galleria Schneider, Monaco; Collezione Georg Schäfer, Schweinfurt; Collezione privata, Nord Reno-Westfalia; Galleria Grisebach, Berlino; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Vienna, 1947; Dusseldorf, 2000; Vienna, 2015.

    Bibliografia: Casa d’aste Dorotheum, Catalogo asta n. 131, Vienna 27.05.1947, ill. p.12; H. Lischke, Josef Rebell (1787-1828). Vita e lavoro, Dissertazione Università di Innsbruck, 1956, p. 130 ill. 23; Casa d’aste Christie’s, Dipinti dalla collezione del Dott. Georg Schäfer, Catalogo asta n. 34, Düsseldorf 31.01.2000; Casa d’aste Grisebach, Catalogo asta n. 237, Berlino 03.06.2015, lotto n° 159; I. Valente (a cura di), La Scuola di Posillipo. La luce di Napoli che conquistò il mondo, Cat. Mostra Napoli, Cappella Palatina di Castel Nuovo 24/07-02/10/2019, La Mediterranea Edizioni, Napoli 2019, ill. a colori p. 19.

    Allievo di Michael Wutky presso l’Accademia di Vienna, Joseph Rebell fu un esponente di spicco del paesaggismo austriaco.
    Egli ha rappresentato una fondamentale presenza straniera in Italia, in particolare a Napoli tant’è che lord Napier lo ricorda tra quei pittori che, durante il governo francese, «raggiunsero la più grande fama e dimostrarono quanto il disegno del paesaggio e della vita pastorale fosse divenuto patrimonio di pennelli stranieri» (Francis Napier, Notes on modern paintings, London 1855).
    Rebell fu segnalato a Gioacchino Murat, re delle Due Sicilie, per cui il pittore decise di partire alla volta di Napoli, sostando nel 1812 a Roma.
    L’artista austriaco ricevette subito l’incarico di realizzare tredici vedute di Napoli e dintorni per Carolina Murat, riscuotendo un grande successo nell’ambiente aristocratico internazionale. Con la morte di Murat nel 1815, Rebell decise di trasferirsi a Roma, dove continuò a dipingere vedute napoletane, che incontrarono il favore del pubblico.
    Rebell fu senz’altro tra gli artisti che contribuirono a fissare i canoni di alcuni dei fondamentali modelli per la ripresa di molti temi campani: da Vietri ad Atrani, da Capri a Mergellina, con un gusto che appare moderno già nei dipinti realizzati a partire dal 1813, attraverso delle immagini che sembrano chiaramente preannunciare la successiva pittura di paesaggio a Napoli.
    Nel dipinto “Veduta della città di Vietri con vista sul Golfo di Salerno”, pur nell’impianto fortemente scenografico delle quinte arboree, si comincia ad apprezzare quel sapore di verità atmosferica nelle montagne sullo sfondo e nelle trasparenze del panorama.
    Quest’ultimo, ripreso nei toni lievi di un’efficace prospettiva aerea, appare tagliato dalla vegetazione in primo piano, secondo una sensibilità già chiaramente romantica, che rinuncia alla veduta razionale, di valore documentario, tipica del Settecento.
    La protagonista del dipinto è infatti la natura che domina l’immagine attraverso un ampio primo piano, certamente studiato dal vero.
    Quest’ultimo presenta alcuni toni morbidi nel sentiero e nei verdi in ombra, in un ricco campionario di flora mediterranea sfumato nei toni del secondo piano e dello sfondo, nel quale si intravede, in lontananza, il profilo della cittadina vietrese.
    Nel taglio si apprezza invece la ricerca di un vivace stacco chiaroscurale animato da vari personaggi, colti in atteggiamenti e pose naturali. Scene venate di atmosfere arcadiche che nell’impianto compositivo e nella luminosità dello sfondo sembra riecheggiare la pittura di Claude Lorrain, con le imponenti quinte arboree che chiudono i lati l’immagine.
    Il gusto della ripresa è dunque moderno, così come la stesura fluida del colore, seppur con brani ancora legati ad un’iconografia di fine Settecento. Il dipinto presenta tuttavia, in molti dettagli pittorici, una stesura decisa attraverso quei colpi di luce e quella ricerca del “vero reale” che sarà la cifra tipica dei posillipisti.
    Stima minima €30000
    Stima massima €40000
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