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ASTA ONLINE N. 150 20.06.2020 18:00 NAPOLI Visualizza le condizioni


IMPORTANTI DIPINTI DEL XIX SECOLO



ESPOSIZIONE:
da sabato 13 a sabato 20 Giugno 2020
ore: 10.00 - 20.00
sabato 20 ore: 10.00 - 13.30


  • Mancini Francesco detto Lord (Napoli 1830 - 1905)

    Alle corse in carrozza
    olio su tela, cm 103,5x71
    firmato e datato in basso a destra: F.Mancini 1898

    Provenienza: Galleria Dorotheum, Vienna; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni:Galleria Dorotheum, Vienna, 2015.

    Bibliografia:Galleria Dorotheum, Catalogo asta Vienna 23/04/2015, p. 17 lotto 1107; Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento – primo Novecento, n.44, Milano 2016, tav. a colori p. 76 e ill. b/n p. 433; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.217.

    Lasciati i paesaggi e le liriche d’impronta palizziana, stabilito un andirivieni tra Napoli, Parigi e Londra, Francesco Mancini comincia a dipingere saggi di vita, operando una vera e propria svolta in sintonia con la strada tracciata da Giuseppe De Nittis, nel ritrarre le corse dei cavalli e dei raduni borghesi nei bois o tra i boulevards. Mancini fu un appassionato studioso del cavallo, che amò e ritrasse come pochi, penetrando i segreti di quella struttura che alterna solidità ed eleganza. In particolare non mancò di una particolare grazia quando arricchì la sua produzione di episodi schiettamente locali e tradizionali come il saluto alla primavera dato dagli equipaggi alle corse di aprile. All’Esposizione Nazionale di Roma del 1883, Mancini presenta tre dipinti: due paesaggi e un terzo quadro, Ritorno alle corse, probabilmente da identificare con quello oggi in collezione Banco di Napoli, di cui il nostro Alle corse in carrozza, replica l’equipaggio centrale, ambientando la scena, con un forte gioco di contrasti cromatici e una pennellata rapida, nella piana di Agnano (bonificata nel 1866 e che da allora ospita l’ippodromo cittadino), dove l’alta società e la borghesia del tempo si incontravano in occasione della corsa dei cavalli.
    Questa nuova fase pittorica di Mancini, successiva all’interesse per il paesaggio dal vero riscontrabile nelle opere dei primi anni della sua produzione e a quello per i quadri di storia contemporanea, è caratterizzata soprattutto dall’attenzione per i soggetti d’attualità mondana, come lo sport, la caccia, le corse, rappresentati in una chiave sentimentale attraverso l’incanto della luce nella sua atmosfera.
    Alle corse in carrozza, una bella scena mondana, è realizzato con l’uso soprattutto dei bruni e delle terre, in contrasto con la luminosità dei toni del cielo. Mancini colloca al centro del quadro il “motivo” della carrozza e attraverso una “calligrafia puntuale” restituisce alla scena l’idea del movimento, accentuata anche dall’animazione degli altri equipaggi sullo sfondo della composizione. Cosicché nella lettura di questo sensibilissimo dipinto è facile ritrovare quell’intimo
    sentimento che vive in natura e che quando la mano dell’artista è felice, si trasforma in Arte.
    Così che ancora oggi ci giungono alcuni riverberi di quell’artista che in un momento di grazia, ci ha lasciato, fra nota e nota, colore e colore, una testimonianza che sta al di là della tecnica, poetica o pittorica, poiché è un soffio creatore, capace di produrre quel brivido e quel palpito, anche quando la mano che allineò quelle emozioni si fermò per sempre. (Cfr Limoncelli, Onoranze a Lord Mancini, 1905)
    Stima minima €25000
    Stima massima €35000
  • Palizzi Francesco Paolo (Vasto, CH 1825 - Napoli 1871)
    Natura morta con pesci
    olio su tela, cm 32,5x40
    firmato in basso a sinistra: Fran. Paul Palizzi

    Provenienza: Coll. A. Portolano, Milano; Coll. privata, Napoli

    Bibliografia: A. Schettini, La Pittura napoletana dell’ Ottocento, Napoli 1967; I vol, p.199; A. Schettini, La Pittura napoletana dell’Ottocento, Napoli 1973; I vol, p.199; Catalogo Bolaffi dell’Arte italiana dell’Ottocento, n.12, Giorgio Mondadori, Milano, 1983, ill. b/n p. 261; Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento n.24, Mondadori, Milano 1995, ill. b/n p. 173; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.132.

