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ASTA N.138 13.04.2019 18:00 NAPOLI Visualizza le condizioni
IMPORTANTI DIPINTI DEL XIX SECOLO PROVENIENTI DA PRESTIGIOSE RACCOLTE PRIVATE

Esposizione:
da sabato 6 a venerdì 12 Aprile 2019
10:00 - 20:00
domenica 7: 10:00-14:00 / 16:00-20:00
  • Carelli Consalvo (Napoli 1818 - 1900)
    Barche con pescatori
    olio su tela, cm 59,3x49,2
    firmato e iscritto in basso a destra: C. Carelli Napoli
    Stima minima €3500
    Stima massima €5500
  • Gigante Ercole (Napoli 1815 - 1860)
    Golfo di Napoli al chiaro di luna
    olio carta rip su cartone , cm 27x21,5
    firmato in basso a destra: Ercole Gigante
    Stima minima €4500
    Stima massima €5500
  • Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)
    Presso Pozzuoli
    olio su tela, cm 22,5x32
    firmato in basso a destra: G. Gigante
    Stima minima €1800
    Stima massima €3200
  • Carelli Raffaele Attr. (Taranto 1795 - Napoli 1864)
    Il porto di Napoli
    olio su cartone, cm 18,5x26
    Provenienza: Gaetano Genovesi, Napoli (Architetto al servizio di Ferdinando II e dal 1852 professore di Architettura presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli ) ; Galleria Berardi, Roma; Coll. privata, Napoli
    Stima minima €6000
    Stima massima €8000
  • Gigante Giacinto (Napoli 1806 - 1876)
    Villa a Gaeta
    acquerello su carta, cm 50x35
    firmato e datato in basso a sinistra: Gia Gigante
    Provenienza: Galleria d’arte Bianchi d’Espinosa, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Bibliografia: Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento n.42, Metamorfosi Editore Milano 2013, a colori, p. 71
    Stima minima €7000
    Stima massima €13000
  • Pitloo Antonio Sminck (Arnhem 1790 - Napoli 1837)
    Pozzuoli
    olio su carta rip su tela, cm 28x40
    firmato, iscritto e datato in basso al centro:A. Pitloo Pozzuoli 19 Luglio

    Stabilmente a Napoli a partire dal terzo decennio del diciannovesimo secolo (ma vi aveva soggiornato almeno già una volta con certezza nel 1815), Anton Sminck van Pitloo ivi proseguì inizialmente l’arte ch’egli aveva appreso negli anni di formazione, soffermandosi sulla veduta ancora settecentesca di stampo hackertiano che tanto era gradita alla corte borbonica; allo stesso tempo, tuttavia, l’abitudine sua di recarsi a dipingere en plein air apparve subito rivoluzionaria nell’ambiente artistico partenopeo, che seguitava a comporre i pochi (poiché ritenuti un genere di minore importanza) paesaggi ideali rigorosamente in atelier. Non sorprende allora che alla scuola privata di pittura che il Pitloo fondò al suo trasferimento in città s’iscrissero vari artisti, fra i quali Giacinto Gigante, Sil’vestr Ščedrin, Gabriele Smargiassi, Teodoro Duclère, Achille Vianelli, tutti coloro insomma che, insieme al maestro, avrebbero poi composto quella che prese il nome di Scuola di Posillipo, il primo sodalizio di pittori ch’ebbe modo di render grande l’arte napoletana e meridionale nel corso dell’Ottocento. Sempre alla ricerca di novità ed in costante evoluzione, lo stile del Pitloo mutò più volte nel corso della sua vita fino ad adottare poi una certa pennellata “a macchie” via via sempre più sintetica, complici in parte anche le smaterializzazioni luministiche di William Turner che il nostro osservò con ogni probabilità in prima persona. L’opera proposta va ascritta dunque senz’altro a questo periodo, considerata la resa delle asperità degli speroni rocciosi nonché la peculiare modellazione delle fronde arboree. Il castello di Baia, con pochi dubbi il soggetto della rappresentazione, fu principiato nel tardo Quattrocento dagli Aragonesi (sui resti di una villa romana, forse quella di Cesare) ma già radicalmente rinnovato nell’impostazione architettonica nemmeno cinquant’anni più tardi, quando assunse la caratteristica pianta stellata, e rimase in uso come fortezza fino a tutto il regno Borbonico, venendo abbandonato solo dopo L’unità d’Italia. La sua posizione consentiva in effetti un controllo assai proficuo di tutta l’area circostante, permettendo di dominare il Golfo di Pozzuoli fino a Cuma, Ischia e Procida; naturalmente difesa a est da un alto dirupo tufaceo a picco sul mare, e a ovest dai vulcani dei Campi Flegrei, la struttura risultava inoltre pressoché inespugnabile.
