Mancini Antonio (Albano Laziale 1852 - Roma 1930 )
La preghiera della madre
Olio su tela cm 100x60
firmato in alto a sinistra : A. Mancini
Provenienza: On.Gulatieri, Napoli; Racc. Nob. A. Ambrosi, Milano; coll. privata, Roma
Esposizioni: 1929, Milano Galleria Scopnich; 1940, Milano Galleria Guglielmi; 1983, Roma Christie's; 1984 Napoli Giosi; 1991 Milano Semenzato
Bibliografia: Maestri napoletani dell’Ottocento nella Collezione Gualtieri, Galleria Scopinich, Catalogo vendita all’asta Milano novembre 1929 n28 tav. LV; Racc. Nob. A. Ambrosi, Galleria Guglielmi Milano 1940, n.190 tav 38; A.Schettini, Mancini ,Stiped- Ed. d'arte, Napoli 1953 p. 237; Cat. Christie's Roma 1983 n. 170; Cat. asta Gall Giosi, Napoli 1983 n. 34; Pittura italiana dell'Ottocento a cura de "Il mercato dell'arte" Sugarco ed. Como 1984 p. 99; Cat. Semenzato Milano 1991 n 115 ; C. Virno, Antonio Mancini Catalogo ragionato dell'opera, Roma 2019 vol. I n. 714. pag. 268 n. 401
Nel corso degli anni Settanta del diciannovesimo secolo Antonio Mancini, già godendo di una certa fama come pittore, mosse verso il sogno d’ogni artista del tempo, il centro indiscusso di tutti i fermenti che andavano allora animando gli intellettuali in Europa: Parigi. Invitato con ogni probabilità da Adolphe Goupil, mercante dalla sensibilità indiscussa e pioneristica il quale certo comprese il talento del nostro ed il potenziale successo ch’egli avrebbe potuto riscuotere anche sul mercato internazionale, Mancini in realtà finì per scontrarsi inevitabilmente con le dure difficoltà che affliggevano la vita dei bohémien e, in modo particolare dopo il secondo soggiorno francese, che segnò (per motivi principalmente economici) la rottura col vecchio amico Vincenzo Gemito, la sua già fragile psicologia non resse. Al ritorno in patria dunque seguì di poco il primo ricovero in manicomio, con l’inizio di una produzione particolarmente ricca e sentita di ritratti ed autoritratti. Dimesso nel 1882, l’anno successivo Mancini lasciò l’amata Napoli (cui ebbe modo di tornare solo molti anni dopo) alla volta di Roma.
Nella Capitale Mancini risulta ospite fra il 1885 ed il 1890 degli zii (o cugini, a seconda delle fonti) Andrea e Noemi Ruggeri, ed a questo soggiorno particolare vanno fatte risalire due opere fra loro collegate e simili, che innanzitutto condividono la giovane ritratta, ovvero Agrippina Ruggeri (figlia appunto dei parenti dell’autore). La prima tela, “Servetta”, ha fatto parte della collezione Grieco e così è giunta presso la Pinacoteca Giaquinto di Bari, ove è tutt’oggi conservata. L’altro dipinto è invece quello proposto in asta (dopo un passaggio in collezione Gualtieri e poi da Giosi), che del precedente costituisce forse un abbozzo (ma non è esclusa la possibilità che si tratti di un’opera non finita, con tutto il fascino che questo stato tipicamente comporta): lo sfondo s’è assolutamente smaterializzato in rapidi gesti pittorici, i fiori che la modella tiene in grembo risultano del tutto irriconoscibili, mescolandosi talvolta addirittura al grembiule della fanciulla, e finanche i tratti somatici ed anatomici di quest’ultima appaiono in qualche modo fusi al resto della rappresentazione. Si potrebbe forse adottare il confronto fra le due tele quale exemplum dell’evoluzione stilistica che Mancini stesso andò sperimentando in quegli anni, preferendo alle raffigurazioni più precise e realistiche del periodo napoletano una pittura nuova, rapida e talvolta davvero impressionistica, sempre all’insegna di una spasmodica ricerca luministica, realizzata su tavole e tele per mezzo di grumi di materiale pittorico e talvolta biacca a ricreare sulla superficie dei dipinti veri e propri rilievi e di conseguenza concreti effetti di luci ed ombre.