    Abbandonata l’idea di diventare un pittore di quadri di storia, Francesco Paolo Palizzi dalla pittura di Gennaro Guglielmi (1804-1837) che, sull’esempio di Salvatore Giusti (attivo a Napoli tra il 1815 e il 1845), aveva ravvivato il gusto per la composizione di nature morte. Inizialmente Francesco Paolo Palizzi elabora i dati dal vero con un chiaroscuro piuttosto cupo, di tipo seicentesco. In seguito, con le nuove peculiarità naturalistiche perseguite dal fratello Filippo, i suoi quadri gradualmente si illuminano sempre più, con il gioco delle ombre reso più lieve, i colori più vivi, la pennellata più rapida, la pittura più brillante. Un fresco realismo identifica in particolare questa Natura morta con pesci che, per dirla con il Somaré, fa ravvisare nell’opera del Palizzi la perizia di un seicentista attualizzato (Somaré, La pittura italiana dell’Ottocento).
    La pittura di Francesco Paolo è raramente reperibile in Italia, sia perché gran parte di essa è rimasta in Francia, ove egli operò per un ventennio, dal 1848 al 1869 fino agli albori della guerra franco-prussiana, sia per la brevità della vita stessa dell’artista. Ma le sue rare opere note bastano per assegnargli un ruolo importante nell’ambito della pittura del XIX secolo, che egli contribuì validamente a modernizzare, partecipando attivamente a quel processo di rivalutazione cui avevano dato abbrivio i petits maitres olandesi e fiamminghi e grazie al quale la natura morta si sarebbe riscattata dalla soggezione gerarchica nei confronti degli altri “generi”, divenendo essa stessa pittura di valori.
    Stima minima €6000
    Stima massima €8000
  • Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899)

    Nella stalla olio su tela, cm 51x74
    firmato e datato in basso a destra: Fil. Palizzi 1862
    a tergo cartiglio Mostra Commemorativa del Cinquantenario - Dicembre 1934

    Provenienza: Gran. Uff. Giorgio Mylius, Milano; coll. privata, Napoli

    Esposizione: Milano 1934

    Bibliografia: Cat. Mostra Commemorativa del Cinquantenario, Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente Milano, Dic. 1934 , Sala II n. cat. 59 pag. 19; Pitture e sculture , Saletta Gonnelli , Firenze; I Grandi Pittori dell'ottocento italiano, A. Schettini, La scuola napoletana, A. Martello Ed. Milano 1961 tav. XVI a colori

    Protagonista insieme a Domenico Morelli della rivoluzione artistica che in seno alla scuola pittorica napoletana sconvolse l’accademismo imperante dell’epoca in nome di una rappresentazione rigorosa del vero naturale (e di tutte le sue eventuali storture), Filippo Palizzi si dedicò all’en plein air fin dai suoi primi passi nel mondo dell’arte (negli anni Trenta cioè dell’Ottocento), e già in aperta polemica con la pittura di composizione e cioè sostanzialmente di invenzione.
    L’attenzione al tema animale, caratteristico della produzione dell’artista, si svolge nel corso di questa secondo un evoluzione che da prime opere ancora vagamente convenzionali, passando per qualche studio “fisiognomico”, in cui cioè l’animale è declinato secondo tipi psicologici più prettamente umani, giunge a felici risultati in cui al soggetto ferino è assegnata pari dignità rappresentativa di qualsiasi altro tema pittorico (come il Palizzi ebbe a sostenere anche in alcuni suoi scritti).
    Ecco allora fiorire intorno agli anni Sessanta del secolo una serie di dipinti di minori o maggiori dimensioni, ma tutti di indubbia qualità, che ripropongono ovini ed equini (asinelli specialmente) ritratti nel loro habitat più proprio, ove l’umano, il pastore o magari la pastorella, s’introducono non per asservire ma per “servire” i propri animali, nutrendoli con ricchi fasci d’erbe che pure vengono ripresentate dall’autore in più tele (si ricordi qui solamente il bel ‘Fascio d’erba di primavera’ alla GNAM di Roma).