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • Vervloet Frans (Malines, Belgio 1795 - Venezia 1872)
    Il Lago di Ischia
    Olio su cartone, cm 16,5×22
    Firmato in basso a sinistra: F. Vervloet
    Provenienza: Alfredo Calandra, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Esposizioni: Ischia, 2000; Modena, 2003; Napoli, 2003; Lacco Ameno di Ischia, 2008; Vernissage de “Infinite Emozioni”, 03/12/2010, presso Voyage Pittoresque Napoli
    Bibliografia: Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento n.23, Mondadori, Milano 1994, ill. b/n p. 191; Ischia nelle vedute romantiche dell’Ottocento nelle collezioni private, Catalogo “Vittoria Colonna”, n.7, Napoli 2000, pp. 68-69; M. Ricciardi, Paesaggisti stranieri in Campania nell’Ottocento, Salerno 2002, p. 74 f.53; L. Martorelli (a cura di), L’Ottocento napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, Catalogo mostra Modena 2003, pp.46-47; L. Martorelli – R. Caputo, La Pittura italiana dell’Ottocento nelle collezioni private italiane. L’Ottocento Napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, Catalogo “Vittoria Colonna”, n.11, Napoli 2003, pp. 30-31; Vedute d’Ischia nell’800, Catalogo mostra Museo di Villa Arbusto, Lacco Ameno (Ischia), Napoli 2008, p.5; I. Valente, I luoghi incantati della Sirena nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sorrento 2009, p.66; R. Caputo, Infinite Emozioni. La Scuola di Posillipo, Napoli 2010, p. 257.

    In quest’opera Frans Vervloet rappresenta la foce del lago dei Bagni, ovvero il canale artificiale aperto alla fine del Cinquecento per facilitare il deflusso delle acque stagnanti. Perno centrale dell’inquadratura è il Casino Buonocore, una villa fatta costruire dal famoso medico ischitano Francesco Buonocore, protomedico di corte, sulla collina retrostante il lago dei Bagni, ceduta ai Borbone nel 1785 (B. Daprà, Ischia, in Il mito e l’immagine. Capri, Ischia e Procida nella pittura dal ’600 ai primi del ’900, Torino 1988, pp. 129-198). Questo nuovo sito reale divenne così uno dei centri della vita artistica e culturale della corte borbonica anche per il secolo successivo, con la sola interruzione del periodo francese. Lo stesso Vervloet, nelle pagine dei suoi diari relative al 1858, riferisce di essersi recato nell’isola ospite di Ferdinando II, il quale rinnovò in tale occasione quell’ammirazione che gli aveva manifestato quasi trent’anni prima. La veduta del lago di Ischia, così come raffigurata nel dipinto, sembra però collocarsi in un periodo antecedente a quest’episodio, quando il paesaggio era ancora poco urbanizzato; soltanto dopo il 1853, infatti, con l’apertura del porto, l’abitato si sviluppò considerevolmente. In effetti l’artista era stato nell’isola per la prima volta nel 1824, anno in cui risalgono i racconti delle sue promenades nei dintorni di Napoli, principalmente presso gli scavi di Pompei e le isole de Golfo. In base agli elementi appena esposti, gli studiosi sono finora concordi nel ritenere che l’opera possa risalire al primo soggiorno napoletano, tra il ’24 e il ’26, nel momento in cui Vervloet condivideva più da vicino le ricerche pitloiane. La stessa cronologia di riferimento viene attribuita ad un piccolo olio, anch’esso di mano del pittore belga, identico nel soggetto (tranne minime variazioni) e dalle dimensioni di poco maggiori (cm 32×43; Ischia, collezione privata; cfr. Francesca Capano, in Iconografia delle città in Campania. Napoli e i centri della provincia, a cura di Cesare De Seta, Alfredo Buccaro, Napoli 2006, pp. 235-236, n. 329, con bibliografia precedente).