    L’attenzione alla resa luministica, pure centrale nella ricerca artistica del Palizzi, si declina in questo periodo secondo una minuziosa registrazione micrografica di ogni singolo effetto di luce sul vello e sugli scattanti muscoli degli animali rappresentati, in una presa di distanza dunque (che comunque non può considerarsi voluta) dai più sintetici risultati che al tempo cominciarono a fare capolino sulla scia dei movimenti artistici parigini, coi quali del resto Filippo pure ebbe contatti per tramite del fratello Giuseppe, definitivamente stabilitosi in Francia fin dal 1844 e membro attivo della Scuola di Barbizon.
    Esemplare di spicco di questo vario e notevole filone pittorico, la tela proposta s’arricchisce di ulteriore prestigio con la sua provenienza. Il Grand’Ufficiale Giorgio Mylius, riportato come proprietario dell’opera sul cartiglio che essa reca con sé (e che ne testimonia poi l’esposizione alla Mostra celebrativa del cinquecentenario della Società per le Belle Arti di Milano, di cui il Mylius fu allora anche Presidente del Direttivo), fu l’ultimo membro maschio di una potente famiglia di imprenditori d’origini austriache che fin dalla fine del Settecento promosse di Milano tanto lo sviluppo economico (furono impegnati allora per lo più nella produzione e nel commercio tessile) che quello culturale: la loro villa sul Lago di Como (oggi sede del centro italo-tedesco per l’eccellenza europea) fu centro di raccolta di una ricchissima e raffinata collezione d’arte, nonché ospitò numerosi intellettuali tedeschi ed italiani di prim’ordine, quali Goethe e Manzoni.
    Stima minima €25000
    Stima massima €45000
  • Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938)

    La modella
    olio su tela, cm 60x44
    firmato in alto a destra: V. Migliaro

    Se gli esperti al tempo valutarono molto positivamente già le prime opere di Vincenzo Migliaro, il primo successo “ufficiale” dell’artista avvenne un paio d’anni dopo circa la sua iscrizione al Real Istituto di Belle Arti di Napoli, allorché nel 1877 egli conseguì con ‘Testa di giovane donna’ il secondo premio del Concorso Nazionale di pittura tra gli alunni delle varie Accademie di Belle Arti. La somma di mille lire ottenuta fu spesa per un viaggio di studio a Parigi, indubbio centro della cultura europea del tempo. Singolare tuttavia risulta constatare che nel breve soggiorno francese Migliaro non s’interessò minimamente ai più aggiornati esiti pittorici locali, quelli cioè del movimento impressionista, cui preferì la pittura pompier di un Meissonnier per esempio, interessandosi al massimo di quanto andavano facendo nella Ville Lumière i connazionali De Nittis e Boldini; il fatto appare oggi ancora più particolare alla luce dei molti accostamenti che nel tempo i critici hanno proposto fra la pittura di Migliaro e quella di Pierre-Auguste Renoir, del quale sappiamo Vincenzo venne a conoscenza solo quando, incuriosito da quanto appunto veniva scritto su di lui, consultò Alfredo Schettini e da questi ricevette una monografia sull’autore francese. Bisogna dunque pensare che agli esiti pittorici che diedero adito a certi paragoni – saltano subito all’occhio quelli cromatici, per esempio – e di cui la tela proposta in asta è un indiscutibile esempio il nostro artista pervenne indipendentemente per propria peculiare ricerca; noi possiamo, tenendo presente il contesto partenopeo e più generalmente campano del tempo, solo azzardare qualche ipotesi, considerando da un lato l’influsso che indubbiamente su Migliaro ebbe Domenico Morelli, a sua volta ricettore della lezione di Marià Fortuny i Marsal, pittore spagnolo in Italia (passando per Portici) nell’ultimo periodo della propria vita, e dall’altro lato le affettuose amicizie che Vincenzo intrattenne in vita con vari suoi colleghi e conterranei, i quale certo meno di lui seppero resistere a certe fascinazioni orientaliste e nipponiste: si pensi ad esempio a Giuseppe De Sanctis il quale, chiaramente appassionato di motivi esotici sulle tracce dei quali improntò parte della sua ricerca pittorica, pare cercasse da alcune testimonianze pervenuteci di convincere il sodale Migliaro a cimentarsi in un’arte simile alla propria.
    Stima minima €7000
    Stima massima €10000
  • Gaeta Enrico (Castellamare di Stabia 1840 - 1887)
    L’ingresso di Villa Starace
    olio su tela, cm 105x88
    firmato in basso a destra: E. Gaeta

    Proveneinza: Eredi dell'artista, Castellammare

    Esposizioni: Napoli,Associazione “Circolo Artistico Politecnico”, 03 - 14 Maggio 2014


    Bibliografia: R. Caputo, La Scuola di Resina nell’Ottocento Napoletano, Grimaldi & C. Editori, Napoli 2013, pag. 168; Ottocento Catalogo dell’Arte Italiana Ottocento - Primo Novecento n. 42, Metamorfosi Editore, Milano 2013, pag. 69; Enrico Gaeta a cura di Rosario Caputo , Ed. Vincent Napoli 2014
    Stima minima €15000
    Stima massima €25000
  • Postiglione Raffaele (Napoli 1818 - 1897)
    L'Imperatore Claudio fa uccidere il suo legatario Asiatico
    olio su tela, cm 59x78
    a tergo iscritto: L'imperatore Claudio fa uccidere il suo legatario Asiatico su istigazione di Messalina sua moglie. Raffaele Postiglione offre in dono al sig dirigente comm. Giacomo Muzzi

    Esposizione: Lione 2018; Roma 2019

    Bibliografia: Claude, Un Empereur au destin singulier a cura di F. Chausson e G. Galliano , Lienart Lione 2018 pag. 177 a colori; Messalina, Agrippina e le ombre di una dinastia Caudio Imperatore, L'Erma di Bretschneider Roma 2019, n° cat 65 pag 159 a colori
    Stima minima €3500
    Stima massima €5500
  • Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938)
    Carnevalata
    olio su tela rip. su cartone, cm 37x37
    firmato in basso a sinistra: V. Migliaro
    Stima minima €6000
    Stima massima €7000
  • Irolli Vincenzo (Napoli 1860 - 1949)
    Figura femminile
    olio su tela, cm 104,5x64,5
    firmato in basso a sinistra: V. Irolli

    Quale felice destino avrebbe arriso a colui il quale si fosse innamorato dell’Arte, decidendo di dedicarvisi con tutto se stesso, alla grande esposizione nazionale tenutasi a Napoli nel 1877! In quell’occasione appunto Vinenzo Irolli decise di iscriversi al locale Real Istituto di Belle Arti, dove ebbe come maestri il Toma, il Maldarelli ed il Lista. Finanche il grande Domenico Morelli prese ad interessarsi a questo artista emergente apprezzandone le prime prove ritrattistiche presenti alle mostre della Promotrice napoletana, prime manifestazioni di una lunga ed intensa attività espositiva, coronata poi dalla partecipazione alla decorazione della birreria Gambrinus di Napoli nel 1890 (con il dipinto “Piedigrotta”). La vasta fama presso il grande pubblico Irolli la ottenne invece alcuni anni più tardi, quando la sua produzione pittorica prese a snodarsi quasi esclusivamente secondo i dittami di un vago realismo avente come soggetti preferiti donne, fanciulli ed animali in interni domestici, spesso arricchiti da brani di natura morta. Questi numerosi dipinti, sostanzialmente piacevoli e dunque facilmente commerciabili in Italia ed all’estero, nascevano da precise necessità economiche dell’artista e finirono probabilmente per migliorare il suo stile di vita, ma l’alto prezzo da pagare è stato per lungo tempo il disprezzo da parte della critica, che sovente ancora ritiene il “secondo” Irolli come un attardato folklorista emulo di artisti di grande successo presso i collezionisti (su tutti Antonio Mancini, sull’arte del quale in rapporto a quella del nostro autore è tuttora acceso un vivo dibattito). L’opera proposta si ricollega comunque alla prima e più felice produzione irolliana, collocandosi con ogni probabilità nel corso dell’ultimo decennio del secolo decimonono, vicina nella sua vaga malinconia a capolavori di poco antecedenti quali “Si diventa così”, “Mio ideale”, “Chiaroscuro” (conosciuto anche come “Meriggio”), un piccolo gruppo di opere insomma dal denso significato filosofico, sospese tra un gagliardo entusiasmo per la vita ed un incombente memento mori (tanto che l’amico Giovanni Bovio non s’espresse troppo positivamente nei loro riguardi). La tecnica adottata dall’artista in questo suo primo periodo è stata felicemente descritta da Valente, e consisteva essenzialmente in una base cromatica scura su cui venivano progressivamente a sovrapporsi pennellate più spesse di colore, a rifinire con variabile accuratezza i vari particolari della rappresentazione (completa finitezza era concessa solo ai visi ed alle parti scoperte del corpo umano).
    Stima minima €13000
    Stima massima €18000
  • Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899)
    Pastorella con gregge
    acquerello su carta cm 69x42
    firmato e datato in basso a sinitrsa: Fil Palizzi 1865 ; iscritto in basso a destra: uno dei rari acquerelli di F.Palizzi Migliaro
    Stima minima €8000
    Stima massima €13000
  • Volpe Vincenzo (Grottaminarda, AV 1855 - Napoli 1929)
    Scolaretti all’oratorio
    olio su tela, cm 65,5×90,5
    firmato, datato e iscritto in basso a destra: V Volpe 1889 Napoli