    Quello che fa differire maggiormente le due piccole tele è la ripresa del paesaggio in diverse ore del giorno, un tramonto “maturo” per il nostro e un’algida alba per l’altro, che rendono difformi effetti atmosferici e diversità nelle ombre portate; inoltre nella teletta ischitana non sono rappresentate la figura sotto il pergolato, la donna in primo piano e la piccola barca nel lago. Proprio il confronto tra le due opere rende evidente il contributo del pittore belga alla scuola dei posillipisti, che lega il suo nome ad una produzione volta alla ripresa e all’analisi degli elementi atmosferici sul paesaggio, resa attraverso colori bruni stesi con pennellate liquide; i volumi con cui sono costruite le figure sono costituiti da solidi geometrici giustapposti per creare personaggi inscindibili dal nucleo paesaggistico. L’opera ha inoltre un valore documentario importante, unitamente alle altre vedute del Lago d’Ischia (cfr. inoltre l’Hackert, 1792, Caserta Palazzo Reale), perché come è noto dal bacino naturale verrà realizzato nel 1853, il porto dell’isola, lavoro promosso dal re Ferdinando II e salutato con toni entusiastici dal Carelli in una pubblicazione del 1858.
    Stima minima €6500
    Stima massima €12500
  • Gigante Ercole (Napoli 1815 - 1860)
    Santa Lucia
    olio su cartone, cm 13×18,5
    Firmato in basso a sinistra: E Gigante
    Provenienza: Coll. Giovannetti, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Esposizioni: Napoli, 1997; Modena, 2003; Vernissage de “Infinite Emozioni”, 03/12/2010, presso Voyage Pittoresque Napoli
    Bibliografia: Ottocento napoletano, Le scuole, i protagonisti, Catalogo “Vittoria Colonna”, n.3, Napoli 1997, pp. 50-51; L. Martorelli (a cura di), L’Ottocento napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, Catalogo mostra Modena 2003, pp. 14- 15; R. Caputo, Infinite Emozioni. La Scuola di Posillipo, Napoli 2010, p. 196

    Il dipinto è la replica fedele di un acquerello dipinto da Giacinto Gigante nel 1837, ulteriore testimonianza dell’ascendente esercitato su Ercole dal più celebre fratello. Medesimo è il formato, come analoghi sono il taglio compositivo e il punto di vista ripreso dalle scale della Chiesa di Santa Maria della Catena, che consente, con il piano leggermente rialzato, la raffigurazione di tutta la strada prospiciente il litorale. Il borgo di Santa Lucia era un ambiente suggestivo, descritto da viaggiatori e cantato da poeti, almeno fino all’intervento di fine Ottocento, quando la linea della costa fu completamente alterata con la cosiddetta “colmata”. All’ininterrotta cortina di edifici sulla destra si contrappone Palazzo Carafa, che si affaccia solitario con il suo loggiato direttamente sul mare. Rispetto all’acquerello di Giacinto, diversa appare la dislocazione della presenza umana, anche se Ercole ripete in primo piano l’immagine della “Luciana” con il caratteristico costume e con il fuso nelle mani. Diversa è, soprattutto, l’impostazione del disegno e del colore, dai segni più marcati e chiaroscurati in Ercole, mentre Giacinto interpreta la veduta con una maggiore scioltezza di mano nello stendere col pennello la macchia pittorica.