    Provenienza: Aguttes S.A.S, Neuilly-sur-Seine, asta 12/03/2019, lotto 353/bis; Coll. privata, Napoli

    Bibliografia: Aguttes S.A.S, Catalogo asta 12/03/2019, Mobilier & Objets d'Art, lotto n° 353/bis, Neuilly-sur-Seine 2019, p.97.


    Iscrittosi al Real Istituto di Belle Arti di Napoli nel 1871, Vincenzo Volpe, in breve tempo passò dalla classe dei frammenti e di statua a quella di pittura, entrando di diritto nella cerchia degli eredi del morellismo quali Caprile, Costantini e Di Chirico. Volpe esordì alla Società Promotrice a Napoli del 1876 con Un carnevale in famiglia, mentre alla Promotrice al 1880, presentò Le monache del giovedì santo; da quel momento, realizzò una serie di tele di genere in una atmosfera intima, che raccontavano momenti di catechesi condotti da anziani preti o vecchie suore a piccoli fanciulli. Tra tutte basti ricordare la Dottrina cristiana, esposta alla Promotrice del 1887. La sua pittura non si distaccò dalla tradizione scolastica della scuola napoletana del secondo Ottocento, da cui derivò la sua struttura, ma fu arricchita di nuovi propositi, sviluppando un proprio “carattere” originale, ancorché coerente con gli insegnamenti di Domenico Morelli e di Filippo Palizzi; maestro, il primo, nel campo del disegno e della composizione e il secondo, nell’osservazione naturalistica unita alla concretezza pittorica. Infatti, il suo spirito di osservazione, arricchito da un sentimento più caldo e un temperamento modesto, gli suggerivano di eliminare dalle sue migliori esecuzioni l’enfasi colorista della maniera morelliana, così come l’eccesso calligrafico palizziano. Come ebbe a dire Enrico Somaré: L’arte di Vincenzo Volpe ebbe per suo metro la misura, per suo criterio l’ordine, per suo strumento il mestiere e lo studio. A partire dagli anni ’90 Volpe pose il suo studio in una cappella sconsacrata, nel vecchio convento delle monache del Sacramento, in via Salvator Rosa. Da quel luogo presero corpo, se non le pitture sacre dei decenni successivi, certamente alcuni “interni” e “figure” intrise di quel misticismo in cui lo spirito contemplativo del pittore incominciava a declinare sempre più fortemente. Questa ampia premessa non fa che confermarsi in questa importante tela: Scolaretti all’oratorio, dove il pittore con il suo fare sapiente rifugge dai contrasti chiassosi così come dai colori troppo vistosi. L’accordo gentile dei mezzi toni rende, nella simpatica scenetta, il sentimento più intimo e familiare delle vicende quotidiane. Il tutto ammantato da luci delicate e tinte tenui che rimandano ad antiche abitudini rurali e frequentazioni conventuali. Non può sfuggire, sull’identificazione dell’ambiente, l’ampia panca da chiesa e il turibolo da processione in alto a sinistra. Anche la tipica sedia “Savonarola”, la cui struttura con due serie di listelli paralleli che si intrecciano, fu più volte ripetuta dal Volpe, come nella tela Un dono al convento, mentre la fisionomia della nostra vecchina è identica a quella impressa nella tela: Suor Colomba (Tranfaglia 1928, ill. b/n). I riferimenti e i personaggi sono chiari, così come il titolo dell’opera. Ci aiuta in questa ricostruzione certamente una piccola ma parziale replica, proveniente dallo studio del pittore, come riferito da Tranfaglia nella monografia dedicata all’artista, che fu dapprima all’esposizione d’Arte di Bologna del 1925 (con il titolo Scolaretto) e poi all’Esposizione postuma (con il titolo Scolaretto di campagna) organizzata dalla Galleria dell’Esame di Milano nel 1942, a tredici anni dalla morte dell’artista di Grottaminarda. Il predetto quadretto, però, si limitava a riprodurre solo il piccolo scolaro seduto sullo sgabello a sinistra della scena e grazie a questa nostra opera, oggi, la sua collocazione rientra in una più ampia scena che Volpe volle fermare nella sua più definitiva descrizione.
    Riferimenti bibliografici dell'opera "Scolaretto " : Prima Esposizione d’Arte a Bologna, Catalogo, 1925, p.17 n.129 ed ill. p.39; Tranfaglia A., Vincenzo Volpe e la sua arte sacra e Montevergine. Avellino 1928, tav b/n p.24 e p.86; Galleria dell’Esame, Mostra di Vincenzo Volpe, Milano 1942,tav. 24;
    Stima minima €8000
    Stima massima €12000
  • Brancaccio Carlo (Napoli 1861-1920)
    Giornata uggiosa
    olio su tela, cm 30,5x19,5
    firmato e iscritto in basso a sinistra: C. Brancaccio Paris

    Provenienza: Coll. privata, Milano; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Napoli, 1983; Milano, 2009 Bibliografia:Galleria Bianchi d’Espinosa, Catalogo n.72, Napoli febbraio 1983, Tav..27; Casa d’Aste Finarte, Catalogo d’asta, Milano 2009, Lotto 18, p.43; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.375.

    Salvatore di Giacomo, scrivendo di Brancaccio, osservò che «le opere di questo artista di grande e sicuro talento nascono da un piacere diretto che egli sente davanti la natura e davanti al bello: Brancaccio quando lavora si diverte particolarmente: i suoi soggetti di plein air, l'interessano, lo seducono, ed egli vi entra con foga, passione e curiosità. Non ha mai conosciuto né scuola né accademia, fa da sé. Egli ha tirato dal nostro adorabile paese, dalla nostra viva e vera Napoli le fisionomie più strane, e le più caratteristiche per suggestionare i temperamenti più differenti». “Riscoperto” dagli stranieri per i suoi animatissimi scorci parigini che fanno tanto Belle Epoque e per le scintillanti vedute veneziane, amatissimo dai partenopei per la solarità delle sue scene della vecchia Napoli, talvolta derivate da modelli fotografici, più ancora che in questi dipinti d'indubbio richiamo per la gradevolezza e la complessità scenografica, Brancaccio tocca vertici di poesia in questa vaporosa opera, in cui è meno descrittivo e più lirico. Benché, com'egli stesso ammetteva, fosse debitore ai consigli di Dalbono, seppe subito conquistarsi un linguaggio personale che, volendo ad ogni costo riferirlo alle suggestioni del ricco filone della pittura partenopea tardo-ottocentesca, potrebbe definirsi equidistante tra Migliaro e Dalbono, ma arricchito da un originale processo di sensibilizzazione della materia cromatica arricchita dalle particolari atmosfere conosciute nei suoi lunghi soggiorni parigini. Il pittore che amò viaggiare molto, allo scoppio della prima guerra mondiale ritornò in patria, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita a Napoli, inspiegabilmente dimenticato dai suoi concittadini, come indigente ospite dell’Albergo dei poveri di Napoli a Piazza Carlo III, fino alla sua morte avvenuta nel 1970, vittima di un incidente stradale.
    Stima minima €15000
    Stima massima €25000
  • Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912)
    Campagna francese
    olio su tela, cm 40x50
    firmato in basso a destra: Rossano