    Stima minima €6500
    Stima massima €12500
  • Pitloo Antonio Sminck (Arnhem 1790 - Napoli 1837)
    Veduta di Sorrento
    olio su carta rip. su tavola, cm 15,5x22
    Provenienza. Grisebach, Berlino; coll. privata, Napoli

    Nella produzione del Pitloo possono annoverarsi diversi piccoli olii su vario supporto, ed a questi ultimi va forse ascritta, proprio in virtù del ridotto formato e dunque della realizzazione più per iniziativa personale dell’autore che per altrui committenza, la più innovativa sperimentazione dell’artista. Con lo spostamento (prima solo temporaneo, poi in via definitiva) a Napoli nel corso del secondo decennio dell’Ottocento Pitloo cominciò infatti a manifestare con maggiore libertà creativa le sue più peculiari idee artistiche, ponendo come è noto le basi per la grande Scuola di Posillipo. Nella piccola opera proposta lo smaterializzarsi delle pennellate in quella che può senza dubbio definirsi una pittura di macchia è indice dell’influenza che sul nostro autore (la cui ricerca estetica fu sempre in costante evoluzione) ebbero Richard Parkes Bonington, paesaggista romantico inglese al quale s’ispirarono in parte anche alcuni rappresentanti della Scuola di Barbizon, e soprattutto il grande William Turner, i cui quadri Pitloo vide probabilmente in esposizione a Roma.
    Stima minima €6500
    Stima massima €8500
  • Gaeta Enrico (Castellamare di Stabia 1840 - 1887)
    Tetti
    olio su tela, cm 52x64
    Sul retro cartiglio delle “Celebrazioni della Campania”
    Provenienza: Eredi dell’artista, Castellammare di Stabia; Galleria Vincent, Napoli; Coll. privata, Napoli
    Esposizioni: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli settembre 1936; Napoli,Associazione “Circolo Artistico Politecnico”, 03 - 14 Maggio 2014
    Bibliografia: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli 1936, pag. 95 n.59; Don Riccardo, Artecatalogo dell’Ottocento “Vesuvio” dei pittori napoletani, Editorialtipo, Roma 1973, pag. 48; Enrico Gaeta a cura di Rosario Caputo , Ed. Vincent Napoli 2014, tav 6,pag. 20
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • De Gregorio Marco (Resina, NA 1829 - 1876)
    La passeggiata del prete
    olio su tavola, cm 23x33,5
    firmato e datato in basso a sinistra: M. De Gregorio 1875
    a tergo iscritto: De Gregorio Promotrice 1875 Napoli

    Nonostante il ruolo centrale occupato nella significativa (ma breve) esperienza della Scuola di Resina, di cui appunto fu fondatore insieme a Federico Rossano intorno agli anni Sessanta del diciannovesimo secolo, di Marco De Gregorio resta una produzione non vasta, dispersa per lo più fra le collezioni private. Quel che conosciamo basta tuttavia a delineare la personalità dell’artista e la sua abilità narrativa, nonché ad esemplificare gli ideali cari ai porticesi, che come è noto vollero affrancarsi con forza dall’accademismo che a parer loro ancora opprimeva la scena artistica napoletana e dunque meridionale a causa della figura accentratrice di Domenico Morelli, colpevole di aver piegato anche le novelle poetiche del vero (quelle cui più rigidamente aderiva invece Filippo Palizzi) ad una pittura non scevra di fantasia, cosicché l’osservazione del reale poteva essere adoperata per ritrarre singoli elementi componibili fra loro in una scena essenzialmente d’invenzione. In questa loro strenua “ribellione” i porticesi dichiarano fin dal proprio manifesto (edito per mano di Raffaele Belliazzi) l’interesse per le “cose piccole” e cioè comunemente ritenute di scarso interesse per la grande arte del tempo, fossero esse scenette di vita quotidiana o scorci paesaggistici inusuali, per lo più aspri ed inospitali, di cui i membri della Scuola amavano studiare le variazioni cromatiche e luministiche al passare delle ore del giorno. L’opera proposta esemplifica evidentemente il succitato interesse dei porticesi, rappresentando un episodio assolutamente comune di vita nei centri più periferici della Campania. La figura del prelato di campagna torna in effetti più volte nella produzione dei membri della Scuola, e vanta esempi più o meno noti almeno già fra le opere di Filippo Palizzi. La peculiarità dell’ombrello rosso, con cui l’uomo di chiesa pare essere indissolubilmente rappresentato, risalirebbe ad un aneddoto occasionalmente riportato in forma scritta, secondo cui in un luogo non precisato, in periodo di forte, quasi fatale siccità, il parroco locale organizzò una veglia di preghiera; fra i molti oggetti di culto portati dai fedeli, ricchi ma convenzionali, l’uomo non poté fare a meno di notare una bimba che, unica, aveva con sé un ombrellino purpureo, esempio della sua spontanea ma ferma convinzione nella possibilità del miracolo: l’accessorio allora sarebbe assurto a simbolo di sincera fede in Dio.
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • Scoppetta Pietro (Amalfi, SA 1863 - Napoli 1920)
    La Parisienne
    Olio su tela, cm 26,2×13
    Firmato in basso a destra: P Scoppetta
    Provenienza: Coll. privata, Salerno; Coll. privata, Napoli
    Bibliografia: R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.381.

    Il pittore, nativo di Amalfi, si diede inizialmente agli studi di architettura, abbandonandoli in seguito per formarsi artisticamente sotto la guida di Giacomo Di Chirico. Residente a Napoli a partire dal 1891, ebbe occasione di vivere in un clima di forti movimenti di evoluzione culturale, coincidenti con il mutare della fisionomia urbana a seguito del controverso “Piano di Risanamento” voluto dai Savoia. Da un lato, infatti, si assisteva alla creazione di nuovi quartieri abitativi, e dall’altro alla costruzione di opere pubbliche di grande impatto come la Galleria Umberto I e il Palazzo della Borsa. In questo contesto, Scoppetta si mosse abilmente, dando prova di grande talento soprattutto nella rappresentazione della natia costa di Amalfi e della Valle dei Mulini. Con le sue opere partecipò a diverse esposizioni della Società Promotrice di Napoli. Come altri artisti suoi contemporanei, accanto all’attività pittorica principale, svolgeva una professione alternativa come illustratore per alcune riviste napoletane oltre che per la famosa “L’Illustrazione italiana” edita da Treves. Nonostante il successo commerciale e di critica, che lo portò ad avere in qualità di estimatori delle sue opere il re Umberto I ed il principe di Sirignano, Scoppetta decise di lasciare l’Italia per soggiornare nella capitale francese, dove dimorò tra il 1897 e il 1903, iscrivendosi nella folta schiera di pittori partenopei attratti dalle suggestioni borghesi della Belle Epoque, tra cui ricordiamo Ulisse Caputo, Raffaele Ragione e inserendosi nel filone di quegli artisti italiani filoimpressionisti emuli di Giuseppe De Nittis. Esemplare, in questo senso, è il nostro piccolo olio “La Parisienne” in cui Scoppetta si raccorda con il gusto del pubblico internazionale dell’epoca che sempre più ricercava le animate scene parigine ma anche le eleganti silouette delle donne francesi in pose civettuole e languide, quasi come dei ninnoli privati con cui baloccare almeno lo sguardo. Nella fattispecie, la “nostra” affascinante figura è ripresa nella sua mise invernale, colta come in un attimo di estasi davanti ad una vetrina di qualche importante boulevard. Tale impressione è rafforzata dalla posa, con il capo che piega leggermente in avanti e dalla bocca socchiusa. La stagione è evocata in primis dall’ampio abito drappeggiato, degno dei maggiori couturieres dell’epoca come le sorelle Callot, dallo chapeau ornato di fiori forse della Maison Rouffe Chapeau e Paquin, lievemente poggiato su una testa probabilmente pettinata da Marcel, dal manteau di pelliccia con inserti, dall’ombrellino nero. Il piccolo e brillante orecchino, quasi invisibile, completa la raffinata figura. Contribuiscono a caratterizzare la tipica fredda giornata parigina la pavimentazione sapientemente resa bagnata con particolare virtuosismo.