    Provenienza: Galleria Zamboni, Reggio Emilia; coll. privata, Napoli

    Tra i fondatori della Scuola di Resina, Federico Rossano dedicò tutta la sua produzione al paesaggio, in un primo momento non scevro da qualche sentimentalismo proprio della Scuola di Posillipo, in seguito rappresentato con maggiore rigore e senza orpelli, come appunto andavano sostenendo i porticesi.
    Preferendo per suo mesto temperamento soggetti e colori alquanto malinconici, la tavolozza del Rossano prese a schiarirsi a seguito del suo trasferimento in Francia. L’incontro con gli scolari di Barbizon, il sodalizio con Pissarro e l’apprendimento dunque della lezione di Corot fecero sì che la poetica del nostro autore prendesse a concentrarsi particolarmente sullo studio delle variazioni luministiche e cromatiche in determinate ore del giorno, adottando spesso toni rosei per la realizzazione di paesaggi al tramonto.
    Il soggetto contadino, spesso ritratto nelle opere di questa fase, collega il Rossano ad un altro grande maestro francese del diciannovesimo secolo, Jean-François Millet.
    Stima minima €7000
    Stima massima €10000
  • Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938)
    Ritratto femminile
    olio su tela cm 56,5x36,5
    firmato in basso a sinistra: Migliaro

    Molto noto al vasto pubblico per le molte scene di autentica vita partenopea, lontana dalle mitizzate e sognanti strisce di costa dipinte da tanti suoi colleghi in nome di una più facile e fruttuosa vendita, nonché scevre al contempo di qualsivoglia afflato pietistico in favore di una attenta descrizione del vero, Vincenzo Migliaro infuse l’animo suo più lirico nella serie di ritratti femminili, mai statici ed appunto sempre dinamici, se non nelle sinuose pose dei corpi pingui almeno della approfondita introspezione psicologica delle proprie modelle.
    Membro di una numerosa famiglia, il piccolo Vincenzo fu iscritto ad appena dieci anni dal padre alla Società Centrale Operaia Napoletana che, sita nel vecchio monastero dell’Egiziaca a Pizzofalcone, s’occupava di insegnare un mestiere artigianale ai meno abbienti. L’apprendistato di Migliaro in questo periodo non è mai sufficientemente tenuto in considerazione, poiché nell’apprendere l’intaglio su corallo e madreperla per la realizzazione di cammei il nostro senza dubbio assorbì certi stilemi che torneranno in buona parte della succitata produzione ritrattistica femminile, come notato fin dallo Schettini; la linea del disegno infatti è sempre chiara e solida, ed i volti emergono “sbalzati” dal fondo, generalmente scuro di toni, circondati spesso da un folta chioma riccioluta, così che è immediato l’accostare anche la tela in esame (probabilmente un’opera giovanile, un ritratto forse di una delle sorelle Fortuna o Clementina) con le piccole e preziose effigi che le donne del tempo erano solite portare al petto. Tale impostazione plastica andò rafforzandosi del resto anche grazie ai successivi studi del giovane Vincenzo, prima presso lo studio del celebre Stanislao Lista e poi con l’effettiva iscrizione al Real Istituto di Belle Arti, ove il nostro seguì gli insegnamenti prima di Federico Maldarelli e poi di Raffaele Postiglione, entrambi riguardanti al tempo la statuaria. Solo in un secondo momento la conoscenza e la guida di Domenico Morelli, mentore ricordato da Migliaro con assoluta reverenza anche in tarda età, diedero una diversa ma decisiva impronta al percorso dell’artista, contribuendo dunque a farne il grande autore che ogni appassionato d’arte napoletana non può non conoscere.
    Stima minima €8000
    Stima massima €12000
  • Carelli Consalvo (Napoli 1818 - 1900)
    Pescatori olio su tela, cm 77x64
    firmato e iscritto in basso a sinistra: Consalvo Carelli Napoli
    Stima minima €6500
    Stima massima €8500
  • Vervloet Frans (Malines (Belgio) 1795 - Venezia 1872)
    Interno di cattedrale
    olio su tavola, cm 36x25
    firmato e datato in basso a destra: F. Vervloet 1824
    Stima minima €4000
    Stima massima €6000
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