    Stima minima €7000
    Stima massima €10000
  • Caputo Ulisse (Salerno 1872 - Parigi 1948)
    Figura femminile sul davanzale
    olio su tela, cm 72,5x60
    firmato in basso a sinistra: U.Caputo
    a tergo cartiglio Galerie Monna-Lisa Paris
    Provenienza: Coll.privata, Parigi; Coll. privata, Napoli

    Ricordato soprattutto per una ricca produzione di ritratti tutti la femminile (e questo caso non fa eccezione), raffinati e seducenti, Ulisse Caputo realizzò gran parte di essi secondo il gusto parigino tipico della Belle Époque: anch’egli infatti fu tra i molti artisti che si trasferirono nel corso del diciannovesimo secolo nella Ville Lumière, indubbiamente centro culturale mondiale del tempo, e ivi riscontrò un caldo successo, aprendoglisi le porte dei migliori salotti sociali della capitale francese. In molte opere del Caputo inoltre non è difficile ritrovare un qualche elemento o un rimando di varia natura al mondo del teatro, universo cui l’artista fu abituato fin dalla gioventù grazie alle occupazioni del padre, che fu decoratore ma anche colui il quale per primo spinse Ulisse verso un percorso artistico. Nell’opera proposta dunque la finestra sulla destra fa da “quinta artificiale” alla scena, mentre sulla sinistra e in basso il drappo rosso potrebbe evocare alla mente dell’osservatore le più tipiche quinte teatrali. Ancora (e infine) è sul piano stilistico che questa tela si colloca nella migliore produzione del Caputo, dando innanzitutto vivida prova dei contrasti fra toni “dissonanti” (tipicamente rosso, blue e verde) ch’egli amava particolarmente (probabilmente ebbe anche modo di ammirare certi capolavori di Gaugin durante alcuni soggiorni in Bretagna); il succitato drappo rosso e lo sfondo sono poi delineati adoperando pennellate divisioniste di trama diversa, più lunghe nel primo caso (ad assecondare l’andamento della stoffa), assai più brevi nel secondo, così che la finestra pare quasi aprirsi di fronte ad un lussureggiante salice, esito questo particolarmente felice nel testimoniare la maestria del Caputo e comune ad una cerchia più ristretta di opere sue.
    Stima minima €10000
    Stima massima €15000
  • Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938)
    Donna con ventaglio
    Olio su tavola, cm 19×18
    Firmato in basso a destra: Migliaro
    Provenienza: Coll. privata, Roma; Coll. privata, Napoli
    Bibliografia: Ottocento Catalogo dell’Arte Italiana. Ottocento – Primo Novecento n.41, Milano 2012, tav. a colori f.t.; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.268

    Vincenzo Migliaro, dopo aver ottenuto nel 1877, il secondo posto al Concorso Nazionale di Pittura tra gli alunni delle Accademie di Belle Arti, e dopo un breve soggiorno a Parigi, incominciò a frequentare una birreria a ridosso del Castello angioino, “Lo Strasburgo”, il ritrovo preferito di pittori come Caprile e Pratella, oltre che di letterati come Edoardo Scarfoglio e il poeta Salvatore Di Giacomo. Di quest’ultimo Migliaro, in particolare, ammirava il modo di descrivere gli usi e i costumi della quotidianità napoletana.
    La stessa che il pittore voleva raccontare, scrutandola negli angiporti, sotto gli archi, perfino all’interno di qualche basso della sua città e che costituivano la fitta trama dei quattro quartieri della Vicaria, Pendino, Mercato e Porto. Fu dagli inizi degli anni ‘80, che Migliaro si inoltrò in quei luoghi per proporre delle plastiche riprese di impressioni popolari. Con ciò egli documentò e in alcuni casi denunciò, marchiando di emozioni, come dei graffiti primordiali, la sottile diga posta ad argine dal pittoresco commerciale, contraddittoriamente sognante e spensierato. Per questo motivo, Migliaro va disgiunto da quella facile pittura di genere alla quale, per una serie di equivoci critici, a volte viene accostato: il racconto confuso con l’aneddoto, la scrittura con la calligrafia, il verismo con il folclore. Invece, in quel timbro incisivo, in quelle riconoscibili icone, in quel suo linguaggio simbolico, risiede l’arte di Migliaro.Infatti, con questa delicata tavoletta, Donna con ventaglio, raffigurante la sorella Adalgisa, siamo dinanzi ad uno dei ritratti più sentiti del pittore. Ha ragione Mariantonietta Picone Petrusa, quando asserisce che le donne del Migliaro hanno un piglio tutto speciale, un quid sensuale e determinato insieme.
    Dalla sorella Adalgisa a Nannina (Anna Scognamiglio, che diventerà sua moglie), alla cugina in veste di Carmen (quella di Bizet), alle varie popolane sorprese nei vicoli e nei bassi, si delinea una particolare tipologia femminile, di donna forte e volitiva, dallo sguardo magnetico ed inconsapevole eroina scolpita nell’immaginario collettivo un po’ misogino da preraffaelliti e simbolisti. In Migliaro non ci sono però simboli occulti, ma l’attrazione e il timore verso un tangibile matriarcato sono gli stessi, Questa volta, tuttavia, il ritratto ci sorprende per la particolare dolcezza dello sguardo della sorella Adalgisa che, a seguito del terremoto di Messina, morì assieme ad un figlioletto e all’altra sorella, Clementina. Ancora una volta la presenza della donna nei dipinti di Migliaro rappresenta “il raggio luminoso della sua arte”, per citare Schettini, facendone emergere la segreta personalità che serpeggia in ognuna di loro e che completa la sua indagine sulla realtà napoletana disgiungendola definitivamente dalle pose inanimate dei numerosi seguaci di Gigante o di Vianelli e trovando un fondamentale riscontro nella lettura della donna che Matilde Serao e tutta una letteratura verista dà alla figura femminile ambientata a Napoli.
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • Pratella Attilio (Lugo di Romagna, RA 1856 - Napoli 1949)
    Pescatori a Palazzo Donn’Anna
    Olio su tela, cm 24x48
    Firmato in basso al centro: A. Pratella
    Provenienza: Coll. privata, Napoli
    Esposizioni: Napoli, aprile 2017.
    Bibliografia: Galleria Vincent, Importanti dipinti del XIX Secolo provenienti da Collezioni private, Catalogo d’Asta n.114, Napoli 08/04/2017, lotto n.92, p.32; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.342.

    Il dipinto si colloca nella migliore produzione pratelliana: pretesti per esibire una scelta felice di colori e forme, per accostare e dividere contrasti, dove si avverte un sapiente utilizzo della luce e una certa matrice scenografica di derivazione dalboniana. La materia cromatica è brillante e vivificata dall’illuminazione fortemente zenitale di un assolato mattino napoletano. Il luogo raffigurato è un topoi caratteristico di quella Napoli meticolosamente indagata da pittori, fotografi e scrittori di tardo Ottocento. “Questo grandioso palazzo, del quale non resta che l’embrione sorge in buona parte in mezzo alle acque cristalline di Posillipo” come ricorda il Chiarini, è quello di Donna Anna Carafa, moglie del vicerè, duca di Medina, progettato dal Fanzago (1640-44), ma la cui costruzione venne interrotta alcuni anni dopo l’inizio dei lavori. Questa opera si lega alla migliore tradizione paesaggistica napoletana proprio per la volontà del pittore di bilanciare la resa ottica del paesaggio partenopeo con la presenza dei pescatori in primo piano. Questi ultimi acquistano risalto, anche in forza del colore e della postura folcloristica, secondo un chiaro indirizzo dalboniano presto accolto da molti altri pittori napoletani.
    Stima minima €5500
    Stima massima €8500
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